Ci sono molti modi per declinare la parola libertà, e non possiedo certo il necessario sapere per farlo al meglio. Mi limito a proporre due esempi, celebri in modo – fortunatamente – diverso: il sogno di libertà di Martin Luther King e l’urlo di Vittorio Sgarbi nell’Arena di Giletti.
Il termine è identico, la declinazione, com’è evidente, no.
La parola “libertà” viene usata anche, giustamente, a proposito dei lettori. Credo che, riprendendo quanto si discuteva nei commenti al post di ieri, sia importante capire di quale libertà si stia parlando. Libertà dai vincoli dell’Accademia? Libertà dalla presunta “cricca” di editori-critici-addetti ai lavori? Libertà di scelta, libertà di critica? Luther King o Sgarbi?
Per capirlo, provo a fare un secondo esempio, che ho citato più di un anno fa nella rubrica su R2. Sentite qui: “Che storia orribile e irreale! Ma come fanno gli animali a parlare? Io ho un pappagallo che parla, ma non riesce a pronunciare frasi complete”. E’ una stroncatura e si riferisce a La fattoria degli animali di Orwell: viene riportata, insieme a molte altre, su un blog americano che pubblicava le recensioni più feroci dei classici effettuate dai lettori di Amazon. Esercizio interessante, se non altro per le motivazioni portate dai delusi da Orwell: “Ci sono solo animali che corrono e dicono “comrade”!” . “E’ stato scritto da un uomo malato di mente che odiava la società”. “Lo ha suggerito Al Gore?”.
L’ esperimento si può ripetere anche in Italia. Fra le recensioni a La fattoria degli animali su IBS, c’ è chi ha tributato un due a Orwell: “trama praticamente inesistente, libro pesante e noioso, decine di pagine assolutamente inutili che si possono tranquillamente saltare senza che si perda una sola briciola sia della storia che del significato del libro”. Sulle pagine italiane di aNobii si trova altro. Sotto La montagna incantata di Thomas Mann: “Mio dio, 2 mesi e sono a pagina 120, cosa aggiungere? Succedera` mai qualcosa in questo libro???? “. Infinite Jest, di David Foster Wallace: “Confesso che questo libro l’ho comprato per soddisfare una mia curiosità: se uno scrive 1300 pagine, è perchè non ha niente da dire? E se non ha niente da dire, perchè ci appioppa anche 100 pagine di note a fine libro?Ah, dimenticavo di dire che naturalmente la critica considera questo il suo capolavoro. Figurarsi gli altri…”
Cosa significano questi commenti? Che esiste anche un lato oscuro della forza e che non è utile a nessuno blandire i lettori, come si sta facendo da anni: non è vero, in poche parole, che il lettore abbia sempre ragione. Cifre alla mano, la lettura in Italia NON aumenta, o aumenta di pochissimo: dal 45,1% al 46,8%, ci dice l’Istat. Aumenta, invece, la voce dei lettori: ed è certamente un bene, ed è più che certamente una gigantesca potenzialità. Ma come viene usata, quella potenzialità? Che tipo di lettore-navigatore si va prefigurando?
Un lettore che, appunto, si autoproclama “libero”: dai vincoli del mercato, dalla critica, dalla casta (quanto torna spesso questa parola). Un lettore, come accennavo ieri, che tende però sempre più spesso a sovrapporre se stesso a quello che legge: e che quasi mai, quando il giudizio è negativo, effettua un distinguo fra personali affinità con il testo e valore del testo stesso, ma sottintende un’autoconvinzione: “io lo scriverei meglio”. E spesso, spessissimo, con l’aiuto della vanity press (o editoria a pagamento che dir si voglia), lo fa, o è convinto di farlo.
Attenzione: non sto affatto invocando il ritorno del marchio di qualità impresso da una critica che ancora oggi è, in molta parte, poco adeguata a comprendere quel che accade nel mondo letterario. Sto cercando di riflettere sulla necessità di consapevolezza. Quando il famoso “You” campeggiò sulla copertina di Time, molti ne individuarono il lato oscuro, per esempio, nella cosiddetta “televisione della gente comune”: i reality, l’ansia da riflettore, l’arrivo della non competenza sul piccolo schermo.
Bene, bisognerebbe cominciare a ragionare anche in ambito letterario sullo stesso pericolo: perché il rischio, come sottolineavo ieri, è che si stia perdendo la capacità di leggere. Ovvero, di affidarsi ai libri: che si ha tutto il diritto di abbandonare, criticare, rifiutare. Ma quando la deriva porta a giudicare il Faust di Goethe come “un inutile sfoggio delle sue capacità e della sua cultura, pieno di visioni e stupidaggini” (lettore su Ibs) qualche dubbio andrebbe posto. Davvero i lettori italiani sono maturati? Davvero sfuggono, tutti, all’avvelenamento dei pozzi degli ultimi vent’anni, che ci hanno martellato con l’idea che ognuno abbia il diritto, ora, subito, di essere felice, ricco, potente e famoso? Ne siete convinti? Io sto cominciando a pensarci e mi piacerebbe farlo insieme.
Ps. A proposito degli ultimi vent’anni e del futuro: su Giap!, c’è un intervento di Wu Ming che si chiama L’occhio del purgatorio, la rivolta e l’utopia. Consiglio caldamente l’ascolto.
l’autoresponsabilizzazione della rete dovrebbe esserci anche da parte di chi la rete la usa per leggere i commenti piu` che da parte di chi li scrive.
Non e` che cio` che sta scritto in rete sia tutto uguale.
Una cosa sono i blog di critica letteraria (qui, giap, carmilla, ecc.) dove ci si aspetta da chi scrive un approccio tecnico alla materie. Come diceva luca, la critica deve spiegarmi come funziona un libro e anche magari dire cosa ha di notevole e di particolare o cosa ha di classico o di banale. Deve dare un giudizio sul valore.
