LETTORI, CRITICI, EDITORI

Alcuni temi di questo articolo erano già noti, perché ne abbiamo discusso qui. Ad ogni modo, è uscito ieri su Repubblica.
Che fine ha fatto il lettore che si abbandona al libro che ha fra le mani, identificandosi con la narrazione fino a dimenticare dove si trova? A giudicare da quanto avviene in rete, nei circoli di lettura, ovunque sia possibile ascoltare la voce di chi legge, sta diventando difficile trovarlo.
La figura che emerge con prepotenza è invece quella del lettore critico, attivo, iperattivo, forte della competenza acquisita fra scuole e manuali di scrittura, pentito della passata ingenuità e deciso a non lasciarsi incantare. Nei social network di lettori, per esempio, ci si imbatte nei commenti di chi contesta incongruenze e linguaggio anche nei classici, bocciando impietosamente La fattoria degli animali di Orwell («trama praticamente inesistente, libro pesante e noioso») o La montagna incantata di Thomas Mann («Mio Dio, succederà mai qualcosa in questo libro?»).
Insomma i lettori cambiano, e rivendicano una competenza da editor: a volte, sovrappongono tranquillamente l´io scrivente all´io leggente: «lo scriverei meglio» sembra il non detto (a volte esplicitato) di molte critiche. Sentite Xenja sul Ritratto di Dorian Gray: «Ha un buon soggetto ma è scritto in modo insopportabilmente lezioso», o Marta che ragiona così rispetto a L´amante di Lady Chatterley: «In alcuni punti estremamente inappropriato, come se ci fosse qualcosa fuori posto». Sono commenti pescati a caso su siti come aNobii o Internet Bookshop.
Un bene o un male? Di sicuro, qualcosa di molto diverso rispetto al passato: Finzioni Magazine, da mesi al primo posto nella classifica dei blog letterari, ha non casualmente redatto un “Libretto rosa” scaricabile gratuitamente in vari formati dove si mettono a fuoco i diritti dei lettori critici. Il gruppo di fondatori (Jacopo Cirillo, Carlo Zuffa, Jacopo Donati, Michele Marcon, eFFe) spiega però che la mutazione è positiva: «Non crediamo alla distinzione tra io scrivente e io leggente, pensiamo invece che lettura e scrittura siano due fasi (spesso sovrapposte) di uno stesso processo creativo. Preferiamo allora parlare di un “noi” che comprende lo scrittore, il testo, il lettore e la comunità di lettori in cui questi è immerso. L´emozione della lettura emerge dal dialogo che il lettore instaura con quel particolare testo, a prescindere dall´autore, e si ri-produce, si sviluppa quando la lettura viene socializzata. Dietro l´empatia con l´autore sospettiamo si celi talvolta, in maniera inconsapevole, un timore reverenziale. Quest´attitudine danneggia l´autore stesso, perché lo priva di un confronto vitale con i suoi lettori. Concepire dunque la lettura come un processo attivo e creativo di elaborazione del testo al pari della scrittura significa che lo stesso mestiere di scrivere deve sviluppare delle pratiche di apertura nei confronti dei lettori, mentre “il mestiere di leggere” deve espandersi, collettivizzarsi». Chissà cosa ne pensa Enrique Vila-Matas, scrittore spagnolo, che sabato a Torino terrà una lezione sul tema del lettore attivo, che «non si limita a consumare il libro ma lo completa».
Il punto di vista dell´editore è pensoso. Alberto Rollo, direttore letterario di Feltrinelli, inscrive il fenomeno in una problematica più vasta: «Quella che vacilla, soprattutto per i più giovani, è la consistenza dei maestri: non esistono più i fratelli maggiori. Semmai, sono i coetanei a essere credibili: ognuno rivendica la propria individualità, ma sono pronti a far proprie le convinzioni di uno scrittore capobanda che ritengono affidabile. Quel che è certo è che quando parlo con giovani scrittori o con giovani che vorrebbero diventare scrittori, e chiedo loro se abbiano letto Mattatoio n. 5, la risposta («avrei cambiato quel passaggio») è prima da critici e poi da lettori. E quando chiedo agli studenti della scuola di scrittura Bruna Miorelli di commentare i testi letti ad alta voce da un collega, e di farlo mettendo a fuoco le emozioni, non ne sono capaci. Mi sembra, insomma, che i nuovi lettori rincorrano soprattutto i tools, gli utensili per poter un giorno fare gli scrittori. Ma senza le emozioni non lo diventeranno mai». A determinare la situazione attuale è, secondo Rollo, una serie di errori variamente distribuiti: «Nell´editoria, per esempio, c´è stata una superfetazione di narratori nuovi. Ma ha contato anche la quasi inesistente mediazione di una supposta critica letteraria che offra non dico dei canoni, ma criteri di bellezza, che insegnino a giudicare il valore e non il gusto».
Sulle responsabilità dell´editoria insistono anche i redattori di Finzioni: «Certi editori considerano i libri come prodotti e i lettori come consumatori. Ma un libro non è un prodotto come lo è una busta di patatine, un libro è un dialogo tra uomini, e dunque il mercato editoriale dovrebbe assomigliare più a un “parlamento” (nel senso letterale) che a una fiera di bancarelle e mercanti che urlano». Eppure, sostiene Rollo, la protesta del lettore che arriva a chiedere indietro i soldi per quello che viene considerato un brutto libro «è il segnale di un gravissimo misunderstanding dell´industria culturale: non restituisci quasi mai la frutta marcia al fruttivendolo, mentre nel caso dei libri si rivendica il diritto di protestare un prodotto che dovrebbe essere sempre, anche nel caso della letteratura commerciale, una dichiarazione di libertà. È il risultato di vent´anni di mortificazione della cultura».
Finzioni rilancia, e suggerisce: «Che succederebbe, per esempio, se alle riunioni in cui ogni anno gli editori decidono le proprie uscite venisse invitata una delegazione di lettori e questa presentasse delle proposte concrete? Che succederebbe se uno scrittore acconsentisse a una lettura e un editing collettivo delle bozze del suo nuovo romanzo?». Di sicuro sarebbe difficile arrivare alla fine del lavoro. Basta tornare a rileggere i commenti dove anche Manzoni avrebbe avuto parecchi problemi: «La storia non funziona, andavano limitati i giudizi personali dell´autore a vantaggio della trama», spiega Marco. E pure Svevo non avrebbe avuto vita facile secondo Licia: «Nella Coscienza di Zeno doveva partire dal secondo capitolo, il primo è così legnoso e dà un´idea sbagliata del romanzo».
Era il 2006, quando Time decise che la personalità dell´anno eri You, proprio tu. Gli esiti cominciano a vedersi ora, e non saranno indolori.

