LIBERTA'?

Ci sono molti modi per declinare la parola libertà, e non possiedo certo il necessario sapere per farlo al meglio. Mi limito a proporre due esempi, celebri in modo – fortunatamente – diverso: il sogno di libertà di Martin Luther King e l’urlo di Vittorio Sgarbi nell’Arena di Giletti.
Il termine è identico, la declinazione, com’è evidente, no.
La parola “libertà” viene usata anche, giustamente, a proposito dei lettori. Credo che, riprendendo quanto si discuteva nei commenti al post di ieri, sia importante capire di quale libertà si stia parlando.  Libertà dai vincoli dell’Accademia? Libertà dalla presunta “cricca” di editori-critici-addetti ai lavori? Libertà di scelta, libertà di critica? Luther King o Sgarbi?
Per capirlo, provo a fare  un secondo esempio, che ho citato più di un anno fa  nella rubrica su R2. Sentite qui: “Che storia orribile e irreale! Ma come fanno gli animali a parlare? Io ho un pappagallo che parla, ma non riesce a pronunciare frasi complete”. E’ una stroncatura e si riferisce a La fattoria degli animali di Orwell: viene riportata, insieme a molte altre, su un blog americano  che pubblicava  le recensioni più feroci dei classici effettuate dai lettori di Amazon. Esercizio interessante, se non altro per le motivazioni portate dai delusi da Orwell: “Ci sono solo animali che corrono e dicono “comrade”!” . “E’ stato scritto da un uomo malato di mente che odiava la società”. “Lo ha suggerito Al Gore?”.
L’ esperimento si può ripetere anche in Italia. Fra le recensioni a La fattoria degli animali su IBS, c’ è chi ha tributato un due a Orwell: “trama praticamente inesistente, libro pesante e noioso, decine di pagine assolutamente inutili che si possono tranquillamente saltare senza che si perda una sola briciola sia della storia che del significato del libro”. Sulle pagine italiane di aNobii si trova altro. Sotto La montagna incantata di Thomas Mann: “Mio dio, 2 mesi e sono a pagina 120, cosa aggiungere? Succedera` mai qualcosa in questo libro???? “.  Infinite Jest, di David Foster Wallace: “Confesso che questo libro l’ho comprato per soddisfare una mia curiosità: se uno scrive 1300 pagine, è perchè non ha niente da dire? E se non ha niente da dire, perchè ci appioppa anche 100 pagine di note a fine libro?Ah, dimenticavo di dire che naturalmente la critica considera questo il suo capolavoro. Figurarsi gli altri…”
Cosa significano questi commenti? Che esiste anche un lato oscuro della forza e che non è utile a nessuno blandire i lettori, come si sta facendo da anni: non è vero, in poche parole, che il lettore abbia sempre ragione. Cifre alla mano, la lettura in Italia NON aumenta, o aumenta di pochissimo: dal 45,1% al 46,8%, ci dice l’Istat. Aumenta, invece,  la voce dei lettori: ed è certamente un bene, ed è più che certamente una gigantesca potenzialità. Ma come viene usata, quella potenzialità? Che tipo di lettore-navigatore si va prefigurando?
Un lettore che, appunto, si autoproclama “libero”: dai vincoli del mercato, dalla critica, dalla casta (quanto torna spesso questa parola). Un lettore, come accennavo ieri, che tende però sempre più spesso a sovrapporre se stesso a quello che legge: e che quasi mai, quando il giudizio è negativo, effettua un distinguo fra personali affinità con il testo e valore del testo stesso, ma sottintende un’autoconvinzione: “io lo scriverei meglio”. E spesso, spessissimo, con l’aiuto  della vanity press (o editoria a pagamento che dir si voglia), lo fa, o è convinto di farlo.
Attenzione: non sto affatto invocando il ritorno del marchio di qualità impresso da una critica che ancora oggi è, in molta parte, poco adeguata a comprendere quel che accade nel mondo letterario. Sto cercando di riflettere sulla necessità di consapevolezza. Quando il famoso “You” campeggiò sulla copertina di Time, molti ne individuarono il lato oscuro, per esempio, nella cosiddetta “televisione della gente comune”: i reality, l’ansia da riflettore, l’arrivo della non competenza sul piccolo schermo.
Bene, bisognerebbe cominciare a ragionare anche in ambito letterario sullo stesso pericolo: perché il rischio, come sottolineavo ieri, è che si stia perdendo la capacità di leggere. Ovvero, di affidarsi ai libri: che si ha tutto il diritto di abbandonare, criticare, rifiutare. Ma quando la deriva porta a giudicare il Faust di Goethe come  “un inutile sfoggio delle sue capacità e della sua cultura, pieno di visioni e stupidaggini” (lettore su Ibs) qualche dubbio andrebbe posto. Davvero i lettori italiani sono maturati? Davvero sfuggono, tutti, all’avvelenamento dei pozzi degli ultimi vent’anni, che ci hanno martellato con l’idea che ognuno abbia il diritto, ora, subito, di essere felice, ricco, potente e famoso? Ne siete convinti? Io sto cominciando a pensarci e mi piacerebbe farlo insieme.
Ps. A proposito degli ultimi vent’anni e del futuro: su Giap!, c’è un intervento di Wu Ming che si chiama L’occhio del purgatorio, la rivolta e l’utopia. Consiglio caldamente l’ascolto.

165 pensieri su “LIBERTA'?

  1. Il problema potrebbe essere declinato da un punto di vista culinario: la Rete, ad esempio, promuove la varietà delle scritture così come delle letture/interpretazioni, la varietà dei cibi così come la varietà dei piatti? Perché i gusti dei lettori son sempre stati forse variabili, idiosincratici, cocciuti, ma anche uniformati da una certa propagazione di massa della ‘cosa’ letteraria – penso al lettore del feuilleton che nella maggior parte dei casi si trangugiava roba prevedibile e spesso insipida. Sono da considerarsi certi paratesti, per non parlare del classico caso di McDonaldizzazione del prodotto culturale: tanto attraente fuori, tanto carnoso (tanto economico, poi), e quando lo mangi… è comunque accettabile, dai!
    Quello che voglio dire è che l’editoria stessa il più delle volte crea dei degustatori, dei clienti di quel ristorante che chiamiamo libreria, abituati più alla forma di proposizione di quello che è un prodotto tutto sommato buono, piuttosto che alle difficoltà di un piatto elaborato e che magari viene da una tradizione culturale-culinaria che ha radici lontane. E qui penso ai casi (prendo non a caso due autori di culto, di cui si legge forse di più la quarta o la fascetta, che le pagine) di DFW che proponi, ma anche potrei pensare a Bolaño, uno che ti crea piatti non sempre gustosi nel senso di piacevoli, ma nel senso di forti e con elementi stranianti, che spesso ti provocano fastidio, noia, incomprensione. C’è da aggiungere in calce che si sono creati anche i lettori ‘esotici’, i lettori con la smania del diverso, i lettori di Banana Yoshimoto, sempre in cerca del ristorante thai, vietnamita, bengalese, peruviano di turno, lettori-degustatori anch’essi spesso incapaci di gustare, e di ricordarsi e apprezzare i tanti prodotti locali.
    Questa propagazione del paratesto – questo incartamento del prodotto, questa sua brillantezza esteriore o anche questo Reader’s Digest diffuso di prodotti già digeriti – ha raggiunto livelli bestiali in questi tempi, anche sul web: vedi la scrittura sul web come fresca, rapida, “cool” (da cibo istantaneo da microonde) ed i suoi lettori, di conseguenza, legittimati ad essere freschi, rapidi, contemporanei. I lettori, anche i lettori dei cosiddetti classici, lo zoccolo duro che ancora si legge e rilegge “Eugenia Grandet” o “Tom Jones”, sono continuamente bombardati dalla McDonaldizzazione delle interpretazioni.
    Insomma, negli anni si sono creati dei lettori liberi e voraci (molte persone leggono tanti libri quanti li legge un editor o scrittore di professione, li puoi trovare in giro, e non sono dei mostri a due teste), e questo ovviamente grazie all’alfabetizzazione di massa, ma forse non degustatori capaci di incontrare il piacere di cibi lenti, cibi complessi, cibi che come il mole poblano messicano hanno più di 100 ingredienti per produrre una uniforme salsa marrone o che al contrario hanno mille sapori dissonanti in mille ingredienti: cibi verso i quali non si è affatto liberi, in fondo.
    Il gusto certo non è solo consenso, almeno non è consenso superficiale, iniziale (il cibo di McDonald’s è invece per lo più, alla lunga, cancerigeno), non è un ‘mi piace’ di un pomeriggio all’ombra di Facebook, ma forse il gusto della lettura è un livello differente della lettura, oggi come ieri, un entrare col palato e con la lingua tra la pagine, che ti compromette corporalmente. Si può dare delle stellette – o delle forchette – al gusto? Non dovrebbero i lettori darsi il tempo di gustare invece di improvvisarsi critici del Gambero Rosso? Ed al contrario, i critici non dovrebbero oggi uscire di più a gustarsi la varietà dei cibi invece di aspettare che il cibo sia consegnato a domicilio?
    a.

