IL RITORNO DELLE STOPPIE

L’altra faccia del discorso, quello che ha preso spunto dall’intervista a Celati, riguarda le potenzialità e le novità che si esprimono in un settore letterario che non da oggi mi è caro: quello del fantastico.  Potenzialità che, in questo momento, esistono ma sono sottoposte a rischi forse più insidiosi rispetto a quelli che riguardano altre narrazioni.
Un paio di anni fa, ho scritto un breve saggio che si chiamava Bruciare le stoppie, e riguardava la confusione tra fantastico e romance, fra romanzo horror o fantasy e storia sentimentale.
La confusione è aumentata: in primo luogo, perchè ai vampiri – allora dilaganti –  si sono aggiunti, di recente, gli angeli, con conseguente alluvione di storie che li vedono protagonisti. Nessun tormento per il loro rapporto con l’Altissimo, neanche un barlume di Wim Wenders: sono angeli assai umani e  interscambiabili con i loro predecessori, basta sostituire ai canini le ali piumate. Era prevedibile, e prima degli angeli, peraltro, ci sono stati i licantropi.
Qual è il punto? Che naturalmente è possibile rivitalizzare qualsiasi figura archetipica dell’immaginario se si concepisce una storia che non sia in funzione delle presenze soprannaturali ma di quel che si vuol raccontare:  e se oggi, per fare un nome che si è appena cimentato nel fantastico anche se quasi nessuno lo ha capito, il Marco Mancassola di Non saremo confusi per sempre scrivesse una storia con angeli, o vampiri, o lupi mannari, o zombie, sarebbe una bellissima storia. Per il semplice motivo che sarebbe la narrazione a contare, e non gli inquilini della stessa.
Al momento, e siamo al secondo motivo che problematizza oggi il fantastico, il pubblico dei lettori di questo genere si è allargato molto. C’è un però: leggendo blog e magazine, mi sto rendendo conto che la quasi totalità di quei lettori è anche scrittore, pubblicato o meno. E che divora romanzi fantastici sovrapponendo a quel che legge il proprio testo: che esprima giudizi positivi o negativi, è sempre della propria potenzialità che sta parlando, non di quella dell’autore.
Una delle conseguenze preoccupanti  è che, a due anni da quel saggio, trovo il panorama del fantastico italiano attraversato da due stati d’animo non propriamente nobili, né utili: ambizione e livore. Da una parte non pochi scrittori scelgono la scorciatoia folkloristica, fatta di abiti neri, cappelli steampunk, trucco spettrale, per farsi personaggio (ma contemporaneamente accreditando presso quella larga parte di lettori forti o professionali che si tiene lontana dal genere,  l’idea che il fantastico sia faccenda per persone poco serie e con le orecchie a punta). Dall’altra i lettori  inondano case editrici, agenti, e a volte semplici giornalisti, con proposte di romanzi che autodefiniscono nuove e originali, e pazienza se mancano i fondamentali come l’ortografia. In terzo luogo,  esiste e resiste il vecchio drappello di pionieri che scrivevano genere già decenni fa e che cerca di tenersi stretto il briciolo di presunto potere che ha, impedendo il rinnovamento se non nella direzione che dà loro il minor fastidio possibile.
Nulla di nuovo, insomma. Le stoppie sono ancora là, e sono anche più forti di prima. C’è un però. Cominciano  a farsi largo scritture diverse e interessanti. Anche nel mondo mainstream, che spesso non se ne accorge neppure. Faccio un solo esempio che riguarda un romanzo splendido, ricco di grazia, inventiva e poesia, e che altro non è che squisito fantastico: si chiama L’ultima sposa di Palmira di Giuseppe Lupo.  Da pochi giorni è tra i finalisti del Campiello, a sorpresa. E’ un’infilata di racconti di fantasmi e di passeggiate nell’Aldilà, esposti con tale grazia che i fanatici del realismo non se ne accorgono nemmeno.
Un romanzo che  dovrebbe insegnare una cosa agli autori (di fantastico soprattutto, ma non solo) che strillano al Grande Complotto Editoriale appena ricevono una critica o un rifiuto: con la presunzione, per strano che possa sembrare, non si va molto lontano. Con la sicurezza nel proprio lavoro, unita all’umilità, sì. Anche se lentamente.
Fine della lezioncina e buona festa.

62 pensieri su “IL RITORNO DELLE STOPPIE

  1. Scusate, credo che definire cosa sia e cosa non sia cultura sia decisamente fuorviante. Non era questo il punto. Nè lo era la distinzione su cosa sia mito, cosa sia narrazione e via così.
    Azrael: io demonizzare Dimitri perché si veste strano? Per me può anche infilarsi una tunica d’oro. Il discorso – e ridalli – era non ricondurre il fantastico alla provocazione (va meglio provocazione?) e per arrivare a posizionarsi come “diversi”. Il Male contro il Bene. Ma di che stiamo parlando, per favore? A me non interessa l’ideologia, interessa la narrazione. Dunque, gli autori di fantastico non sono “diversi”: sono autori. Punto. Questo è quel che conta per me. Il resto è accessorio, come gli occhialoni.

  2. Certo ma non si può ancora mettere in mezzo il mito e le menate esoteriche con la letteratura solo perché le forme sono le stesse.
    Allora nel mito mettiamoci pure i puffi e Super Mario Bros.
    Se Paul McCartney scrive una canzone e la intitola Hey Jude, attinge al proprio bagaglio culturale di base e prende la figura di Giuda riempiendola del signigficato che lui vuole. Non è che la Bibbia partecipa della canzone di McCartney in alcun modo o che la canzon contenga un mitologema biblico, ma solo una forma condivisa chiamata Giuda a cui il Beatle cambia senso adattandolo al suo scopo di artista del ventesimo secolo.