47 pensieri su “LETTORI, CRITICI, EDITORI

  1. “Che fine ha fatto il lettore che si abbandona al libro che ha fra le mani, identificandosi con la narrazione fino a dimenticare dove si trova?”.
    Alcuni di loro sono stati “uccisi” dalla frequentazione del web.
    Per fortuna molti altri, la maggioranza, non si dilettano ad esprimere le proprie opinioni in rete, e di conseguenza a sforzarsi di averne.
    Io sono sempre più convinto che stiamo sopravvalutando fenomeni assolutamente marginali e confinati ad un preciso ambiente virtuale. Mai visto in giro gruppi di giovani che discutono in maniera critica di libri e letture. E scrittori che vendono decine di migliaia di copie sono commentati sui blog da non più del 5% dei lettori.
    Poi, per carità, magari sono io che sono distratto e non mi accorgo che i milioni di lettori dei libri di Faletti (per fare un esempio) hanno in maggioranza espresso online la loro critica opinione. 🙂

  2. Credo che il problema stia un po’a monte e cioè, le pessime condizioni (causa scelte politiche maldestre) in cui si trovano scuola e università che dovrebbero creare i lettori -validi- del domani. Il proliferare di corsi di scrittura un po’ ovunque è conseguenza delle tante carenze all’interno del sistema scolastico. Sarebbero preferibili, sparsi in giro per la penisola, più corsi di lettura e ovviamente, una politica seria e attenta alla formazione.
    P.S.
    Più tardi torno a leggere il link di Vitali, ora scappo.

  3. Il lettore che non accetta supinamente qualsiasi testo gli venga dato dalle auctoritas autoriali, che si permette di criticare non solo idee ma anche tecnica narrativa e (orrore!) perfino di chiedere indietro i soldi per un libro che non vale la carta su cui è stampato è il terrore di editori pressapochisti – quando non proprio disonesti (“Vuoi dire che dovrei davvero sbattermi e pubblicare libri di qualità ben editati e non ciarpame pesantemente pubblicizzato?”) – e di scrittori incapaci di accettare critiche (e di solito questo accade perché si rifiuta la possibilità di aver da sgobbare ancora parecchio, e soprattutto che qualcuno possa farlo notare).
    Per dire, quanto ho appena scritto sta tutto in una pesantissima frase-mattone. Immagino mi si possa far notare che è ostica e non immediata, no?

  4. E’ una tendenza culturale che scavalca il campo e riguarda una serie di saperi artigianali e creativi la cui gloria in passato era dovuta al lavoro metodologico sulla propria soggettività. Il grande scrittore, come il grande cuoco era quello che faceva del suo gesto spontaneo un metodo, e ci lavorava su in maniera ossessiva, fino a diventare come uno strumento musicale. Oggi ci sono e le scuole di scrittura creativa, e le scuole di cucina, e in entrambi i casi assistiamo all’industria culturale della produzione soggettiva. Cose gradevoli da consumare ma uniformate da un unico orizzonte di senso, da un canone unico, da una norma condivisa. Quella che fa dire la donna del post che insomma Thomas Mann vero, poteva fa mejo, quell’altra che ci ha da sindacare su Wilde.
    Non ci entra proprio la faccenda dei sentimenti, del contatto con le emozioni – questa è retorica pura, e non ci salva dalla cattiva prassi. Si è persa la consapevolezza dell’oneroso dovere di inventare una weltanschauung metodologica e semantica, che era l’obbiettivo del vecchio artigiano e si scambia una gradevole mediocrità come risultato. E finchè me continuano a pubblicare le opere struggenti dei formidabili geni, li per dire un esempio di aurea mediocritas, ebbeh non annamo lontano.
    (ps. ho la sensazione di averle già scritte qui queste cose, mi scuso se mi ripeto)

  5. Putroppo anche il libro sta diventando prodotto commerciale puro. Esiste una giusta via di mezzo tra il lettore “distratto” che legge tutto a prescindere ed uno ipercritico che ha da ridire su “La fattoria degli animali” e “Il ritratto di Dorian Grey” (in certi casi un critico obiettivo deve sapersi chiedere: ma se questo libro ha ottenuto tanto successo e a me non convince dov’è che mi sbaglio?).
    Un discorso culturale globale non può non considerare tanti altri aspetti: un universitario che studia teoria e critica letteraria rivendicherà il diritto ad avere un parere autorevole; un signore che ha vinto un concorso di poesia non può esimersi dal dire la sua su certe figure retoriche che non condivide; un ragazzo che ha pubblicato con una casa editrice a pagamento si sentirà un collega e criticherà la caratterizzazione di un personaggio o la banalità di alcuni dialoghi.
    Questi sono tutti esempi di persone che hanno speso dei soldi (spesso parecchi) in cultura, persone che sono ingranaggi di un sistema che vuole che tutto sia mercato, persone alle quali non si può negare il sogno di sentirsi dei critici letterari…

  6. Sottoscrivo le riflessioni di corpo 10. E aggiungo: in un mondo come il nostro totalmente dominato dalle merci e dal consumo, in cui lettealmente “io sono quello che compro”, è inevitabile che il compratore/fruitore finisca per ivendicare l’unica libertà possibile che gli è oramai concessa – quella di criticare (a torto o a ragione poco importa) i suoi acquisti. E i consumi culturali nonn fanno eccezione alla regola.