  2. messa come e’ stata messa qui: “Non è la “libertà” del lettore in questo senso in discussione. Bensì la polverizzazione di ogni barriera fra il lettore e lo scrittore (aspirante o meno) che porta a giudicare un libro in base a come lo scriverebbe il lettore medesimo. Che è cosa leggermente diversa” concordo. Avro’ frainteso il senso del resto? Forse.
    Resta pero’ il discorso piu’ ampio del post, mi pare: chi decide per chi. Per quanto si dica che non si vogliono imporre canoni, e’ quasi impossibile non farlo. ripeto, per me l’unica soluzione e’ un’ottima educazione di partenza, che passa ovviamente per la scuola ma anche (sembro Veltroni) per la famiglia.
    E’ scelta politica solo se si comincia a discutere su pubblico/privato e sul riscrivere i libri di storia pro o contro Berlusconi. Credo che ogni persona intelligente possa essere d’accordo sul fatto che la scuola non possa essere affidata a insegnanti sottopagati. perche’ sottopagando una categoria attiri per il 90% persone non valide che vedono nell’insegnamento solo uno stipendio sicuro. e questo e’ un problema PRE-Berlusconi.
    ma qui vado abbondantemente fuori tema, temo.

  3. Daniele, davvero non riesco a spiegarmi. Non sto facendo una distinzione fra cultura bassa e alta: mi sarei rimbecillita, dopo anni spesi in favore della prima. Io DIFENDO l’intrattenimento popolare e non ho mai, mai pensato nella mia vita che si debbano leggere capolavori con il marchio di qualità stampigliato sopra. Attenzione agli equivoci, perchè sono facilissimi, e non ho nessuna voglia di veder semplificato il mio pensiero con “la lipperini signora mia dice che Orwell sì e gli angeli no”.
    Stiamo scherzando, spero.
    Dico un’altra cosa. La rete dà voce a tutti: e questo è importantissimo e va difeso fino all’ultima goccia di sangue. Ma proprio per questo motivo occorre lavorare sulla rete e insieme ai lettori, affinchè non diventi il luogo dove si va a dire la prima cazzata – ironica e divertente e leggera – che ci viene in mente. Si chiama assunzione di responsabilità. Perchè a forza di cazzate ironiche divertenti e leggere si rischia di non trovare altro. E di vanificare la capacità realmente deflagrante della rete stessa. Spero sia più chiaro.
    Demonio. Nessuno decide per nessuno. Non l’ho mai detto e non lo penso: però intendo porre il problema. Accettare l’esistente è, per me, profondamente sbagliato. E persino pericoloso.

  4. “Bensì la polverizzazione di ogni barriera fra il lettore e lo scrittore (aspirante o meno) che porta a giudicare un libro in base a come lo scriverebbe il lettore medesimo.”
    Affatto direi. Posso muovere una critica ritenendo sconveniente ed inutile occuparsi di una tematica quando lo scrivente dimostra di non saper quel che scrive. Ad esempio stroncando un articolo di Baricco apparso su laRepubblica perché affronta in maniera provincialissima e stralunata un problema storico musicale che il direttore Ezio Mauro dovrebbe porre nelle mani di un critico musicale (anzi dovrebbe aprire una discussione tra critici e addetti ai lavori) e non in quelle di un romanziere col vizio della musicologia che infila due sciocchezze campando di rendita sulla sua immagine di scrittore e musicofilo.

  5. E’ chiarissimo Loredana, lo era anche prima.
    Dico che bisogna distinguere noi fruitori della rete che c’è commento e commento.
    Nel senso che ci sono ambiti dove si scrivono impressioni che valgono poco, come i commenti fuori da un cinema.
    Sono semplicemente opinioni di persone che hanno fruito di qualcosa di sbagliato per loro e per la loro idea di fruizione.
    Fermo restando che la rete ha potenzialità immense che necessitano di un grande lavoro per essere sviluppate, però sbaglieremmo anche noi a dare peso a certi commenti di esperienze sbagliate.
    Quando siamo andati a vedere Watchmen si è unita al gruppo, una giovane amica totalmente a digiuno di fumetti, di supereroi, e di tutto il sostrato a cui il film fa riferimento.
    Watchmen non è Proust, ma lei comunque alla fine era interdetta e mentre io cantavo l’osanna per la magnifica esperienza avuta, le ci ha detto schifata: “Mi è sembrato bello forse, strano, non ci ho capito nulla”
    Non è che il suo commento avesse una qualche valenza sull’opera, semplicemente la mia amica doveva scegliere meglio il film da vedere.
    D.

  6. Luziferszorn, lei riesce sempre a portare acqua al suo mulino. Stavamo parlando di libri e non di articoli e soprattutto non di articoli su Repubblica che è notoriamente un giornale tanto cattivo. Stia bene.
    Daniele, ribadisco: a forza di dire che la rete è il luogo del libero cazzeggio, diventa il luogo del cazzeggio. Neanche tanto libero, peraltro.

  7. Ascolti Lipperini. Ho fatto un esempio. Non porto acqua da nessuna parte (già piove abbastanza e pioverà tutto il mese qui al nord ovest). E se mi concede un esempio, questo lo posso fare solo su un argomento che conosco bene. Poi un quotidiano – se parliamo di cultura e “terza pagina” -, ormai, vale l’altro.

  8. Certo Loredana, ma la rete è immensa.
    C’è lo spazio dei commenti di Ibs o Amazon, ma c’è Carmilla dove si cazzeggia ben poco, c’è questo e miriadi di altri blog e siti, i siti delle case editrici eccetera…
    Voglio dire che pensare di considerare la rete come un’entità univoca o “univocabile” è vano e impossibile.
    Quello che si può fare è colmare le lacune e creare i presupposti per la fruibilità, cioè creare dei luoghi come questo in cui mondi diversi si incontrano, confrontano e mescolano un poco.
    D.

