A PROPOSITO DI LIBERAZIONE: DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI FEMMINILITA'

La parola “femminilità”, per le ragazzine degli anni Sessanta, evocava l’Enciclopedia della Fanciulla, naturale appendice under 18 dell’Enciclopedia della Donna. Nell’Enciclopedia della Fanciulla c’erano i test per capire quanto ti curavi del tuo abbigliamento, i consigli per annodare un foulard in cinque modi diversi, le regole per organizzare una merenda perfetta, una panoramica sulle borse estive da abbinare a gonna a pieghe, camicetta senza maniche e mocassini. Nell’Enciclopedia della Donna, come ovvia prosecuzione, c’era il manuale a puntate della cuoca perfetta, i consigli per la donna “che vive sola” e molti amabili trucchi sul ricevere ospiti.
Per la ragazzina degli anni Sessanta, femminilità era il Quartetto Cetra che cantava “Donna, tutto si fa per te” (Perché sei donna, gioia di vivere, donna, favola splendida. Sei tu, solo tu, quel desiderio che l’uomo chiama amor). Era Amy di Piccole Donne che fregava il fidanzato a Jo. Era un modello a cui sembrava impensabile sottrarsi, almeno finché i Sessanta non sono scivolati nei Settanta, la ragazzina ha cominciato a leggere e a vedere che il mondo cambiava attorno a lei e con lei, e quello che vedeva era un bel mondo, dove non esisteva un solo modello, ma molti modelli possibili, e questa era una straordinaria scelta di libertà. La mia amica del cuore, Graziella, andava alle riunioni del Movimento di Liberazione della Donna col reggiseno a balconcino, non con gli zoccoletti ai piedi e le gonnellone, e nessuno le diceva niente. Così, tanto per.
Divenuta adulta, la ragazzina ha finalmente letto quel che Simone de Beauvoir aveva scritto diversi lustri prima, sulla femminilità. Ovvero:
« (…) dunque non è detto che ogni essere umano di genere femminile sia una donna; bisogna che partecipi di quell’essenza velata dal mistero e dal dubbio che è la femminilità. La femminilità è una secrezione delle ovaie o sta congelata sullo sfondo di un cielo platonico? Basta una sottana a farla scendere in terra? Benché certe donne si sforzino con zelo di incarnarla, ci fa difetto un esemplare sicuro, un marchio depositato. Perciò essa viene descritta volentieri in termini vaghi e abbaglianti, che sembrano presi in prestito al vocabolario delle veggenti. Al tempo di S.Tommaso, la donna pareva un’essenza altrettanto sicuramente definita quanto la virtù soporifera del papavero. Ma il concettualismo ha perso terreno: le scienze biologiche e sociali non credono nell’esistenza di entità fisse e immutabili che definiscano tali caratteri, come quelli della Donna, dell’Ebreo, o del Negro; esse considerano il carattere una reazione secondaria ad una situazione. Se oggi la femminilità è scomparsa, è perché non è mai esistita (…) »
Per questo, nel cupo sussulto degli anni Dieci, quella ex ragazzina sbigottisce quando legge di Grandi Signore che quell’epoca hanno attraversato e di cui hanno usufruito, perché hanno potuto essere filosofe e scrittrici e quel che volevano, ed essere anche madri e nonne, senza confinarsi nello stereotipo della zitellona che rinuncia alla famiglia per scrivere, per esempio. Queste Grandi Signore, però, ci dicono che abbiamo sbagliato tutto, e ammoniscono le ragazze degli anni Dieci, quelle che hanno l’età di mia figlia (che se leggesse questo post si imbufalirebbe come solo lei sa fare e tirerebbe giù il soffitto e ci vorrebbero due ore di fusa da parte dei due gatti per placarla: giustamente), a stare attente, diamine, perché con tutte queste conquiste stiamo perdendo in femminilità.
Che significa, care Grandi Signore? Cosa avremmo perso, esattamente? La capacità di seduzione? Sicure? Non è che per caso state rimpiangendo l’elegante gesto dell’accavallo di gamba velata? Quello si fa ancora, le calze a rete si usano e si usa il rossetto e il fard e si ha piacere di essere belle. Per noi, prima ancora che per altri o altre. Non mi tramanderete mica, proprio voi, lo stereotipo della femminista mascolina con la gamba irsuta, i capelli unti, l’occhiale triste e i baffi? E se pure qualcuna decidesse di tenersi la gamba irsuta, significa che per questo motivo ha perso qualcosa? E se per caso un giorno la ragazza degli anni Dieci se ne andasse in giro vestita da writer di Rebibbia, e il giorno dopo da Spice Girl post-postmoderna, e quello ancora dopo da filosofa esistenzialista rivisitata, perderebbe in femminilità? Anzi, per chiarire: perderebbe in personalità, intelligenza, allegria e ANCHE potenziale seduttivo, visto che questo pare il punto?
O forse il problema è un altro. Il materno, ancora e sempre. Mi sembrano temere, queste Grandi Signore, che aver introdotto l’uso degli anticoncezionali ci abbia corrotte e rese infelici.
Così la scrittrice Silvana De Mari: “Madre natura non ha senso dell’umorismo e si secca parecchio. Si tratta di un blocco ormonale di una funzione fisiologica. È una scelta grave. Con la pillola purtroppo è nata la maternità responsabile, che a furia di responsabilizzarsi si è estinta. Il figlio si fa solo al momento giusto. Ma non è mai il momento giusto. È una scelta troppo grossa e soprattutto ne consegue una iperresponsabilizzazione” (segue, per chi ha il coraggio, sulla sua bacheca Facebook).
Sulla “sacra differenza” interviene, con altre parole (ma parole che si radicano ancora nella natura, eh, perché non si scappa), Luisa Muraro intervistata da Tempi.
Se c’è un pericolo, non è quello che intravedono loro, almeno per me. E’ che, chi consapevolmente e chi inconsapevolmente, si sospingano le ragazze degli anni Dieci a credere che le donne hanno un solo ruolo e un destino che la Natura ha scelto per loro: la maternità. Che, quando è scelta e voluta e desiderata, è faccenda meravigliosa e straordinaria. Ma quando viene vissuta come unica possibilità di realizzazione è una gabbia: per le donne, e per i loro figli e figlie.
E’ davvero possibile che tocchi scrivere queste banalissime considerazioni oggi, il 25 aprile del 2016? Sul serio? In quale buca del coniglio mi trovo? Quale incantesimo è stato lanciato? Stiamo, è vero, scherzando?