  7. “Il grande scrittore, come il grande cuoco era quello che faceva del suo gesto spontaneo un metodo, e ci lavorava su in maniera ossessiva, fino a diventare come uno strumento musicale.”
    Esatto, stavo per tornare su questo punto, ma Zauberei mi ha anticipato.
    Breve aneddoto: un caro amico, insegnante di lettere alle scuole superiori, mi ha raccontato della reazione che hanno i suoi studenti quando spiega tutti i passaggi che hanno portato D’Annunzio a utilizzare il verbo *aulire* (proprio quel verbo e non un altro) per “La pioggia nel pineto”. Gli alunni rimangono a bocca aperta e, inevitabilmente, c’è sempre qualcuno in aula che dice: “Prof, ma tutto quel lavoro per una sola parola?”.
    Ecco, tutto quel lavoro per una sola parola è, a parer mio, l’antidoto contro il pressappochismo, la cura per ciò che Zauberei definisce “gradevole mediocrità come risultato”.

  8. Completamente d’accordo con cuk. Se gli editori pubblica spazzatura glielo si dovrà pur far notare. E’ per il loro bene magari non se ne sono accorti.
    La frutta marcia io la do indietro eccome se chi me la vende sa che lo è e me la fascia con una “bella copertina” senza permettermi di aprirla per verificare le condizioni.

  9. Io non sottovaluterei l’impatto del Web 2.0, in cui siamo tutti, o quasi, produttori di contenuti. Questi processi erano in atto già da tempo, ma ora hanno ricevuto una fortissima accelerazione. Da una parte è un bene, perché così sia i libri-spazzatura che quelli interessanti vengono immediatamente segnalati e posti in evidenza. Ma per contro, ci si sente autorizzati a dire qualunque cosa su qualunque tema.
    P.s.: grazie per il link e complimenti per l’articolo.

  10. mmm… ma voi ci credete alla storia del lettore che si abbandona incondizionatamente al piacere della lettura? Quando è che eravate (che eravamo) così? E con quali libri entravamo in così profonda comunione? Sicuri che i salotti letterari dell’altro ieri non fossero pieni di parlamenti su cosa fa quel personaggio in quella scena e su come invece avrebbe dovuto… ?
    Oggi abbiamo un infinita possibilità di accesso a strumenti da specialisti Ora che si moltiplicano corsi, manuali, dispense e quant’altro sappiamo perché certe cose ci piacciono o meno. E quando abiamo uno strumento, lo usiamo (grazie al cielo si può sezionare un romanzo senza fare reati).
    Forse però, e questo mi rammarica, bisogna aggiungere che il commento tecnico è il solo che ci resta quando ogni residuo di romanticismo o di ideale è stato eroso – dai nostri discorsi, spero non dalle nostre vite.

  11. Non mi pare che il fenomeno possa essere imputato a quello che si pubblica e nemmeno a come è scritto. Scritture raffinate e fumettoni si pubblicavano anche nell’ottocento, la cultura di massa non ha fatto altro che aumentare la merce disponibile.
    Quello che è profondamente cambiato è il rapporto tra libro e lettore, perchè il lettore ha assunto il profilo psicologico del fruitore di altri e nuovi media, e lo ha riversato su quel media tradizionale che è il libro. E’ un pubblico più televisivo che cinematografico, più da tastiera che da lettura quello che oggi si avvicina e si rapporta al libro. Un pubblico condizionato, come direbbe McLuhan da un media “caldo”, che sviluppa partecipazione emotiva più che distanza “assorbente”, o che comunque dopo l’atto della lettura ne parla da interlocutore dello scrivente più che da discente o spettatore. Sarebbe anche ora di dire che la propensione alla lettura di libri è inversamente proporzionale alla frequentazione della Rete e soprattutto dei social network: non perchè qui ci sia più stupidità che là ma perchè. in termini di stile e modalità di rapporto, c’è un profondo contrasto tra le due cose.
    Al navigatore della rete manca quella che Girard chiamerebbe la “mediazione esterna”, cioè la percezione di autorità o modelli o oggetti del desiderio che trascendono la propria condizione e competenza. Parla di tutto, non è realmente esperto di nulla, ma non per superbia: perchè ciò che lo muove è la ricerca di contatto più che l’apprendimento. Medium is message, medium is massage.

  12. “la propensione alla lettura di libri è inversamente proporzionale alla frequentazione della Rete e soprattutto dei social network”
    su questo non sono d’accordo…Su anobii, per dire, c’è un’altissima concentrazione di gente che legge assai di più della media nazionale. Che non ne fa un posto di persone necessariamente qualificate alla critica letteraria, eh, ma certo non si può dire che hanno bassa propensione alla lettura…

  13. secondo me il problema è “internet”.
    provo a spiegarmi: l’idea di vedere il proprio pensiero scritto da qualche parte e leggibile da potenziali milioni di persone regala un senso di onnipotenza e presunzione che rende tutti “esperti di tutto”.
    mi rendo conto del paradosso per cui anche io che scrivo questo commento, in questo preciso momento, pecco di questo complesso. ma è un paradosso che non posso evitare.
    per fare un esempio anche al di fuori del tema “critica letteraria”: spesso mi piace scrivere di scienze, sono una biologa e ci sono temi che mi stanno particolarmente a cuore. mi capita di leggere commenti, non solo sul mio piccolo blogghino, ma un po’ in giro per la rete di immunologi improvvisati, di esperti mondiali di biotecnologie (ma che hanno magari studiato economia), colte discettazioni su bioetica o omeopatia fatte da chi non si è mai occupato di biologia o in generale di metodo scientifico.
    se da un lato internet apre alla “democrazia psrtecipativa” dando a chiunque ha un computer la possibilità di scrivere e di venire ascoltati, dall’altro c’è il rischio enorme del dilettantismo della materia.
    la ragazza che critica il ritratto di dorian gray mi ricorda tanto i grillini che chiedono al presidente della repubblica di sciogliere le camere senza aver mai letto la costituzione.

  14. Letteredalucca, è vero, ma in narrativa esiste, mi pare, un problema opposto: la competenza del lettore molto spesso c’è, ed è anche alta, tecnicamente parlando. Ma, da quel che mi sembra, è lo sguardo tecnico che sopravanza l’altro. Credo che il riferimento alle emozioni vada inteso in questo senso: abitualmente, a prima lettura, non è all’uso dei punti di vista o delle descrizioni che va l’attenzione. Mi pare che sia l’atteggiamento da editor, invece, a prevalere. In rete soprattutto, ma non solo.
    Che poi questo atteggiamento vada inscritto in un quadro molto più vasto mi trova perfettamente concorde.