  9. Non capisco.
    Qual è il problema se qualcuno si alza e dice a voce alta «Per me, La corazzata Potemkin è una grandissima stronzata!» Oppure lo scrive su aNobii o su IBS?
    Questa cosa dell’affidarsi ai libri sembra una sorta di limite oltre il quale il lettore non può andare.
    Per quanto mi riguarda, un giudizio (critico, personale, se esiste ancora la differenza) è degno di rispetto se:
    1) è centrato sull’opera
    2) è ben argomentato
    Ma non è che tutti debbano obbligatoriamente esprimere giudizi argomentati.
    Se un lettore come me si imbatte in Gadda, deve pur potere alzare il dito e comunicare la assoluta incomunicabilità tra se stesso e l’opera.
    È anche questo un dato.

  10. Mi trovo d’accordo con Daniele, e l’esempio del pubblico all’uscita dal cinema mi sembra quanto mai azzeccato: in rete ci sentiamo cioè liberi dall’uso di certi codici, quali sono ad esempio quelli più consoni a una rivista specializzata o a un’aula universitaria (con le dovute eccezioni, proprio perché la rete è immensa). In sé non mi pare una cosa così grave, ma lo è senz’altro l’estensione di questa modalità anche ad altri ambiti (il che presuppone un discorso ancora più ampio dell’ampiezza della rete).

  11. Ma su questi non-codici che stanno diventando codici (faccio un po’ come cazzo mi pare, in soldoni, per citare Guzzanti figlio) si può discutere o appena si tenta di sollevare il discorso si reagisce come Sgarbi scandendo libertà-libertà? 🙂
    (perchè, renzo, va benissimo alzare il dito: ma, ribadisco, alzarlo dicendo “scrivo meglio di quell’imbecille di Gadda” forse ci pone davanti a un problema che è più vasto dell’ambito letterario. O no?).

  12. All’alba di circa 60 commenti arrivo a inquadrare meglio il discorso, e nessuno me ne voglia.
    La rete è il luogo del libero cazzeggio? Anche. Uniformare, tuttavia, è sempre dannoso. La rete è stratificata e cangiante. Se gli italiani leggono, dati alla mano, di meno, sarà altresì vero che i commenti su Ibs e Amazon (che, ribadisco, non nascono come piattaforme di mera opinione) diminuiranno in maniera direttamente proporzionale. Dunque, bene? No, male: perché si legge poco e questo è, deve essere a mio avviso, il dato reale.
    La rete è viva e propone – anche – cultura, – io stesso (sticazzi) scrivo per un blog che da qualche mese si assesta ai primi posti della classifica Wikio – ma siamo solo una porta nell’enorme corridoio di internet, in cui l’internauta si affaccia più o meno consapevolmente, rivendicando il diritto di appioppare 1/5 a L’Uomo senza qualità di Musil (citato sopra) e, contemporaneamente, visionare anteprime su youporn.
    Dobbiamo difendere le potenzialità della rete? Lo facciamo giornalmente, offrendo contenuti specifici, caratteristici, chiamiamoli ‘di nicchia’.
    Questo possiamo.

  13. Io credo che possiamo interrogarci sui codici, sul perché qualcuno vada a scrivere su una bacheca che tal romanzo è una “cagata pazzesca”.
    Cioè Loredana piuttosto mi sembra interessante esplorare l’ambito del cazzeggio, ben sapendo che non è e non potrà mai essere la cifra della rete perché la rete non può avere cifre. E’ vero che i cazzeggiatori saranno (saremo) sempre una legione e chi approfondisce saranno sempre quattro gatti, ma solo perché a cazzeggiare ci vuol poco e una tastiera l’abbiamo sotto mano tutti.
    Preziosi come l’oro sono gli ambiti dove la discussione si fa popolare dove i pareri di massa saranno cento e non uno e chi scrive la sua cosa ne leggerà altre cento, quello sì deve essere fatto instancabilmente, non di nicchia, direi, ma di massa, dove incontrare commenti di nicchia e di massa. Ambiti culturali di massa. Perché non solo di “Ballando con le stelle” e di ostilità può vivere l’uomo della strada.
    D.

  14. Io vado oltre e difendo la liberta’ di dire che l’uomo senza qualita’ di Musil e’ una cagata pazzesca, e di farlo mentre guardo un’anteprima di youporn (come dice Andrea), e poi mi metto a leggere con gusto Faulkner mentre ascolto Britney Spears.
    Ma difendo anche la liberta’ di tutti di pensare che sono un cogliono immondo.
    C’e’ problema?

  15. A volte mi chiedo se scrivo abbastanza chiaramente o se il nervo toccato sia così scoperto da far fraintendere le mie parole. Mi riferisco a Demonio Pellegrino: rifiuto con forza l’immagine dell'”intellettuale” bacchettona che inorridisce se qualcuno legge Faulkner mentre ascolta Britney Spears. Demonio: se vuoi costruire un grazioso stereotipo su di me, fai pure. Ma mi sembra che quello che ho scritto nel post non sia questo, in alcun modo.
    Andrea: porre il problema e parlarne è un passo. Per me.

  16. Ma il mioultimo commento non voleva costruire un suo stereotipo: non ne ho ne’ l’intenzione ne’ le capacita’. Mi riferivo a un commento precedente.
    Comunque per me lei hai chiarito abbondantemente. Mi sembrava strano un approccio del genere da parte sua visti i post di qualche tempo fa. Avro’ frainteso? Amen.
    Ma davvero nessuna intenzione di dipingere nessuno in nessun modo. Saluto andando ad ascoltare Britney, guardando youporn per poi leggere Faulkner.

  17. Loredana, chiunque passi di qua troverebbe praticamente in ogni post uno spazio non fraintendibile di impegno, passione per dati temi, con ampie possibilità di scorgere spunti per conoscere meglio ciò che si condivide. Invece un post del genere è inafferrabile, e infatti genera commenti che nulla aggiungono o tolgono a quanto da te accennato. La libertà di King ha un senso perché è un bisogno concreto, quella di Sgarbi no. Così come qualsiasi testo letterario non ha un valore concreto, per questo se ne può dire qualsiasi cosa del suo valore. Cosa significa aumentano i lettori, significa più copie vendute, più persone che leggono? Quando ti chiedi se i lettori sono maturati, che intendi? Alcuni libri, penso a Ragazzo Negro o Se questo è un uomo sono stati scritti perché chiunque li leggesse, altri no.
    Chi mette il suo commento su un libro o un film o altro in rete il più delle volte sta parlando anzitutto di se stesso. Il commento su Orwell è stupido, mentre gli altri due su Mann e Infinite Jest sono in qualche modo simpatici, lasciano una traccia di ciò che ha provato il lettore, che è poi la cosa più utile di un commento estemporaneo su di un sito in cui si acquistano libri.
    Forse conosce il libro di Claudio Giunta, L’assedio del presente, mi pare che abbia qualcosa in comune con quello da te scritto. Soprattutto con l’aspetto della consapevolezza.
    Quello che non capisco è se la tua è una preoccupazione per qualcosa che staremmo perdendo, oppure per una potenzialità ( la rete ) sciupata o altro ancora.

  18. Mi pare ovvio che qualsiasi lettore abbia il diritto di farsi una opinione sui libri che frequenta. Ciò detto, non tutte le opinioni possono essere equiparate o avere lo stesso valore (e non si tratta di anti-democrazia, beninteso!). In uno dei commenti precedenti si parlava di competenza: ecco, questo è quanto. Purtroppo questo modo un po’”presuntuoso” di pensare è assai in voga in Italia, non solo nel settore libri, ma musica, politica, calcio, tutto. Io ad esempio non mi azzardo a parlare di economia perché ci capisco poco. Ci vorrebbe un atteggiamento di maggior rispetto delle scienze che non si conoscono per bene.