14 pensieri su “A PROPOSITO DI LIBERAZIONE: DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI FEMMINILITA'

  1. Mi torna in mente quel magnifico servizio fotografico in cui la madre ritraeva la figlia sporca di fango e più battagliera che mai. Strong is beautiful, mi sembra si intitolasse. La femminilità non si è persa, è cambiata. Il problema è come la si misura, se in termini di seduzione, di procreazione o in termini di felicità e di realizzazione personale, che dovrebbero essere gli unici davvero importanti.

  2. Mi viene in mente Tolstoj quando arrivato alla vecchiaia, ammoniva la gioventù e si ergeva a santone privo di voglie terrene che viveva in rettitudine e ascetismo….Si, dopo una vita passata tra giovani e belle donne che disprezzava (misogino com’era), feste, tradimenti, sfarzi eccetera eccetera. Queste guru del femminile fanno lo stesso. Prima si autodeterminano, scelgono di fare le scrittici, di lavorare, hanno forse un figlio, in linea con le donne che ora criticano.
    Una signora, di cui non ricordo il nome purtroppo, su facebook ha commentato dicendo che dovrebbero scendere dal pero borghese con la tazzina di the e pensare a cosa guadagnerebbero le donne di ceti più bassi con questo ritorno al naturale? femminile? materno?.
    Se Muraro, De Mari e compagnia cantante, hanno voglia di fare le damine ottocentesche, facessero pure, ma non in mio nome. Parlassero per loro! Ringrazio le donne che hanno conquistato per me i diritti di cui godo ora. Faccio quello che posso perché questi diritti non ci vengano portati via. Di mamma ce n’è più d’una, e pure di femminile. Ognuna sceglierà la sua strada. Che brutto esempio che danno queste donne mature alle giovani. Donne adulte, autorevoli, che ammoniscono le giovani come farebbe un vecchio patriarca rabbioso. Ne ho sofferto tanto io di questi ammonimenti quando ero più giovane. Ora ho 30 anni e mi sento più ferma sulle mie gambe. Ma le altre? Concludo dicendo che queste esternazioni non dovrebbero trovare spazio nei giornali. Andrebbero sbertucciate come commento di Tizio al bar sport, altro che icone del femminile!