  15. Chi esce da casa, con la pioggia o sotto il sole, e va a spendere soldi per acquistare un libro, ha tutto il diritto di preferire Liala a Gogol. Ciò che non dovrebbe fare (pur avendone il diritto perché la democrazia prevede anche la libertà di idiozia) è ritenersi un esperto di letteratura. Ma questo vale per chi legge, per chi scrive, per l’editore e per il critico.
    Ho sentito cose che voi umani…, nel senso di sedicenti esperti che non hanno mai letto, per esempio, Dickens. Intendiamoci, le lacune sono fisiologiche. Sono io il primo ad averne tante, ma avere tali lacune dovrebbe sconsigliare dall’assumere un atteggiamento saccente. Insomma, se un tizio si definisse profondo conoscitore di pittura e interrogato su quale quadro di Velasquez preferisce dicesse di non averne mai visto uno, la sua conoscenza della pittura sarebbe in realtà profonda quanto una pozzanghera.
    In tutto ciò la critica non aiuta. Spesso il critico tende a spiegare un libro per “come è” e non per “cosa è”. Se mi deve piacere l’ultimo di Roth, lo decido da solo. Quello che il critico mi dovrebbe spiegare è cosa rappresenta l’ultimo di Roth nella produzione dell’autore. Analogie e differenze con i romanzi precedenti. Somiglianze con libri di altri autori. Evoluzione o involuzione del linguaggio narrativo. Poi, se proprio il critico non resiste a essere protagonista quanto lo scrittore, ci mettesse in coda anche il suo illuminato parere. Ma il lettore continuerà a essere liberissimo di preferire il libro delle barzellette di Totti al canzoniere di Petrarca. Con umilità, però, se il lettore crede che Paul Auster sia il centravanti del Tottenham.

  16. “Che fine ha fatto il lettore che si abbandona al libro che ha fra le mani, identificandosi con la narrazione fino a dimenticare dove si trova?”
    Eccomi!
    🙂
    Secondo me ci sono tanti modi per esprimere un parere critico su un libro e il web permette di farlo in libertà, ma non bisogna sopravvalutarlo.
    Io metto le mie tre righe di commento sui libri che leggo, e questo serve soprattutto a me, per ricordare quello che ho letto, per tenerne traccia.
    Non sono un critico, non vorrei mai esserlo, non sono una scrittrice e non aspiro a diventarlo. Sono come moltissimi altri una lettrice mediamente vorace, che spera ogni volta di potersi abbandonare al piacere puro della lettura senza per forza notare magagne e imperfezioni stilistiche del testo… e con i classici non si sbaglia quasi mai!

  17. Eccomi! sono uno di quei lettori che – ahimè – ancora si perdono all’interno delle righe e delle parole scritte nel libro che ha in mano. e poco conta, se la mia fermata era quella precedente, o se la pasta è scotta perchè dimenticata sul fuoco. quando ho un libro tra le mani, contiamo solo io e lui, le porte che mi apre su altri mondi, i personaggi con cui – spesso, lo ammetto – mi capita di dialogare anche ad alta voce. non mi importa dare un parere in pasto alla rete, non mi perdo dietro all’analisi del linguaggio piuttosto che al ritmo della narrazione. certo, anch’io opero i miei distunguo, anche a me capita di pensare “uff, come va lenta, ‘sta storia”, oppure “ma come cavolo è scritto?”, però al di là di tutto prevale il grande dono che ogni libro ci può fare: renderci liberi dal tempo e dallo spazio, e farci ancora sognare.

  18. In questo caso sono per la separazione delle carriere: l’autore da una parte, il lettore dall’altra.
    Un conto è il giudizio personale, un conto è credersi editor. È giusto, a mio parere, poter dire “Quel romanzo (metteteci il titolo che vi pare, anche tra i classici) non mi è piaciuto” senza sentirsi bestemmiatori in chiesa; altro paio di maniche è andare a fare le pulci. È giusto, sempre secondo me, anche non avere timore reverenziale nei confronti di un autore, ma qui si tratta d’altro. Un corto circuito tra soggettività e oggettività.
    Con quali credenziali, poi? Gira gira, si parla di gusti personali, che non è esattamente il punto di partenza migliore per sezionare un’opera. Opinioni, quante se ne vuole; giudizi assoluti, magari anche no.

  19. Ci sono diverse cose su cui sono d’accordo nel libretto rosa. Se (tra le altre cose) è un semino gettato per rendere la lettura un dialogo senza tempo e costruttivo con un autore e con la sua opera (cosa che accade spesso a chi legge) a me sta bene. Se poi la pratica di libertà e interazione e dialogo dei lettori, è poter accedere alla critica semplicemente prendendo il posto dei critici ufficiali proponendo giudizi definitivi e tranchant, ci vedo solo narcisismo, che si nutre di valutazioni affrettate e poco elastiche, e ama ribaltare le opinioni. Web o non web.
    Io credo che quello che può fare il lettore qualunque è ‘dialogare’ con un testo e provare a dire a parole, a esprimere quello che prova, quello che sente (può essere difficile, eh. Mi associo con chi ha parlato di attrezzi, di strumenti che dovrebbero essere dati in primis dalla scuola!).
    Se lo scrittore è stato in grado di ‘cavargli le parole di bocca’, o prevenire i suoi pensieri, o dare forma chiara a dei concetti, e così via, allora si può provare quel senso di comunità e dialogo con gli altri di cui, banalmente, abbiamo bisogno. Anche le altre forme d’arte hanno sempre ricevuto giudizi ‘ufficiali’ e pareri profani spesso in contrasto. Quel che conta è la capacità di relazionarsi con l’altro (libro o disegno, ecc.) con umiltà e direi ‘affettività’.
    A monte c’è a parere mio però l’immagine che ci siamo costruiti dello scrittore, dell’artista in genere, e del suo lavoro… Apprezzamento, gratitudine e stima non sono feticismo o, se non ci piace, disprezzo.