  19. Paperinoramone. Ho pensato a lungo prima di scrivere questo post: ci sto rimuginando da un po’, e mi sono decisa a farlo sapendo perfettamente che si prestava a non pochi fraintendimenti, e suppongo anche ad attacchi – feroci, in alcuni casi – che mi aspetto nel giro di pochi giorni. Se l’ho scritto, è perchè la mia preoccupazione è, per risponderti, su una potenzialità che potrebbe non essere colta al meglio.

  20. Io preferisco non giudicare noi lettori, come preferisco non giudicare noi spettatori di cinema, o… noi amanti del calcio. Ciascuno di noi segue un proprio percorso, una storia irripetibile di scelte, unica come unici siamo noi. Mi commuove l’idea di ogni singola persona che entra in libreria e ne riesce con un libro. Dovesse essere il più brutto, ma in quel momento è il “suo” libro.
    Ci vorrebbe un po’ più di umiltà nel giudicare se stessi. Nelle forme d’arte “chiuse” in partenza (letteratura, cinema, teatro, musica…), possiamo indovinare o sbagliare. Scegliamo confidando soprattutto nel nostro intuito. E quel momento, il momento della scelta, è una prova di fiducia nei propri mezzi che, al di là dei risultati, dovrebbe essere sempre, e da tutti, rispettata.

  21. Caro Roberto, da un certo punto in poi, è accaduto che questi commenti abbiano deviato dalla discussione che intendevo fare. Lo prendo non come un fallimento, ma come un’ulteriore conferma che il problema esista, e che sia enormemente sfaccettato quanto importante. Vale la pena dire, però, che il mio non era un giudizio sui lettori, nè sulla loro preparazione culturale, nè – tanto meno – una divisione in quelli buoni e ispirati e quelli cattivi che ascoltano Britney Spears (come se quelli buoni compitassero Musil a mezza voce ascoltando Mahler, ma che stronzata).
    Mi accontento di aver posto sul tavolo la questione: e di averlo fatto proprio in quanto persona che vive nella rete, che ama la rete, che la ritiene necessaria e che ritiene – in moltissima parte – la critica tradizionale disattenta e chiusa. Ho voluto, ribadisco, farlo io per questo motivo.
    So anche che ne riparleremo. Va bene così.

  22. Paperinomane disse: “Invece un post del genere è inafferrabile, e infatti genera commenti che nulla aggiungono o tolgono a quanto da te accennato.”
    – – –
    Afferrabilissimo imho. Si teme che i commenti in stile ibs, e la libertà d’espressione critica sul web, generino il caos della critica stessa e delle capacità di assimilazione/comprensione del reale da parte del fruitore comune. Quand’invece, lo ripeto, questo fiume in piena d’opinioni spesso sconclusionate sono la manifestazione della fragilità della Critica, quella degli addetti ai lavori, quella che è scomparsa dai nostri quotidiani. Peraltro questa “libertà” di esprimersi non può essere scissa da un altra libertà, per altri ancora più temibile, ossia l’emergere di competenze che il web libera, appunto, senza che queste debbano passare sotto l’esame e il benestare autoritario, e spesso fascista, di un giudice superiore che sceglierà cosa merita e cosa non merita di essere pubblicato.

  23. Come volevasi dimostrare, Luziferszorn non ha capito assolutamente nulla. E’ molto facile, e lo prevedevo, che qualcuno avrebbe “sgarbianamente” urlato “Dalli agli insidiatori della libertà della rete”. Esattamente il contrario: sto cercando di DIFENDERE la libertà della rete stessa, proprio perchè può fare e fa meglio della critica. A patto di sapere quello che fa. Da sola, non perchè qualcuno lo decide o lo sceglie. Si chiama consapevolezza. E aiuta tanto a difendersi dai fascismi manifesti o striscianti. Ringrazio di cuore Luziferszorn perchè forse, in questo modo, il discorso risulterà più chiaro.

  24. per dirla col BELLO ANTOINE dell’illeggibile best seller “i falsificatori” insomma,internet è “il paradiso dei demiurghi” per eccellenza
    http://veradio.com/sounds/ziggy/06%20Lady%20Stardust.mp3
    p.s. a proposito,recentemente ho letto il miglior libro,non adeguatamente recensito,scritto da una donna(con la possibile eccezione di Babsijones)dai tempi di cime tempestose:l’incantesimo di frida K. di Kate Braverman.Una sorta di tropico del capricorno riveduto e convertito

  25. Ah, ecco, non avevo capito: affermare che il mio pappagallo, a differenza degli animali della fattoria di Orwell, non riesce a dire una frase completa e ‘dunque’ il libro è una storia orribile e irreale, è liberare e far emergere le competenze degli utenti del web?
    Scusate ma questa cosa mi esalta, anche io voglio far emergere le mie, di competenze : non sono mai scesa all’Inferno e, attraversato il limbo, andata in Paradiso, e dunque: la ‘Divina commedia’ è una clamorosa scemenza!
    Diomio come mi sento liberata!

  26. ah, naturalmente, chi avesse qualcosa da ridire sulle mie competenze critiche è soltanto un fascista che parla ex cathedra!

  27. Mi sembra che la parola “democrazia” venga usata spesso anche in circostanze degne di miglior causa. La libertà di esprimersi e dire ciò che si vuole su qualunque argomento non è democrazia, ma un aspetto della medesima. Un aspetto che, paradossalmente, può anche portare a delle distorsioni. A me, per esempio, nessuno può impedire di parlare di pittura e, preliminarmente alla conversazione, di affermare che Velasquez fosse un imbratta tele. Credo, però, che un appassionato di arte abbia tutto il diritto di comunicarmi che tra lui e me non ci può essere dialogo. Ora, quindi, non vengo pervaso da alcuna malinconia nel leggere che, secondo alcuni, “La fattoria degli animali” è una boiata in quanto gli animali non parlano. Volendo possiamo anche estendere il concetto ad altre “boiate”. Assurdo, per esempio, che un burattino di legno possa trasformarsi in un bambino in carne e ossa. Altrettanto assurdo che un navigatore finisca in isole dove ci sono individui microscopici oppure giganti. Colmo dell’assurdo, poi, un signore vivo e vegeto che se ne va a spasso per l’inferno, il purgatorio e il paradiso. E’ evidente che, per chi la pensa così, l’unica pubblicazione esente da critiche in quanto assolutamente rispondente alla realtà, sia l’orario dei treni. Perfetto, comprendo perfettamente il loro punto di vista. Spero possano loro comprendere il mio se, quando parlano di letture, io evito di ascoltare per dedicarmi piuttosto alla visione di un film con Bombolo.