  3. Ho come l’impressione che saltato il modello femminile delle nostre nonne o mamme con la rivoluzione femminista degli anni settanta non si sia trovato un nuovo modello cui rifarsi: vivere e lavorare in un mondo di uomini ci ha costretto, per certi versi, a usare il modello maschile decisamente più aggressivo e competitivo. Il fatto è che anche questo modello ci sta stretto poichè non siamo uomini ma abbiamo una sensibilità diversa ed anche esigenze differenti come la maternità, ad esempio. Scegliere di essere madri dovrebbere essere questo una scelta e non una costrizione … ma nemmeno un lusso per cui se una donna desidera avere dei figli la società non la sostiene con niente: gli asili comnali sono pochi e quelli aziendali inesistenti. Chiedere permessi per la malattia di un bimbo sembra qualcosa di cui vergognarsi la stessa maternità un modo per sottrarsi al lavoro!

  4. Hai ragione loredana la femminilità non si esaurisce con la maternità. completamente d’accordo con te. Pero io condivido in pieno anche il discorso di Silvana de Mari perchè l’ho vissuto sulla mia pelle. Il prendere la pillola in continuo per evitare le crisi di emicrania ha fatto si che la maternità abbia dovuto essere programmata, solo che il momento giusto non è mai arrivato. E mi sono ritrovata alla soglia della quarantina col rischio di avere un bimbo handicappato. E questo rischio (o meglio il rischio di abortire un bimbo handicappato) non l’abbiamo voluto prendere. ho preferito evitare la maternità. Non per questo mi sento meno donna. anzi non mi sono mai posta la questione della mia femminilità, la do per scontata.

  5. “Con la pillola purtroppo è nata la maternità responsabile”… Caduta libera di mascella davanti a questa affermazione! Davvero qualcuno, una donna per di più, sta dicendo, aah, com’eravamo più donne quando a ogni rapporto sessuale si rischiava un figlio? (tra parentesi chissà poi come te lo godevi, quel rapporto, pensando alle possibili conseguenze).
    Proprio in questi giorni leggevo “Prima le donne e i bambini” di Gianini Belotti. In una parte l’autrice riporta conversazioni con altre donne su questioni sessuali e riproduttive. Una donna dice (riporto a memoria): dopo il quarto figlio, ho cominciato a fare gli aborti, ma di nascosto che se mio marito lo scopriva mi riempiva di botte. Il libro è del 1980! Ma la De Mari si è già dimenticata qual era l’alternativa alla maternità responsabile, per le donne? Tra l’altro nello stesso libro la Belotti proponeva, tra il serio e il faceto, come alternativa alla pillola, una contraccezione al maschile, consistente nel riscaldamento dei testicoli -“volgarmente detti palle ” cit.- con ripetuti bidet caldi, per devitalizzare gli spermatozoi, e registrava le veementi obiezioni e le reazioni scettiche raccolte a questa proposta. E chiosava: “la differenza tra la disponibilità maschile e femminile a controllare la fertilità è data dal fatto che quella che rimane incinta è la donna, e che per evitare questo rischio è disposta a correrne altri, mentre l ‘uomo non è disposto a correrne alcuno per evitare un rischio non suo”. Forse sarà per questo che le donne sono disposte a una “scelta grave” come “un blocco ormonale di una funzione fisiologica”? Insomma certo che non è uno scherzo bombarsi di ormoni, ma anche avere diverse gravidanze indesiderate, e relative conseguenze, non è uno scherzo, eh. Sembrerebbe un punto assodato, da cui eventualmente andare avanti e discutere magari anche di paternità responsabile … Invece con quel purtroppo si torna indietro di decenni.
    E la De Mari per di più imputa il basso tasso di natalità esclusivamente alla volontà delle donne, quasi i figli non nascessero generalmente anche da un padre, che anche lui ha voce in capitolo su quando e quanto allargare la figliolanza; e come se queste scelte venissero fatte nel vuoto, e non nel quadro di una situazione economica che anch’essa può avere un certo effetto sulle scelte rirpoduttive.