  20. Non bastava la figura dell’editor iper-invasivo (già trattata in Cazzeggi Letterari nel post “NUOVI FLAGELLI DELL’EDITORIA”), ora dilaga pure quella del lettore iper-invasivo, che vorrebbe mettere le mani nella pasta letteraria delle opere di cui diventare acquirente. Il rischio, però, è che lettore, editore, scrittore finiscano per coincidere nella stessa persona, ovvero che, con la scusa della partecipazione, si precipiti verso abissi di onanismo sempre più parossistico. Ognuno leggerà solo le proprie stesse opere, naturalmente uscite in self-publishing*-°

  21. Dovessi leggere da lettore critico/attivo mi si sciuperebbe gran parte del piacere di leggere.
    Se un libro non mi piace o è addirittura brutto me ne accorgo, mica sono scema, ma mettermi a fare l’analisi del testo su quale passaggio o quale elemento della trama non fila, che senso ha? Mica ci devo fare il compitino sopra…..

  22. È vero, c’è una certa difficoltà a non essere addetti ai lavori. Ma c’è anche una più generica difficoltà a parlare di sentimenti. Credo che le due cose non siano così distanti. Abbandonarsi alla lettura, mollare gli ormeggi, vuol dire in una certa misura anche mettersi in discussione. Sedersi in cattedra e segnare con una penna blu i punti in cui il cambio del punto di vista non è coerente, oppure l’autore racconta invece di mostrare, così come parlare di incipit e snodi narrativi, è molto più gratificante. Quando tutto si trasferisce su internet e viene esposto in bacheca, è più semplice mettersi in gioco con un punto di vista tecnico, equazioni che hanno la confortevole qualità di essere dimostrabili, piuttosto che lasciarsi andare a raccontare un’emozione. Cercare di capire come è fatto dentro un libro è un esercizio divertente e formativo, ma è bene farlo a una seconda lettura. Perché rinunciare all’esperienza che vive il lettore è prima di tutto un peccato mortale ma anche un arricchimento mancato, un punto di vista, prezioso, che va perduto. Una visione d’insieme, emotiva quanto si vuole, che svanisce. Sarebbe come andare a cena con un amico e anziché godersi la sua compagnia pensare al suo fegato e ai suoi succhi gastrici che di lì a poco si avventeranno su quello che stiamo mangiando. E magari fare il calcolo di carboidrati e colesterolo a chi ti chiede com’è andata la serata.

  23. Il cliente ha sempre ragione. I libri si vendono. Sono prodotti, il lettore è un cliente. Legittimo che cerchi ciò che desideri, che critichi ciò che ha acquistato. Il problema si pone se va in un discount e pretende merce di ottima qualità, se va in gastronomia e vuole merce a basso costo e di pedana. Insomma: utenza e servizi ( il libro è un prodotto, ma la scrittura è un servizio) devono essere tra loro compatibili. Chi scrive deve individuare un target, chi legge scegliere in base alle sue preferenze o l’incompatibilità è in agguato. Ho letto autori osannati che mi hanno lasciato perplessa, per contro mi sono divertita leggendo storie scelte un po’ a caso e un po’ a naso. Difficilmente sono stata delusa da un autore scelto una seconda volta e ancor meno una terza: significa che c’era corrispondenza. Il rapporto era biunivoco. Allora ci si perde, leggendo, anche un po’ in se stessi e non perché si legge quel che si produce, ma ciò in cui ci si ritrova ( o ci si perde ma molto volentieri) e, se si scrive, a nostra volta, ciò che ci fa dire: mi piacerebbe essere l’autore di ciò che sto leggendo oppure, anche…ecco, ciò che leggo è inarrivabile, per me. Senz’arrivare tuttavia a tale stato d’amorosa intimità tra autore e lettore, a me basta chiudere il libro con il dispiacere che sia terminato ( anche se c’era l’urgenza di finire la lettura) e il piacere di non aver buttato i soldi ed essermi divertita. Ecco, ciò che voglio, leggendo: pensare ma provare piacere. Se voglio essere salvata mi rivolgo alla filosofia e alla religione. Se voglio essere informata alla saggistica. Mi pare che troppi autori si vogliano caricare del compito, che non compete loro, di catechizzare, orientare ideologicamente, testimoniare posizioni talmente omologate da essere ovvie. Tali individui, da lettori, sono tra i critici più pedanti che si possano immaginare.

  24. Stavo per entrare a far parte anch’io dei “lettori editor”. Anzi, per un lungo periodo, a tal punto mi irritavano le imperfezioni e le incongruenze degli inventori di storie, ho letto esclusivamente saggi, di argomento e spessore vario. Finchè un giorno ho ripreso Il Maestro e Margherita e Anna Karenina, per rifarmi la bocca, e ha funzionato. Chi se ne importa delle imperfezioni, in centinaia e centinaia di pagine ci stanno tutte, perché sono compensate da picchi incredibili di bellezza. Preferisco recedere dal mio senso critico, perché altrimenti perdo le emozioni che *solo* i bravi scrittori sanno trasmettere. Sui diritti dei lettori, a parte quelli di Pennac, non ne riconosco altri. Non ho mai preteso di riavere indietro i soldi per un brutto libro, così come non ho mai proposto di pagare ancora, ogni volta che rileggo un’opera di uno scrittore dal talento vero, quello che gli editor mooolto raramente incontrano (chi non sa fare, insegna).

  25. I lettori appassionati girano al largo dai dibattiti sulla letteratura. Leggono le recensioni, curiosano, scambiano qualche opinione con gli amici più intimi e godono leggendo e rileggendo quei libri che, pagina dopo pagina esprimono una compiuta (sempre diversa) visione del mondo e dell’arte La rete aiuta e immobilizza; o si è pesci o pescatori. Comunque, questa faccenda dei lettori, sembra profilarsi come la prossima tendenza per i festival della letteratura senza autori…ho ascoltato oggi a Fahre…

  26. Pur facendo parte della schiera dei “lettori criticoni” (ovvero, lettori editor non pagati per fare gli editor), sono convinta che per ogni libro si adatti una cririca diversa e ragionata. Perché fa ridere che uno accusi Wilde di una scrittura leziosa? Perché “Il ritratto…” non l’ha scritto Carver, l’ha scritto Wilde, rispondendo ad una precisa poetica, ad uno stile, alle aspettative di un pubblico e di un’epoca che ci sono stati, e non sono quelli di adesso. Criticare, faccio per dire, Ammanniti, vuol dire criticare uno scrittore contemporaneo che secondo noi non ha soddisfatto le esigenze e le aspettative di un pubblico e di un tempo in cui possiamo inserirci appieno.
    Se non ti piace Wilde, ed è possibile, non è che Wilde ha sbagliato, sei tu che non sei un lettore adatto!
    Di fronte ai classici, questo tipo di critica – che nel post è mostrata nei suoi esempi più ingenui – che sottende il ragionamento “io avrei fatto di meglio” è pericolosa, perché denota un’assoluta mancanza di senso delle proporzioni, nonché del tempo.