  28. L’accademico Pier Vincenzo Mengaldo – in un’ intervista per la Raitv, nell’ambito dei programmi RAI educ. – rimarcò il valore di ogni lettura: fece questo esempio: io Mengaldo leggo un libro e, naturalmente, adopero tutti gli strumenti critici del mio mestiere … Eppure, non è detto che la mia lettura sia migliore di quella di un diciassettenne, perché a me manca quello che invece lui ha: la sua età, i suoi diciassette anni …
    Dunque: si deve lasciare alle opere la LIBERTà di vivere e nel rapporto con il pubblico (quando le opere riescano ad arrivare ad esso, cioè quando vengano ben distribuite; purtroppo molte – specie di poesia – non circolano punto) e nel rapporto con la critica (augurandosi che la critica si metta a lavorare seguendo percorsi di curiosità e onestà intellettuale: non che si scomodi solo per recensire il tal dei tali, di cui tutti dicono un gran bene, stroncandolo per brillare di luce riflessa (stile Citati da giovane, per sua ammissione tarda) o – al contrario – accodandosi al coro dei festanti (mi è venuto in mente la Processione e il Carro dantesco, ma non c’entra proprio nulla è stato solo un flash “mistico”) …
    Le opere devono filar via libere come certe canzoni dello Stil Novo …
    Poi, certo, fa piacere quando il prefatore del mio unico libro edito (nel mio caso più presentatore critico) il finissimo poeta Fernando Bandini, ex accademico e collega di Mengaldo a Padova e – secondo Cortellessa – “il miglior critico stilistico su piazza” si accorga che fai pure – ogni tanto – l’endecasillabo con l’accento di 6 e 7 ribattuto, o che sappia che quella cosa lì è un iperbato o un ossimoro etc. etc.
    Ripeto: le letture specialistiche o accademiche fanno piacere ma non sono garanzia di intelligenza o di acume …
    Per non parlare poi delle consorterie! (di cui hai detto anche tu, Gilda: però, mia cara, sai benissimo di far parte di un certo gruppetto abbastanza identificabile, o sbaglio? E non c’è nulla di male, purché non si giochi sporco …) Scrivere sul Manifesto vuol dir qualcosa? (a parte non essere pagati?) … Essere sodali di Lello Voce o di Ottonieri, di Cortellessa, di Nove, di Balestrini e di Sanguineti? No, perché io l’unico rapporto che abbia mai avuto con l’Edoardo è stato quello di vincere uno stesso premio di poesia edita (io nel 2001 e lui anni dopo): Premio Marazza, con una giuria di accademici, più lo scrittore Ernesto Ferrero …
    Per quanto mi riguarda, ho avuto anche la Lorenzini e Lucio Vetri come insegnanti universitari – due discepoli di Anceschi – e hanno sempre letto i testi poetici che mi capitò di portare loro, con molta libertà e serenità, riconoscendo un valore (il secondo – assieme ad Ezio Raimondi e ad altri accademici di Italianistica a Bologna – mi fece pure vincere un premio universitario per la sezione poesia con cerimonia di premiazione in Rettorato, che pareva quasi una laurea honoris causa: la sezione prosa fu vinta da uno scrittore – allora laureando – che oggi pubblica regolarmente da Guanda …
    Dunque, spesso LIBERTà va a spasso con l’intelligenza e sensibilità delle persone, a prescindere dalle cricche editoriali o accademiche etc. etc … “Insomma, bisogna accordarsi su cosa sia la letteratura” dici tu, Gilda, – e questo è un discorso buono per “un’altra puntata” … Per il momento vorrei solo ricordarti come Fortini (non Carlo Bo) mettesse in guardia dai cosiddetti specialisti (ma anche questo: a un’altra puntata e con altri bei nomi) e rammentare come LA LIBERTà non debba riguardare solo l’aspetto ermeneutico, dalla parte del lettore (ma ben vengano anche le recensioni spesso divertenti e non stupide su IBS, certo da mettere su un piano diverso da quelle di un Agamben o di un Magris, o Citati o Cordelli etc. etc.
    Alla fine quel che conta non è la recensione o il commento ma l’opera, il testo: in questo sono pienamente d’accordo con lo gnostico H.Bloom che fa fuori tutti i falsi problemi di certi suoi colleghi accademici con un ritorno al testo e alla lettura individuale …
    Ezio Raimondi mi ha poi insegnato a vedere la letteratura come un grande organismo sempre aperto: ecco: ritengo più ragionevole il sistema aperto e non la rigidità di certi diktat, ancor meglio nel sistema letterario di cui scriveva T.S.Eliot con le opere che si inserivano in una sorta di canone continuamente mobile e non troppo incatenato nella contingenza storica (il metodo mitico, donde la Terra desolata, che Montale diceva “cucita con lo spago”) …
    Parlavate di Goethe? Consentitemi una piccola divagazione e variazione sul tema che però si accorda poi con il titolo del post di Loredana … Voglio ricordare che Adonis ha appena vinto il prestigioso premio Goethe: spero che – in Italia – si possa anche avere la libertà di sentirsi fratelli di Adonis o di Tranströmer o della Trotzig, recentemente scomparsa, o di Susan Stewart
    senza dover girare necessariamente in uno dei due pianeti principali della nostra poesia … LIBERTà di critica e di lettura ma anche LIBERTà di scrivere alla ricerca della propria via e del proprio tesoro …

  29. La nostra società sta sviluppando un enorme valore di partecipazione.
    Questa Contemporaneità in qualche modo si può definire con “Partecipazione”.
    I blog, Facebook sono la riprova, il fatto che i media stanno mutando verso il diventare strumenti che veicolano la partecipazione anziché offrire solamente contenuti ad un pubblico passivo come era in origine.
    La partecipazione ha lati superbi e lati osceni.
    Obama ha avvertito, senza moralismi, gli adolescenti che tutto quello che condividono in rete se lo ritroveranno come un boomerang da adulti quando meno se lo aspettano e lo desiderano.
    La partecipazione che ci spinge a dire la nostra qui su Lipperatura, altrove per la rete, o a liquidare un classico della letteratura con due o tre parole su Ibs o Anobii, implica necessariamente un fattore narcisistico di esprimere il proprio parere su un palco, il cercare i 5 minuti di celebrità come profetizzò Andy Wharol a suo tempo.
    Uno potrebbe tenersi la propria esperienza e parlarne agli amici “guarda ho letto Svevo e mi sono annoiato”, anziché doverla condividere col mondo. Però la nostra contemporaneità è anche questo grande fratello frammentato all’infinito.
    La libertà di Martin Luther King la si ottiene vincendo il Male, l’ingiustizia, è la libertà del grande Io, una condizione altruistica che genera incontro e che supera la soggettività, quella di Sgarbi e la libertà del piccolo Io, egoistica, che cerca un piedistallo per dire la sua e se ne frega del prossimo, e lo vuole soggiogare al proprio punto di vista.
    La rete, come la vita, le contiene entrambi, anzi ci siamo ben più Sgarbi che Reverendi Luther King.
    D.
    D:

  30. Secondo me l’errore è valutare la maturità di tutti i lettori del mondo (dall’America all’Italia) basandosi esclusivamente sui commenti trovati in rete.
    Io sono semplicemente un lettore e non ho mai avuto capacità particolari in letteratura. Per scegliere cosa leggere mi sono affidato inizialmente all’istinto. Poi sono passato alla pubblicità/passaparola (un mio amico ha letto quel libro e mi ha detto che gli è piaciuto molto), poi mi sono affidato ad un libraio in gamba che mi suggeriva cosa mi sarebbe piaciuto conoscendo i miei gusti e cosa no. Infine, l’ultima frontiera, ho iniziato a seguire dei blog che parlano di questo argomento, redatti da persone che mi hanno dimostrato nei loro articoli di possedere competenze e conoscenze tali nel settore a me oscuro, tali da garantirmi la qualità delle loro opinioni.
    Sono diventati per me gli Opinion Leader nel campo del fantastico. Così come il mio meccanico di fiducia è il mio Opinion Leader per quanto riguarda il settore auto, così come io sono Opinion Leader per le persone che sul lavoro mi chiedono consigli per la loro salute. Questa carica di fiducia e responsabilità però non si guadagna facendo marchette o con titoli di studio particolari, si guadagna dimostrando di svolgere il proprio lavoro al meglio e di parlare di cose che si conoscono. A volte, mi sono trovato nell’imbarazzante situazione in cui le persone preferivano avere un mio parere, che sono un semplice Operatore Socio Sanitario, piuttosto che chiedere al Medico, semplicemente perché il medico si presentava in modo sciatto o dava risposte che non convincevano. Ovviamente in quel caso si presentava l’eventualità dell’abuso di professione, pertanto convincevo i pazienti comunque ad ascoltare il dottore, ma questo esempio è per far capire che le lauree all’atto pratico, lasciano il tempo che trovano. Le persone con cui ti relazioni nel corso della vita non conoscono il tuo passato, possono solo valutarti estemporaneamente nel breve periodo che ti frequentano. Se non dimostri le tue qualità in quel momento, non daranno più retta alle tue opinioni in futuro.
    Tornando dunque alla letteratura, sarei un cretino se per decidere cosa leggere io mi basassi esclusivamente su 3 o 4 commenti trovati in rete del primo che passa e che critica il libro dimostrando un punto di vista esclusivamente personale. Se uno mi dice che non gli piace il gorgonzola, lo assaggerò lo stesso prima di giudicare a mia volta il suo sapore. Se io leggo su un muro la scritta: “A morte i comunisti di merda!!!” non è che automaticamente vado ad iscrivermi a Forza Nuova, così come il contrario. Ho un senso critico che uso sia quando leggo un libro sia quando leggo una critica ad esso. Questo non significa che tutti i lettori ora siano maturi, ma nemmeno che siamo una massa di bestie che prendono per oro colato qualsiasi cosa venga scritta in rete da chicchessia. Pertanto non ci trovo assolutamente nulla di male nella libertà di scrivere quello che ad uno pare e piace. Io sto perdendo la capacità di “affidarmi ai libri” perché mi sto rendendo conto che chi vive intorno ad essi non aspetta altro che di spillarmi i soldi, propinandomi anche lo schifo assoluto. Non è colpa mia dunque se da un certo punto in poi preferisco leggere con le chiappe strette, la fiducia va guadagnata e non venduta.
    Poi ripeto, per carità, ci sarà anche chi è convinto di saper scrivere meglio e quindi falsa il suo giudizio sul libro in base alla teoria che qui è stata esposta da Loredana, ma tra le persone che frequento io (nella vita reale) nessuno lo fa e posso garantire per circa un centinaio di persone (tutti giocatori di ruolo dal vivo che si vestono da personaggio e hanno le orecchie a punta per il fantasy). Quindi davvero, per me non c’è nulla di drammatico in ciò che accade, ognuno scrive quello che gli pare, chi leggerà se ne farà una sua opinione e la vita continua.
    E adesso scusatemi, ma devo iniziare una dieta che ho trovato su Novella 2000, del dietologo non mi sono mai fidato.

  31. Bene. Interrogativo sul concetto di “libertà”. Prendo spunto da un’osservazione interessante di Marco Albarello, che scrive: “Io sto perdendo la capacità di “affidarmi ai libri” perché mi sto rendendo conto che chi vive intorno ad essi non aspetta altro che di spillarmi i soldi, propinandomi anche lo schifo assoluto.”
    Questo è uno dei frame più diffusi in rete, in questo momento. L’editoria mi sta ingannando. Ora, gli editori non sono anime pie: devono vendere. Questo non significa che pubblichino necessariamente solo pessimi libri. Invece – non lo dice Albarello ma, ripeto, prendo spunto – sembra che in questo momento i lettori siano chiusi nel loro fortino, assediati da orribili scrittori pubblicati da malvagissimi editori, e che i critici diano loro man forte recensendo i libri degli amici degli amici, orribili anche quelli.
    E’ una situazione che ha una parte di verità: ma non è la verità intera, perchè esistono anche molti, moltissimi anzi, buoni e fin ottimi libri (ne ho recensito uno questa mattina su Repubblica, esattamente quello di cui parlavo qui due giorni fa, e che avevo cominciato a leggere e ad amare prima che, a sorpresa, entrasse in finale al Campiello), editor che pensano alla bontà del testo, critici che amano il proprio lavoro.
    Il mantra “è tutto uno schifo, potere al lettore” somiglia molto ai mugugni di Beppe Grillo contro la casta. A me Grillo non piace da tempi non sospetti: anche perchè mi hanno insegnato che chi grida “al ladro” deve farmi prima vedere le mani, per esempio.
    Dove porta questa concezione della rete – indistinta – come reazione – indistinta – a un potere “forte” come quello editoriale – indistinto pure questo- che strategicamente inonderebbe i mercati di orrori? Esattamente al malinteso concetto di libertà che sottolineavo nel post: “io lo scrivo meglio”. Ed è un inganno. Un autoinganno che, a mio parere, genera mostri. Per meglio dire: illusioni.
    Ps. Per chiarire ulteriormente il concetto, visto che torna qua e là l’idea di “patentino”. Quando parlo di capacità di lettura, non parlo di tripla laurea e bacio accademico. Nè di rete versus carta. Parlo di capacità di lettura, ovunque le riflessioni sulla medesima vengano esposte: internet, carta, piccione viaggiatore. Sto tentando di dire che il fenomeno che abbiamo sotto gli occhi è il seguente: lettori che non accettano di ricevere qualcosa dai libri, o per il preconcetto di cui sopra, oppure perchè ritengono di avere il diritto di avere “altrettanta fortuna” degli autori che hanno davanti, anche se sono morti da qualche secolo. E’ il “diritto alla felicità e al successo” di cui abbiamo discusso fino allo sfinimento in ambito sociale e politico. Esiste anche in ambito letterario, che è ambito sociale anche esso. E dunque, per me, va analizzato.
    Ps del Ps. Dal momento che sto cominciando a seccarmi con il fatto che io sarei contraria alle orecchie a punta, preciso che mi piacciono i giochi di ruolo, sono madre di giocatore di ruolo, ospito orde di giocatori di ruolo a casa mia nei week end, sono stata nella giuria di Lucca Games e ho salutato con entusiasmo l’arrivo in libreria del romanzo tratto da Sine Requie. Pianino con gli stereotipi, ragazzi: stavo parlando di strategie sul fantastico, non di altro. Potete darmi, come ha fatto graziosamente uno scrittore che si è sentito chiamato in causa, della cogliona: ma non inventarvi balle sul mio conto.

  32. Tranquilla Loredana, la storia dei fortini mi piace molto e l’ho esposta in passato io stesso sotto diversa forma, puoi tranquillamente attribuirmela. Lo dico anche io.
    Il problema, secondo me, è che non esistono esempi positivi che si palesano a noi lettori. Se da un lato c’è il vento che soffia verso il qualunquismo del: “è tutto un magna magna”, dall’altro lato pare che nessuno si preoccupi di smentire ciò ed anzi, con degli strafalcioni incredibili ed editor poco affidabili, si alimenta questo fuoco sacro della rivolta. Recita una scritta dal mio panettiere: “Per colpa di qualcuno, non si fa credito a nessuno”.
    Devo ammettere dunque, che a discapito di quei pochi buoni che si salvano, ho l’istinto di fare “piazza pulita” e terra bruciata. Prova a metterti nei miei panni, sono stufo di essere preso in giro da quanti si credono più intelligenti o furbi di me. Io sono un “ragazzo di campagna”, non sopporto paroloni e concetti altisonanti, se mi prendi in giro una volta ti salvi, la seconda passo direttamente ad usare il forcone. Sarà barbarico, sarà qualunquista, sarà populista, ma sono semplicemente stufo.
    Con questo non voglio dire che una volta ripulita l’area dal marcio che c’è ora, automaticamente spunteranno dei fulgidi esempi di esseri umani perfetti nella forma e nel contenuto, ma rispetto allo schifo attuale qualsiasi cosa mi pare meglio (fosse anche solo un miraggio).
    Capisci ora che già di base io ho le palle piene di tutto questo, poi spunta in edicola strapompato di marketing un libro come “Unika. La Fiamma della Vita”. Come dovrei reagire? Rallegrarmi che l’ennesimo schifo editoriale che rasenta lo zero assoluto letterario prende vita grazie alle leggi del mercato come novello mostro di Frankenstein? Sarà forse un esperimento per vedere se si riesce a vendere a prescindere da cosa si vende (il sogno bagnato della casa editrice, poter sapere in anticipo tutti i costi di produzione, senza dover cercare uno scrittore, basta prendere il primo che passa per strada), sarà un caso, sarà quello che volete, ma l’istinto a buttare giù tutto diventa più forte.
    Analizziamo pure quanto vi pare, ma io pretendo una soluzione in tempi rapidi, o presto prenderò in mano una Molotov e comincerò a distruggere quello che mi capita a tiro.
    PS: Mia madre una volta scese in cantina mentre stavo lavorando del metallo di notte, non mi ero accorto dell’ora e stavo facendo un rumore assordante. Mi guarda in tenuta bigodini-vestaglia-babbucce con sguardo torvo ed espone sconsolata: “Ma perché non ti droghi come tutti gli altri?”
    Hai tutto il mio rispetto per essere madre di un giocatore di ruolo, sappi che la mia comunità di sociopatici ti è vicina.