  6. Cara Loredana, pur conoscendoti da tanto tempo,è la prima volta che ti scrivo. Ho 64 anni,mamma di 4 figli e nonna di quasi 3 nipoti. Ho una famiglia molto colorata, che ti racconterò. Ho vissuto il femminismo quello del governo vecchio, capendoci poco. Solo ora ho un po’ di chiarezza in testa. Però ti voglio comunicare che la mia figlia più piccola (28 anni) aspetta un bambino ed è sola, perchè a deciso di portare avanti la gravidanza nonostante non la sfiora nemmeno di condividere il futuro con il padre del bambino. Negli anni io ho cercato di renderla responsabile di se stessa, parlando sempre di tutto conlei ( quando era adolescente e fidanzatissima con il suo primo ragazzo, la portai dalla ginecologa), ora non sono affatto meravigliata di questa sua scelta, ma io ci sarò sempre.

  7. a proposito di Silvana De Mari e guardando la realtà che mi circonda, trovo che la sua riflessione non sia affatto peregrina e sottintenda, con la “scusa” volutamente provocatoria della pillola “purtroppo”, un altra questione e cioè la pretesa del figlio sanissimo e perfetto, quasi da esibire come ultimo – e ribadisco ultimo – successo della propria vita.
    In molti casi io vedo che le cose vanno così e che l’idea della maternità non viene rifiutata (come è più che legittimo fare), bensì semplicemente ritardata, intorno o oltre i quarant’anni…

  8. @ Mauro, veramente a me sembrano discorsi totalmente scollegati.
    (A parte che se una donna vuole più chance di un figlio sanissimo e perfetto, le conviene farlo prima dei quarant’anni, casomai). Ma se si vuole parlare di questo, perché tirare in ballo allora la pillola, gli ormoni, madre natura?
    “Madre natura non ha senso dell’umorismo e si secca parecchio. Si tratta di un blocco ormonale di una funzione fisiologica. È una scelta grave.”
    E perché, se i figli si fanno tardi, si parla di “maternità” troppo responsabile, tu stesso dici “maternità” che viene ritardata, ecc.? Di solito un figlio lo si fa, o non lo si fa, in due… I padri dei figli di queste donne che conosci (che secondo te vogliono il pupo a quarant’anni così come ultimo successo) quanti anni hanno, loro? Venti? O magari anche loro hanno quarant’anni come le loro compagne, se non magari di più? Certo se i figli sta a casa la moglie a badarli, rinunciando per esempio al lavoro, mettiamo, per l’uomo cambia poco farli a trent’anni o a quaranta. Ma quando anche lui è chiamato a condividerne la cura, e a sacrificarvi parte della sua disponibilità di energie e di vita professionale, in modo paritario, come credo oggi succeda in molte coppie, le cose cambiano. Ma a leggere così sembra che sia sbagliato, egoista, insomma brutto, aspettare a fare figli, magari per inseguire altre forme di realizzazione, ma che come sempre lo sia solo, o soprattutto, per le donne.

  9. Le immagini della tua enciclopedia del femminile mi hanno fatto venire in mente immagini non molto diverse che puoi trovare su qualsiasi giornale femminile: la cura del corpo, come farlo innamorare, come preparare il pranzo perfetto, la rincorsa a essere la madre migliore del mondo. Cos’è cambiato? Forse che si parla esplicitamente di sesso, ma quasi sempre in chiave di “come farlo felice a letto”.
    Diochetristezza!

  10. @ mauro: perfettamente d’accordo con francesca violi. Il suo mio caro è il punto di vista di un uomo. Mi sembra legittimo il volere un figlio sanissimo. A parte il fatto che per allevare un figlio handicappato ci vuole una certa forza che non tutti, uomini e donne, hanno. Sarebbe stato terribile piuttosto dire “vorrei un figlio biondo con gli occhi chiari” perchè li si sconfinerebbe nell’eugenetica e nel razzismo.

  11. ElenaElle, per essere precisi consigli su come soddisfare sessualmente la partner li trovi anche sugli omologhi “maschili” di quelle riviste e spesso sono altrettanto ridicoli

  12. E’ triste davvero dover ancora stare qui dopo decenni a dover parlare ancora di dicotomie…natura\cultura come se tutte le riflessioni fatte non avessero portato a nulla in tutti questi anni

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