  27. Ho letto quasi tutti i commenti, ma mi chiedo perché dare la colpa al web? Mi sembra riduttivo, a maggior ragione che siamo qui, proprio sul web, su un blog! Il lettore è cambiato ed è vero: non si legge più con emozione, per arricchirsi ma spesso solo per dire di aver letto un libro 🙁 e poi ci si atteggia a critici letterari senza aver veramente interiorizzato il contenuto del libro. Ma come si fa a criticare Mann o Oscar Wilde. Ma??? Assurdo.

  28. Ma ‘ndo staranno mai sti libri perfetti? Ma chi se ne fotte dei libri perfetti?
    Le storie sono tutte imperfette, i romanzi pure. E allora?
    Nondimeno esistono romanzi, grandi romanzi, brutti romanzi.
    Nondimeno esistono classici, grandi classici, grandissimi classici. Che in barba alle loro imperfezioni riescono ad attraversare il proprio tempo e quelli successivi, a prendere e portare con sè schiere di lettori di origini e tempi distanti. E chi se ne fotte se a qualcuno, me compreso, non piacciono, non lo acchiappano.
    Siamo proprio sicuri che a un contemporaneo dell’Alighieri dopo la somma e divina lettura non possa essere scappato un ” a me me pare ‘na strunzata”? E se un pisquano qualsiasi, me incluso, dice che Mann “è lento” e lo legge come se fosse un film di Tarantino, o di Tarantini fate voi, qual è il dramma? Cazzi suoi.
    Io, lo confesso, non sono mai riuscito ad andare oltre pochissime pagine di Proust. E’ un limite mio, mica suo. Non ci riesco, m’addormento colto da narcolessia istantanea. E allora?
    Nessuno, autore o opera, anche tra i più grandi che possiamo immaginare, ha mai godutto dell’unanimità nel proprio tempo.
    La differenza è che oggi quei pareri appaiono su bacheche elettroniche, e lì restano, e un po’ di gente li può guardare. E vabbè, che sarà mai.
    A meno che noi non eleggiamo il pisquano di turno a maitre a penser oracolare e indiscutible. Ma chi è che lo fa? Chi santifica Giulia84 come critica che ha diritto di vita o di morte sul tal libro o il tal’altro?
    Infine, se c’è una cosa, quella sì, che mi senbra una stronzata enorme, è il paragone tra la frutta marcia e il libro che non ti è piaciuto, e il derivante presunto diritto al rimborso. Ma fatemi il piacere.
    L.
    P.s.,
    Loredana, innanzitutto un abbraccio, e scusami se approfitto dello spazio per dirti una cosa che rigurda il quotidiano per cui lavori, che leggo da sempre, senza mai averlo mitizzato, ben cosciente di limiti, imperfezioni e differenze di vedute.
    Però io una ciofeca come quest’ultimo inserto RClub che esce il sabato ancora la dovevo vedere. E’ una cosa davvero inguardabile.
    Scusa ancora, può darsi che non condividi affatto ma per quel nulla che serve te lo volevo dire.

  29. Per me la critica attiva del libro che sto leggendo è una cosa fantastica 😀
    Credo di averlo fatto fin da quando avevo 12-13 anni, senza che la comunità di Internet mi solleticasse in quel senso. E non è neanche colpa dell’editoria moderna, dato che perlopiù leggevo classici o comunque libri vecchi di 20-30 anni.
    Ho sempre pensato, per esempio, che Hemingway non fosse molto bravo a scrivere le scene di sesso o che Conrad ci andasse troppo pesante col pathos. Letto a vent’anni, ho trovato “Morte a Venezia” scritto in modo terribile, e ho pensato che fosse un vero peccato, perché il “soggetto” era interessante: con un po’ di editing sarebbe davvero potuto diventare quel bel racconto che si dice! E non è che chiedessi una prosa tanto straordinaria: sarebbe bastato il modo, piano ma chiaro, in cui aveva già scritto i Buddenbrook…
    Ma per me la contrapposizione “giudicare con le emozioni” / “giudicare con la tecnica” non ha senso. La spiegazione tecnica è la razionalizzazione di un passaggio che mi ha stonato sul piano emotivo. Avverto che qualcosa non va, ci penso, e cerco di capire quale sia il problema tecnico.
    Questo è anche un modo per capire se si tratta di un problema “mio” soggettivo, o di un problema oggettivo del testo.
    Giudicare criticamente un romanzo (anche classico) significa avere un rapporto più attivo col testo. Rende lettori più consapevoli, e sul lungo periodo premia il romanzo scritto meglio.
    Quindi per quanto mi riguarda è una figata.

  30. luca, il problema non è quando tu affermi di non poter evitare la calata delle palpebre leggendo Proust, ma quando qualcuno afferma che Proust non vale granché. Per spiegarmi meglio, il gusto e la sensibilità personali possono farmi trovare noioso Frank Sinatra. Ma se affermassi che era stonato direi una cazzata inappellabile.
    Nel corso del post, per esempio, è stato citato spesso Oscar Wilde. Fondamentale? Un bluff? Io non credo che l’integralismo, pro o contro, conduca da qualche parte. Un autore o un’opera vanno considerati un minimo nella loro globalità. Anche io ho sempre avuto dubbi su Wilde. “Il ritratto di Dorian Gray” mi sembra una parata di pur mirabili aforismi, nei quali Wilde era maestro. L’idea della storia è eccellente ma, secondo me, è stata troppo un pretesto per i tragicomici quanto eccezionali motti dell’autore che, sarà un caso, ha scritto quell’unico romanzo, concentrando la sua produzione in saggi, poesie, fiabe, racconti e aforismi. Un grande romanzo, direi, in termini oggettivi ma, a gusto mio, lontano dai vertici della grandissima narrativa.