  33. Marco, e chi ti dice che devi fidarti delle fascette editoriali sempre e comunque? O della critica cartacea sempre e comunque? Quello che sto dicendo – e che rasenta l’ovvio – è che neanche la rete è sempre e comunque affidabile.

  34. Qualcosa mi sfugge.
    Uno scrittore è uno scrittore.
    Un lettore è un lettore, almeno finché non scriva, e possibilmente pubblichi, un libro.
    Nel mio piccolo caso, ho trascorso dieci anni senza pubblicare. Difatti avevo smesso di definirmi “scrittore”. Facevo l’editore, e così mi presentavo.
    Nell’editoria, ci sono gli scrittori, gli editor, i grafici, gli uffici stampa, gli agenti, i tipografi, i promotori, i distributori, gli editori e i librai.
    Al cinema, non ho mai incontrato uno spettatore illividito dal fatto di non poter essere lui un regista. Allo stadio, non ho mai incontrato un tifoso che volesse scendere in campo per infilare la palla in rete.
    Ci sono i lettori e gli scrittori, gli spettatori e i registi, i tifosi e i calciatori.
    Perché si parla dell’editoria come di uno spazio aperto allo scambio di ruoli?
    Questo mi sfugge.

  35. Mah. Ogni tanto, da insegnante, mi dico che i famosi diritti del lettore di Pennac (basati appunto sul concetto di libertà), riportati purtroppo in tutte le antologie scolastiche, hanno fatto molto male. Ogni tanto ci dovrebbe essere pure la libertà (paradossale) di finire un libro pure se non piace, perché, semplicemente, quel libro fa bene, ed è meglio così.

  36. Potrebbe essere utile uno spazio critico dove si recensiscono libri belli e brutti, no?
    A me piace seguire dei critici che mi aiutano ad evitare fregature, cioè che mi evitino di spendere inutilmente il mio denaro e buttare tempo.
    Facciamo un esempio: spinto dal grande successo e dalla pubblicità e dalla passione per il fantasy mi sono dovuto comprare il primo libro della Troisi delle cronache del mondo emerso. Io non schifo i best seller, anzi secondo me chi piace a tutti deve avere dei pregi. Ho dovuto leggerne una trentina di pagine prima di capire che era (a mio avviso) solo un pessimo patchwork di motivi fantasy messi insieme senza capo ne coda, una presa in giro epocale che grazie alla pubblicità Mondadori ha rincoglionito una generazione di lettori italiani.
    Primo Punto:
    Se romanzi di quel livello diventano best seller ovviamente ogni persona appassionata di fantasy con la terza media pensa di poterne scrivere di meglio, e probabilmente ha ragione.
    Secondo Punto:
    Perché nessuno mi ha avvertito, e prima di me non ha avvertito la suddetta generazione di lettori fantasy?
    Cioè, perché se da una parte, giustamente, le trombe della pubblicità suonano la carica per pompare ogni possibile successo, dall’altra parte per trovare vere recensioni di genere, o meno, devo fare una ricerca col lanternino a spulciare blog accreditati e passaparola di amici speciali?
    Se ci fossero degli spazi di massa gestiti da critici liberi di esprimersi nell’interesse della letteratura e dei lettori, dove si possa trovare una classifica: “Romanzo x” mezza crocetta (non buttate i soldi, per questo e quest’altro motivo), Romanzo Y 5 crocette, la lettura dell’anno per questo e questo motivo. eccetera, saremmo tutti più contenti, avremmo di che continuare a discutere e i lettori avrebbero delle linee guida.
    Se poi questo esiste e io non lo so indicatemelo…
    per pietà…
    Per argomentazioni puntuali sulle (a mio avviso) boiate scritte dalla Troisi vi rimando qui, a questo utilissimo blog che peccato non funziona più.
    http://fantasy.gamberi.org/2008/01/16/recensioni-romanzo-nihal-della-terra-del-vento/
    D.

  37. Esattamente Daniele, hai scritto parole sante che noi miseri lettori pensiamo già da tempo immemore. Tra l’altro hai casualmente citato il mio opinion leader preferito riguardo il fantastico.
    Non sto parlando di cose strane o “aliene”. Quando uno non sa dove comprare, invece che affidarsi alla Toyota o a Quattroruote, va dal suo meccanico Mario e gli chiede consiglio. Nell’era del web, il meccanico Mario è un blogger qualsiasi che si guadagna la fiducia nei suoi utenti dimostrando competenza ed affidabilità. è solamente cambiato il mezzo, non il fine. Con la rete poi è tutto incredibilmente più facile perchè bastano un paio di click e non serve farsi i chilometri tra un officina e l’altra.
    Per i videogiochi per esempio mi affido a GameTrailers. Di certo non mi fido dei commenti ai videogiochi in quanto spesso ci sono i fanatici di quella saga o di quella particolare console e tutto è falsato. I critici veri ci sono, basta trovarli, però non bastano a migliorare la qualità del prodotto futuro. Come lettore mi lamento pubblicamente di non aver modo di leggere cose migliori semplicemente per una logica perversa di mercato. E non è qualunquismo, è una triste realtà. Ripeto, analisi di questo tipo sono già state fatte, io stesso mi sono permesso di farle, sarebbe ora di passare dalle parole scritte ai fatti. Io ho i soldi, sono disposto a comprare, vendetemi roba di valore e vi sarete fatti un amico. Vendetemi robaccia e perderete me e tutti coloro con i quali ho contatti, questo è il contratto che vi propongo.

  38. Daniele Marotta, non hai considerato che i libri di Licia Troisi sono destinati a lettori giovanissimi, e sono usciti in una collana per ragazzi: se non sei stato informato, sei tu ad essere in torto. Hai appena linkato a uno dei blog che secondo me ha la responsabilità più grande di quel che dice la Lipperini nel post, aver confuso i piani fra lettori e scrittori.
    Albarello. Secondo Gambery Fantasy La strada di Cormac McCarthy è robaccia. Non aggiungo altro.

