LA SOTTIGLIEZZA DELLE SENSAZIONI INUTILI: UN ANNO DOPO

Nervi saldi, mi dico aprendo gli occhi in questa ultima settimana d’inverno. Facile a dirsi, naturalmente, nel mezzo di infinite incertezze (perché tutto è incerto, e lo sappiamo tutti: sappiamo, ripeto, solo che finirà, ma non quando, e il quando, non mi stancherò mai di dirlo, fa la differenza). Eppure, nervi saldi, occhi aperti, informarsi. Non mi sembra che in Italia sia stato dato spazio a quanto sostenuto, quasi un mese fa, in Gran Bretagna dalla Segretaria di Stato per gli affari interni del Regno Unito, Priti Patel (in pratica, concedere maggiori poteri alla polizia per controllare le proteste, anche dopo la fine delle restrizioni Covid). Ma è solo un esempio, un’ulteriore testimonianza di quanto siamo chiusi, e non da oggi e neanche da un anno, nel recinto dei nostri confini.
Nervi saldi. Un anno fa scrivevo questo post su Facebook:
“Care e cari, la cosa più triste che possa accadere è trasformarci in sbirri. Leggo di scrittrici, naturalmente informate dalle chat delle mamme (e chi altri? Le prime, fatelo dire a una vecchia femminista, che si trasformano in branco quando serve) terrorizzate dall’aver visto “vecchi su una panchina” e famigliole col monopattino a spasso. Segnalateli! Strilla la scrittrice. Non puoi andare a prendere il giornale col tuo compagno! Strilla l’altra a una mia amica.
Vi piacciono i delatori? Avete letto Manzoni? Sapete cosa sono gli untori e come si comporta la folla appestata? Cerca colpevoli. Denuncia. Invoca l’autorità. E meno male che al momento non abbiamo un regime militare. Al momento.
Dobbiamo stare a casa e ci stiamo. Sono andata, oggi, a comprare due uova, un flacone di detersivo per i piatti, uno yogurt e, ahi ahi, “bene non necessario”, una bottiglia di vino. Non c’era nessuno. Strade deserte. Solo, nella bottega dove ho comprato le mie cose, sono entrate tre ragazze. Ho detto loro, dietro la mascherina, che eravamo troppi per una bottega così piccola. Sono uscite subito. Non ho denunciato nessuno, né mai e poi mai lo farei.
Ognuno, lo ripeto per la centesima volta, reagisce come può a quel che attraversiamo. Piange, ride, canta, sta male, si fa di antidepressivi, fuma come una ciminiera, medita, prega, mangia, ama. Eccetera, non rifaccio la lista.
La cosa peggiore che ci possa capitare è trasformarci in sbirri. Uso non a caso questo termine: non si tratta di denigrare le forze dell’ordine ma di evocare la parte sinistra del passato lontano. Sbirri e spie. Le regole, se non sono state comprese, si spiegano: non si scrive a Burioni e non si intasano le chat delle mamme che potrebbero essere usate, per una volta, per qualcosa di utile, invece di additare gli altri come il male del mondo, faccenda che, vedo, capita anche in tempo di epidemie.
Ripeto: prudenza, e pietà. Io un mondo salvato pieno di ferocia non so se lo voglio”.
Sotto quel post molti protestarono perché avevo comprato solo due uova (pensando oltretutto che fossero stupide uova di cioccolato) invece di fare la spesa grande. Ma oggi? Cosa è cambiato in un anno? Come siamo cambiati? Siamo semplicemente stanchi e sfiniti? Abbiamo imparato qualcosa?
Io non lo so. Ma so che non ho intenzione di arrendermi al mio sfinimento, per quanto posso, per come posso.
Quello che c’è in me è soprattutto stanchezza
non di questo o di quello
e neppure di tutto o di niente:
stanchezza semplicemente, in sé,
stanchezza.
La sottigliezza delle sensazioni inutili,
le violente passioni per nulla,
gli amori intensi per ciò che si suppone in qualcuno,
tutte queste cose –
queste e ciò che manca in esse eternamente –
tutto ciò produce stanchezza,
questa stanchezza,
stanchezza.
C’è senza dubbio chi ama l’infinito,
c’è senza dubbio chi desidera l’impossibile,
c’è senza dubbio chi non vuole niente –
tre tipi di idealisti, e io nessuno di questi:
perché io amo infinitamente il finito,
perché io desidero impossibilmente il possibile,
perché voglio tutto, o ancora di più, se può essere,
o anche se non può essere…
E il risultato?
Per loro la vita vissuta o sognata,
per loro il sogno sognato o vissuto,
per loro la media fra tutto e niente, cioè la vita…
Per me solo una grande, una profonda,
e, ah, con quale felicità, infeconda stanchezza,
una supremissima stanchezza,
issima, issima, issima,
stanchezza…
(Fernando Pessoa. Traduzione di Antonio Tabucchi)

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