  31. Il paragone con frutta marcia non regge. perché io se vado dal fruttivendolo, ma anche al supermercato, e vedo che c’è un frutto marcio nella cassetta non solo non lo compro ma anche (come ha fatto mia nonna prima di me, e la sua prima di lei) glielo segnalo. Ma se compro un pacco di riso, vado a casa, apro il cartone e ci trovo un verme, torno indietro e me lo faccio cambiare (oppure, se non torno perché sono pigra, so che dovrei tornare a farmelo cambiare, e farei un servizio a me stessa e agli altri). Che poi si debba tener presente, quando si parla di libri, la differenza tra lettore semantico ed estetico è ovvio. E però un lettore semantico ha tutto il diritto di trovare Wilde lezioso, perché (come ricordava Ipazia) non è più un testo di cui si comprende il contesto. E’ successo sempre, non a caso sul canone si sono spese miliardi di parole (alcune pure interessanti, peraltro).
    Anche io posso avere reazioni semantiche che nulla hanno a che fare con la mia professione di lettore estetico (quindi se leggo un libro in treno, richiedo che abbia certe caratteristiche, altrimenti lo chiudo, arrivederci e grazie; ciò non toglie che in altre occasioni debba leggere, per lavoro, quello stesso libro, per bene, dall’inizio alla fine – e magari scriverci pure su).
    Ma l’altra vera differenza (posto il diritto del lettore a giudicare brutto qualsiasi testo) a mio avviso sta tra i (cosiddetti) classici (ai cui autori non posso chiedere di rifondermi il denaro mal speso, a meno di non riportare in auge mesmerismo, sedute spiritiche e ipnosi) e i libri contemporanei di autori contemporanei. Perché la domanda allora è: quanti autori oggi puntano esattamente al pubblico di lettori digitali ‘anobiani’ per il successo e le vendite, salvo poi tacciarli di ignoranza quando il giochino gli si rivolge contro, e le cose (i giudizi) non vanno come avevano auspicato loro?

  32. Miriam scrive “I lettori appassionati girano al largo dai dibattiti sulla letteratura. Leggono le recensioni, curiosano, scambiano qualche opinione con gli amici più intimi”
    cioè se uno sta commentando o leggendo questo post ciò stesso lo escluderebbe dalla cateogria dei lettori appassionati?

  33. La figura del “lettore critico” in alcuni settori di nicchia e’ dovuta anche al fatto che lettore coincide con aspirante scrittore, spesso astioso e acido.
    Un mix esplosivo. Cui si aggiunge spesso il tam tam della rete e di certi blog, l’autocompiacimento collettivo e l’effetto imitazione-trascinamento.
    Sono dell’idea che se non sei Orwell o Wilde o comunque uno scrittore celebrato e morto, oppure non hai alle spalle una casa editrice grande in grado di spalleggiarti come propaganda e diffusione, ma scrivi appunto letteratura di nicchia, questa nuova moda falsi le possibilita’ iniziali e danneggi alcuni che per loro sfortuna sono passati proprio mentre fioccavano le granate.
    Questa cosa mi e’ stata piu’ volte negata nelle discussioni, facendomi ritrovare a vestire i panni della vittimista. Cosa che, direi, non sono, ho sempre dato la colpa a me stessa e non al fato avverso o alle persecuzioni, se qualcosa non andava per il verso giusto.
    Rimango della mia idea, pur tenendomela ormai per me, tranne casi sporadici come questo. E’ da riportare, per le cronache, il merito indubbio che questa tendenza ha avuto, nel togliermi ogni volonta’ e piacere di scrivere, in questo contesto, dove ti impallinano gratis e dove, se rifiuti la fucilazione, ti accusano di non accettare le critiche (guarda caso, le stesse identiche tattiche del mobbing, che io, ahime’, dal punto di vista lavorativo conosco bene, e difatti proprio di mobbing letterario qualcuno aveva parlato, proprio in un pezzo su questo sito).
    Credo che per qualcuno possa trattarsi di rivedere, proprio dalla base, il personale concetto di scrittura, pubblicazione, diffusione e cosa se ne vuole ottenere. Per me almeno e’ cosi’.
    Il lettore con solo diritti, il lettore che compra il prodotto e quindi ha diritto di criticare o addirittura (capita, nei settori di nicchia) compra apposta per criticare, il lettore autoesibizionista o parte di un clan in un blog… non mi entusiasma. Rimpiango il buon vecchio lettore che “si fa prendere” dalla storia, che legge per il piacere di abbandonarsi alla lettura. Per quello mi piacerebbe scrivere.
    Secondo me in questo, come in altri settori, non esiste via d’uscita se non una sorta di editoria svincolata da logiche commerciali. Forse. Almeno io, personalmente, ci sto pensando.

  34. Dio ci salvi dalll’editing collettivo. Stiamo assistendo ad una corsa a dichiarare tutto bene comune, attenti mica pubblico ( vade retro Stato, maschera della Casta!), da internet al teatro e adesso pure alla scrittura.
    Vi immaginate Vargas Lllosa o Carlo Fruttero che si fanno umilmente correggere un manoscritto da un’ Assemblea del Popolo?
    Quanto ai lettori che dicono “anch’io lo avrei fatto meglio” è un fenomeno che è sempre esistito. Sicuramente anche gli ascoltatori Omero ogni tanto si scambiavano, non visti, gesti di stizza e disapprovazione.
    E non è un qualcosa proprio della letteratura, capita di dire lo stesso anche davanti a certe partite di serie A o a certi film porno.

  35. a Violi: no non volevo dire quello ma semplicemente sintetizzare un’impressione maturata dalla mia esperienza di rete. per lungo tempo ho scritto e discusso di libri, detto la mia e a volte forse ho pure straparlato (stavo su Letteratitudine), ora invece non lo faccio più, mi sento satura e vivo con una certa stanchezza i dibattiti prolungati ma soprattutto la cosa che più mi far star male, sono le pagine blog/fb degli scrittori : vuote di vita vera. Non c’è arte, curiosità, invenzione, SENTIMENTO ma una lunga e smodata esibizione di sé, o nel migliore dei casi del loro prodotto. E’ difficile interagire, chiedere uno scambio di opinioni su quel che avviene nelle arti “minori” (pittura, teatro, scultura, musica e di seguito biennali, performance ecc ecc) e così ho ripreso le vecchie abitudini, mi accosto ai libri seguendo i fili invisibili che pesco, qua e là nel mondo Visibile. E benedico la rete che mi fa più libera. Tutto qui e non voletemene.