  39. Veramente Martina, Nihal della terra del vento, al quale fa riferimento Daniele, è stato pubblicato sotto la collana de: “Massimi della Fantascienza”:
    http://www.amazon.it/Nihal-della-vento-Cronache-emerso/dp/8804528850
    E considerando i predecessori di questa collana, titoli come: “Un cantico per Leibowitz” o “Gli strani suicidi di Bartlesville” non mi sento di bollarla come “collana per lettori giovanissimi” o “per ragazzi”.
    Quando io andai in edicola, nel lontano 2004, vidi questo volume senza nessuna indicazione di età e catalogato sotto Massimi della Fantascienza. Peccato che di fantascientifico non ci sia nulla, se non la fregatura di averlo comprato.
    Uno dei diritti del consumatore è di essere informato, guarda per esempio l’etichetta sugli alimentari ecc. quindi la tua frase: “se non sei stato informato, sei tu ad essere in torto” è errata. Se io non vengo informato di qualcosa riguardo un prodotto ed esso mi cagiona un danno, in torto è colui che lo vende.
    Inoltre, Gamberi Fantasy (gamberi senza y, non è una parola straniera), non ha mai definito il libro che tu citi come robaccia. Qui c’è la recensione completa: http://fantasy.gamberi.org/2009/12/31/persa-per-strada/
    Ne cito alcuni tratti: “È una buona descrizione: linguaggio preciso e abbondanza di particolari concreti. Notare però com’è silenziosa. E in questo romanzo va benissimo, perché regna la desolazione e ogni suono è attutito dalla patina di cenere che ricopre il mondo.”
    “Qui abbiamo un’estrema precisione di linguaggio, compreso l’uso di locuzioni poco comuni, come “lampeggiante stroboscopico” o “radioboa d’emergenza” (notare che in inglese è lasciato l’acronimo – “EPIRB” – ancora più specifico).”
    Il voto finale è bilanciato, nè positivo nè negativo. è un filino più complesso che bollarlo come robaccia.
    Ora capite perchè non bisogna fidarsi dei commenti della rete ma bisogna sempre approfondire e perchè io mi senta preso in giro? Mi trattano come uno scemo mentendo sapendo di mentire e si aspettano pure l’applauso.

  40. Albarello gli scrittori non sono puttane a pagamento.
    Raccontano storie.
    Gli scrittori corrono il rischio di raccontare storie che non possono piacere (e di conseguenza subire la disistima del lettore). Il lettore corre il rischio di non gradire le storie che lo scrittore narra.
    In partenza sono entrambi liberi nella scelta sia di raccontare che di ascoltare. è questo principio che si sta cercando di salvaguardare.
    Immaginalo come un rapporto di coppia.
    Non ci deve essere la supremazia dell’uno sull’altro ma una libera e consapevole voglia di stare insieme, conoscersi e rispettarsi, per completarsi a vicenda.
    Io non potrei vivere con una persona aspettandomi che “faccia e pensi esattamente quello che io voglio che faccia e pensi”.
    Non deve essere il mio specchio riflesso.

  41. Anonimo, ammetto di essere stato provocatorio con la questione dei soldi ecc. L’ho fatto sperando di smuovere gli animi degli scrittori, qui pare che per gli editori sia solo una questione economica. Io non voglio questo, a me piace leggere storie e per questo ci resto male quando capisco che alcune di esse sono scritte solo per guadagnarci sopra.
    Sono un romantico e sognatore, ma non ho fantasia. Ho adorato i libri di Lara Manni per questo. Mi hanno regalato momenti piacevoli e spero che non smetta mai di scrivere.
    Ora, mi rendo conto che non possono essere tutti bravi come lei, ma a volte mi capita di leggere certe cose e capisco che sono state scritte solo per vendere, sono preconfezionate, non c’è un minimo di umanità in esse.
    In un rapporto di coppia, come si può amare qualcuno di finto? Desidererei veramente potermi di nuovo “affidarmi ai libri”, ma temo sempre che sia uno stupro e nulla più. Sono disilluso ed è un orribile sensazione.

  42. Io non vorrei mai uscire con qualcuno che mi viene presentato come
    sensazionale e che poi si rivela essere un demente, lí non c’é scoperta reciproca ma inganno. Il giusto rapporto con l’opera da parte di critici e media onesti permette di costruire una buona relazione tra opera e lettore.
    @Martina: i libri di Licia Troisi sono i fantasy nostrani piú venduti in italia la collana è irrilevante, e in ogni caso libri per giovanissimi sono anche ‘lo hobbit’,’la storia infinita’, ‘harry potter’ e ‘coraline’ di gaiman. L’editoria per ragazzi deve essere migliore di quella da adulti e non peggiore semmai.
    D.

  43. Marotta, hai notato come tu stesso ti sia trasformato, commento dopo commento, nel lettore “egotista” di cui parlavo all’inizio? Hai notato come tu sia passato dal concordare sulla necessità di riflessione al “dalli alla Troisi”? 🙂 A dimostrazione che basta una briciola per spostare il frame da una riflessione sulla lettura all'”è tutto un magna-magna”.
    Albarello, non posso che ribadire quanto detto: nessuno nega le responsabilità dell’editoria. Adesso, però, anche i lettori si assumano le proprie. Il post riguardava questo punto: e, come ha detto qualcuno diversi commenti fa, il fraintendimento di Pennac è stato, a mio parere, deleterio.

  44. @daniele marotta ( pure se non dovrei scrivere perché porta ot ma certe assurdità… )
    nella sua idiozia l’urlo liberatorio “la potemkin eccetera eccetera coglieva un aspetto ancora più idiota, quello cioè di giudicare le opere artistiche con il metro, qualsiasi metro. mettiamo che il lettore x vada nel sito dove meravigliosi critici sono interessati alla letteratura ( tu credi alla letteratura? ) e legga che infinite jest sia quel che sia, 5 stellette, facciamo 8, tre ne prendiamo a prestito dai libri di Franzen, e pensi: “glom, sono più di mille pagine, urca costa 20 e più euri, però 8 stellette! lo compra, lo tiene con soggezione fra le mani e cominica a leggere. poi, succede come succede a molti che gli fa schifo, che non ce la fanno e dicono e scattano i nervi: “io ho speso 20 e più euri per questa cagata? poi ci sono quelli che in pubblico dicono “eh sì, Foster Wallace, già già un genio, eeeeh infinite jest, guarda lo tengo sul comodino, è come la bibbia.”
    c’è anobii, le classifiche di qualità che pubblica nazione indiana, ci sono tremila blog letterari stupendi, consigli di lettura in ogni angolo, ci sono le biblioteche porca miseria! ci sono gli amici.
    non si può stabilire che un libro è bello o brutto, la critica seria analizza un ambito diverso della letteratura, analizza il testo la forma, con determinati strumenti, analizza il dietro le quinte, non può analizzare il risultato, quello te lo fai tu ogni volta che leggi ascolti ecc.

  45. Si. Alcuni successi editoriali sono letteralmente fabbricati nelle redazioni e imposti a suon di promozione asfissiante. Si. Altri successi editoriali sono semplicemente frutto del basso livello del gusto massificato. Si. Ci sono editori e uffici stampa che sguinzagliano stagisti per riempire blog e forum di commenti entusiastici a libri di propria produzione. Si. Chi può parlare di libri lo fa se ha un motivo per farlo, e il motivo spesso è amicizia, affinità elettiva o solidarietà culturale con l’autore. Eppure.
    Se chi opera nell’ambito della cultura non crede nell’oggettiva potenza della qualità, è meglio che cambi mestiere, perchè umilia il valore che dice di voler difendere. Io sono profondamente convinto che a medio e lungo termine ciò che ha valore si impone, a patto che il gusto venga educato a percepire il valore medesimo. Per questo sono convinto che, fatta salva la libertà del lettore di sparare giudizi più o meno motivati a destra e a manca, punterei a un ripensamento e a un forte investimento sulla cultura letteraria praticata nella scuola. Attualmente la fossilizzazione su una letteratura solo italiana e per giunta ferma a ottant’anni fa, ma soprattutto confondendo sistematicamente l’apprezzamento dell’opera letteraria con la storia della medesima, annoia a morte gli studenti, li allontana dalle grandi opere e dalle letture complesse e li getta in pasto alle sottoculture letterarie più becere, che hanno ai loro chhi il pregio della facilità e di un linguaggio para-televisivo.

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