“Ecco fatto: la parola ‘buonista’ è diventata un insulto. Sin dall’inizio, si capisce, aveva una connotazione negativa: definiva infatti non chi pratica la bontà, ma chi la ostenta, chi la proclama con unzione, chi ne fa un’esibizione sistematica a proprio vantaggio. Poi il termine buonista è passato a indicare quella sinistra alla Veltroni un po’ melensa, sentimentale, a volte infantilmente amante di figurine e giochi, sensibile alle canzoni e al pathos, di cuore tenero. Adesso buonista ha perduto ogni legame, anche vago o remoto, con la bontà; che del resto da noi è sempre stata una virtù pochissimo apprezzata ed esercitata, riservata alle suore e ai preti e ai santi e ad altre entità religiose, mentre l’astuzia veniva socialmente molto più stimata. Adesso, nel linguaggio della gente esasperata, reazionaria o divenuta tale per paura e sfiducia, buonista condensa una miriade di idee e comportamenti non conservatori, non violenti: è buonista chi vuol veder rispettati i diritti di ciascuno, incluse le donne; chi non ributterebbe a mare quelli che cercano di emigrare in Italia, non li ammazzerebbe tutti indiscriminatamente non li ricaccerebbe a morir di fame al loro Paese; chi ritiene che la società abbia dei doveri verso i cittadini svantaggiati; chi non terrebbe i detenuti sempre incatenati nelle loro celle, in violazione delle leggi vigenti; chi ama e protegge gli animali; chi detesta il motto «chi è causa del suo mal pianga se stesso»; chi vorrebbe salvare il nostro ambiente dalla devastazione e dall’inquinamento; chi per delicatezza non dice «storpi, ciechi, muti, mongoloidi» eccetera; chi ha compassione per le persone nei guai e pensa che debbano essere aiutate, non giudicate. È vero che la cultura democratica è responsabile di velleità, esagerazioni, melensaggini ed astrazioni tali da far venire anche la bava alla bocca. È vero che da noi anche il sistema dei diritti, come tutto, è poco concreto e molto parolaio, è soprattutto una voga verbale così invadente e ossessiva da suscitare reazioni e comportamenti negativi. Ma nei fatti il disprezzo del buonismo maschera le solite, eterne idee e idiosincrasie della vecchia destra, stavolta sostenute pure da parecchi intellettuali desiderosi di mostrarsi controcorrente, liberi e birichini. Alla fine, brutta situazione. I cattivisti non vanno bene perché sono malvagi, e spesso fumano. I buonisti non vanno bene perché sono deboli, e a volte vegetariani. Cosa rimane?”
Lietta Tornabuoni, La Stampa, 23 marzo 2000.
Citata da Federico Faloppa in questo intervento del maggio 2015.
Ricitata qui oggi, per svariati motivi che vanno da Anders Behring Breivik alla legittima difesa fino alle acidità di chi sostiene che, insomma, tutta questa attenzione alle parole non serve.
Buon week end, commentarium, domani e sabato sarò a Trento a incontrare bibliotecari, e non solo. Non buonisti, comunque.
Sensazioni e sentimenti si esprimono alla meglio anche usando linguaggi non verbali. L’articolazione del pensiero -banale il dirlo- non può aver luogo senza uso di termini. È bene che siano il più possibile formalizzati; si potrebbero però imitare i saggi Houyhnhnms con il loro “yahoo”per esprimere accezioni negative!
in genere quelli che disprezzano i buonisti sono gli stessi che invocano un occhio di riguardo e una sana clemenza (quasi mai un velo pietoso) per i Ragazzi di Salo’, che gli accorderemo volentieri se non stessero sempre a scassare il cazzo con questa monomania della forca e dell’ordalia contro il diverso,o gli invasori nemici della patria che affonda le sue radici nella cristianità