    La narrativa fantastica è un linguaggio preciso per dire cose precise e questo mi sembra il punto.
    D.

  3. Marotta, per qualcuno possono NON essere menate e io lo rispetto profondamente, e invito a fare altrettanto, e invito anche a non semplificare le cose: la narrativa fantastica non ha un linguaggio preciso e non necessariamente dice cose precise. Per favore, non creiamo equivoci negli equivoci e non commentiamo tanto per commentare.

  4. Loredana scusa ma le opere di letteratura fantastica contemporanea hanno un linguaggio ed un intento preciso che cambia da autore ad autore, secondo le intenzioni precise degli stessi.
    Il vampiro di Stoker parlava dell’istintualità e della sessualità alle lettrici vittoriane, quello di Stepen King delle notti di Salem è la rappresentazione del male e della sua Seduzione, il vampiro del film Addiction di Abel Ferrara parla della droga e della dipendenza, quello dello Stoker’s Dracula di Coppola parla dell’amore che vince il tempo, in Twilight si parla del mondo dell’adolescenza e della sua alienazione dalla realtà degli adulti. Tutte queste letture non c’entrano nulla di nulla con Vlad Tepes come personaggio storico e vlad tepes è vampiro solo a causa di Stoker e nulla c’entra con il culto pagano del ritorno dei vampiri dall’oltretomba.
    Non ci sono simboli che passano da una cosa all’altra se non nella mente degli ingnoranti, né mitologemi persistenti ma figure letterarie né tanto meno è possibile partecipare del mito leggendo opere moderne Twilight o Dracula.
    Quindi non alimentiamo l’ignoranza, la letteratura fantastica è letteratura precisa tanto quanto ogni altra forma di letteratura moderna.
    Non voglio essere pedante ma se no la narrativa fantastica non uscirà mai dal fango in cui è in Italia.
    D.

  5. Io penso che l’uso che un autore fa delle figure e del linguaggio fantastico sia un limite imprescindibile per la comprensione e la lettura di un’opera e che non possa esistere una dimensione dell’opera che vada oltre o, peggio ancora contro, quella voluta dall’autore stesso arrivando magari a legare più opere diverse solo perché ci sono narrate figure e forme simili.
    Certe figure sono condivise più o meno da molti in una dimensione immaginaria collettiva ma questo non passa nelle opere e nei fini dell’autore che sono sempre puntuali e precisi e non è vero pensare che attraverso le forme derivate dall’immaginario popolare si acceda ai significati puri profondi o ancestrali.
    Da Scooby Doo e i suoi mostri non si arriva ai mostri e alle verità del mito, in nessun modo.
    D.

  6. GL: “… Dico solo che è molto comodo fare quello “dall’altra parte della barricata” quando lo status quo te lo permette (anzi, lo incoraggia).”
    Altrettanto lo è farlo “da questa parte”.

  7. Si è citato Kerenyi. Prescindendo per un momento dal discorso incentrato meramente sul fantastico e ragionando sul ruolo del mito, è utile la distinzione tra mito genuino e mito tecnicizzato che Furio Jesi elabora, riprendendola proprio da Kerenyi. Su quanto queste due categorie incidano molto oltre quello che l’autore possa dichiarare o fare intendere ha ragionato wm1, in un contesto parzialmente diverso da quello su cui si incentra questa discussione, con la sua lezione su “300” ormai di 4 anni fa. Quanto alle considerazioni specifiche sul fantastico (espongo il fianco consapevolmente alle critiche -sperando siano tali- di chi conosce la materia più di me), incentrare il discorso esclusivamente su di un linguaggio proprio del genere, con suoi stilemi, cifre nella costruzione dei personaggi e significati da esprimere, coglie soltanto un aspetto della narrazione. Mi spiego: ci sono sicuramente autori che scelgono deliberatamente di mantenersi dentro ad un linguaggio (lato sensu) codificato, tuttavia non credo che il fantastico sia riducibile soltanto a questa fenomenologia. Chiedo perdono per l’abbondanza di citazioni di wu ming, ma credo che l’espressione “sguardo obliquo” possa aiutare. Il fantastico, come dice Loredana, è prima di tutto una narrazione e prima di tutto con le funzioni della narrazione deve fare i conti: prima ancora, quindi, di inquadramenti nel lessico del genere. Questo per dire che la funzione del mito non pare escludibile a priori, in nessuna narrazione, tantomeno nel fantastico e che pare riduttivo affermare che chi scrive di fantastico sceglie di attenersi alla cifra del genere. Sempre se non fraintendo Marotta

  8. Ecco il nocciolo, il cuore nucleare della faccenda e della facezia italica (ma non solo), la parola chiave: responsabilità. Anche se fosse solo nel riconoscere l’illusione del reale (che forse poi il compito del trickster è un po’ quello di aggiustare le prospettive, di complicare la semplicità e semplificare la complessità, di ridare il peso della realtà e del suo implicito carattere illusorio)..

  9. Ah e per inciso, vista l’immagine a conclusione del post del compare GL, a mio modesto Berlusconi parere non è il trickster, il joker. Non è nemmeno Batman naturalmente (escluderei Riddler, Due facce e Mr. Freeze…) lo assimilerei più alla tragica figura del Pinguino.

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