  36. Il problema non è trovare da ridire su Mann, Wilde o Proust, protetti dal dogma secondo cui ‘i gusti non si discutono’ a cui l’unica risposta possibile è ‘infatti i tuoi gusti dimostrano che sei un c.’, una risposta che viene spontanea ma che ovviamente non ci porta lontano. Quando un giovane blogger rampante ti dice che ha provato a leggere Milan Kundera ma non c’è riuscito perchè ‘sembra Fabio Volo’ e ti consiglia ‘La notte del drive-in’ perchè lì c’è la ‘vita vera’ ti rendi conto che il problema non è nemmeno il web come strumento di comunicazione quanto il web come mezzo di distrazione di massa che rende difficile concentrasi su qualsiasi cosa e restringe immensamente gli orizzonti.
    Il recinto degli autori alla moda si restringe e viene protetto con filo spinato elettrificato. Provate a fare gli spiritosi con qualche vacca sacra vivente o morta da poco: ‘Ma chi glieli scrive oggi i romanzi a Stephen King?’ oppure ‘leggo Ellroy perchè amo la fantasy’ oppure ‘McCarthy ha proprio ragione: la gente è brutta e cattiva’ oppure ‘Ma tu conosci qualche persona reale che abbia davvero letto tutto Infinite Jest?’…

  37. comunque…e poi non intervengo più, io penso che la parola “detta”, intendendo questo scrivere discorsivo, stia uccidendo la parola scritta; come se noi presentandoci eleganti ad un appuntamento, per prima cosa mostrassimo a tutti fotografie che documentano la preparazione: dal parrucchiere, sotto la doccia, mentre mi trucco. I presenti ci eviterebbero, per la nostra mancanza di buon gusto e di stile. cosi avviene nell’infinito chiacchiericcio attorno alla letteratura e agli scrittori. Il lettore allora cosa fa?non avendo gli stessi mezzi tecnici dell’autore contemporaneo ( che lo bannerebbe, perché anche qusto capita oppure risponderebbe piccato o sarcastico) si lancia nel gioco e va a grattare là dove ogni opinione è sacra: perché io la vedo così. C’è anche molta tenerezza in questo mandare al diavolo i classici e i miti, è un modo di fare che sostanzialmente esprime voglia (bisogno) di stare comunque nel mondo libresco…se penso a certe stupidate dette o scritte come semplice reazione emotive…mi farei ancor più piccina.

  38. io concordo molto con milena d…
    “La figura del “lettore critico” in alcuni settori di nicchia e’ dovuta anche al fatto che lettore coincide con aspirante scrittore, spesso astioso e acido.”
    ho osservato questa cosa non solo negli aspiranti scrittori, ma anche negli scrittori “veri”: ho sentito delle “acidate” tremende dette da scrittori alle spalle di quello temporaneamente più in voga. credo che sia naturale un po’ in tutte le professioni che richiedono un po’ di narcisismo e di esibizionismo (che in dosi sane sono assolutamente benefici alla letteratura e all’arte in generale).

  39. Tapiroulant, quando parli di oggettività presupponi che esistano dei criteri validi sempre e comunque. Non credo sia possibile nè vero.

  40. Dice tutto Rollo quando dice: “Mi sembra, insomma, che i nuovi lettori rincorrano soprattutto i tools, gli utensili per poter un giorno fare gli scrittori. Ma senza le emozioni non lo diventeranno mai.”.
    Non si può dire “toglierei quel capitolo lì”, “tagliuzzerei quel paragrafo là”, perchè anche ciò che apparentemente può sembrare inutile secondo me è molto eloquente circa lo scrittore stesso.
    E ancora: un libro collettivo è una cosa, un libro di _un(‘)_ autore/autrice è un’altra. E quando apro un libro scritto da _una_ persona, mi aspetto di trovarci dentro anche parti che qualcuno considererebbe inutili, o pesanti, perché è parte di quell’essere umano che, grazie al cielo, non è riuscito a separare se stesso/a dal proprio lavoro!

  41. Editing a parte, che è un vizio e non una virtù, se non si fa l’editor per mestiere presso una casa editrice o un’agenzia letteraria o non si cura la pagina critica di una rivista o la “terza” di un quotidiano,vizio che tra l’altro priva del gusto della lettura, non mi divertirei affatto se dovessi curarmi della consecutio di ciò che leggo o di alcune sottili incongruenze della vicenda…a volte è una scelta dell’autore, conscia o meno e ne sottolinea lo stile espressivo.Non mi riguarda…:-) Editing a parte, dicevo, ciò che resta sono impressioni soggettive. Diciamo che tra l’adorazione acefala per i classici in quanto tali, che è pura venerazione e lanciar loro i sassi, ce ne corre. Posso associarmi a Luca dicendo che Proust annoia anche me, profondamente, tuttavia non toglie una briciola della fama meritatissima di Proust, così come la critica di Gregori non scalfisce il mio amore incrollabile per il “Ritratto di Dorian Gray”, che non è un elenco di aforismi in cui la narrativa passa in secondo piano ( semmai scorgo tale effetto nel teatro di Wilde, vedi “L’importanza di chiamarsi Ernesto”), la storia c’è, eccome. E’ la storia di un’apoteosi, un degrado, uno stallo e una soluzione negativa, che a mio parere è persino preveggente. Lo stesso Wilde vive un momento di fulgente gloria salottiera, durante il quale vive oltre i suoi mezzi e la morale, ma del quale teme un pessimo epilogo.Se tuttavia i classici incutono rispetto, scagliarsi contro la scrittura dei contemporanei, che non incontra i nostri gusti, è un po’ un’abitudine negativa, di cui pecco anch’io. Ogni albero invece fa la sua ombra, anche nella scrittura. Sono opinioni, del resto, null’altro. Valide.

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