Altra cosa sono le valutazioni personali che danno i lettori singolarmente su amzon, ibs,ecc. Sono semplicemente valutazione se una cosa gli e` piacuta o meno spiegando magari il perche`. Credo che fatta salvo un minimo di rispetto ognuno possa dire quello che vuole perche` dice semplicemente le sue impressioni personali. Se qualcuno le interpreta come critica e si basa su quelle esclusivamente fa uno sbaglio. Ma lo fa chi legge.
Io non paragonerei questi a sgarbi che urla, perche` lui da giudizi da lettore qualunque mentre dovrebbe essere un critico.
Scusa, Loredana, arrivo in ritardo e non riesco a leggere tutti i 150 commenti, per cui se quello che sto per scrivere è già stato detto da altri me ne scuso.
Paradossalmente a me quello che più colpisce delle (chiamiamole così) recensioni riportate nel tuo articolo è una sorta di loro respiro interno, come se fossero state pensate, costruite e scritte ad hoc, con l’unico intendo di provocare discussioni come questa.
Prendi il commento su David Foster Wallace: “Confesso che questo libro l’ho comprato per soddisfare una mia curiosità: se uno scrive 1300 pagine, è perchè non ha niente da dire? E se non ha niente da dire, perchè ci appioppa anche 100 pagine di note a fine libro?Ah, dimenticavo di dire che naturalmente la critica considera questo il suo capolavoro. Figurarsi gli altri…”
A me pare scritto da qualcuno che sa come esprimersi. Fa rabbia, ma è un commento/recensione accattivante, alla sua maniera. Anche il “Che storia orribile e irreale! Ma come fanno gli animali a parlare? Io ho un pappagallo che parla, ma non riesce a pronunciare frasi complete” pare quasi sia stato costruito apposta per provocare quell’effetto di surrealtà, rabbia e sorriso (di compassione, per chi l’ha scritto) in chi lo legge. (Il pappagallo, soprattutto, è un tocco di classe).
Tutto sembra indicare che si tratti di recensioni che non sono state messe lì né da analfabeti, nè da sprovveduti.
Mi domando quanti di questi commenti servano principalmente (o unicamente?) a ‘mettersi in mostra’, ‘seminare confusione’ e ‘andare controccorrente’, ma in realtà appartengano a persone che non credono davvero a quanto stanno dicendo…
Evviva!!!! L’ignoranza al potere nel paese dei balocchi, e mettiamoci pure quello dei barbagianni. Che palle ‘sto Thomas Mann, come non preferirgli i mattoni dalle copertine fluorescenti in vendita in tutti i supermercati? Qual’è il problema? ogni scrittore ha il su target. Ahimè.
Sui criteri “oggettivi”: ci possono essere anche opere che pur trasgredendo i criteri elencati da Daniele (che condivido) sono bellissime, magari dei capolavori.
Ma una cosa è pensare che nell’arte ogni cosa è soggettiva, che non ci sono regole, che la creatività corrisponde a fare le come come mi vengono – tutto intorno a me, appunto – che per me è un atteggiamento ingenuo e pretenzioso.
Altra cosa è avere tale padronanza del mezzo da saper fare un uso personale delle regole, trasgredirle consapevolmente, o inventarne di nuove: di solito il risultato è molto diverso (per esempio scommetto che Saramago conosceva benissimo le regole convenzionali della puntaggiatura).
Trasgredire non vuol dire non conoscere, e comunque si può trasgredire qualcosa ma un’opera deve comunque stare in piedi.
Un libro è come un ponte.
Il problema è che a volte certi ponti crollati, li aprono al pubblico e li spacciano per bellissimi guadi con tanto di viaggi organizzati.
D.
Qualcuno dice che: “se ci scrivi delle scemenze, ti inchiodi alla gogna con le tue stesse mani.”
– – –
Direi di no. Per lo più la gente ha la memoria corta. E poi ci sono scemenze e scemenze. La scemenza del critico “di grido” che vede un ciarlatano dove invece c’è un genio rimane negli annali della critica, ma se non c’è qualcuno che a distanza di anni ce lo ricorda noi ce ne dimentichiamo. La scemenza scritta da un anonimo lettore sul web non se/ce la ricorderà nessuno. Le scemenze di questo tipo hanno una funzione liberatoria (già detto); inoltre, come altri han fatto notare qua sopra, spesso sono scritte con una precisa funzione altra. Le scemenze del critico “di grido” invece servono a fare stipendio. Eticamente parlando mi pare abbastanza evidente dove risieda l’eventuale danno: c’è chi raggiunge il grande pubblico e determina un’opinione collettiva, specie quando, appunto loro, i critici “di grido”, sono più d’uno e si mettono d’accordo sulle scemenze. In quest’ultimo caso dalla scemenza si approda facilmente all’accanimento ideologico. Oggi va molto la scemenza che invece di vedere il ciarlatano nel genio vede il genio nel ciarlatano; anzi siamo già entrati nella fase dove neanche più devi dimostrare che il ciarlatano è un genio, basta metterlo sullo scaffale.
Sul cosiddetto “effetto IBS” ho reperito un interessante intervento di Wu Ming 1 di qualche anno fa:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropausa11.htm#6
Forse l’elemento fuorviante è pensare alla “rete” come un qualcosa di indistinto (come del resto non aiuta parlare di “l’editoria” o de “gli scrittori”). Sarebbe interessante capire per esempio se un certo tipo di commenti viene postato prevalentemente da giovani o meno giovani, tanto per verificare l’incidenza del fattore scuola al quale accenna Walter Binaghi; se certi lettori sono anche forti telespettatori e quindi abbiano introiettato lo stile comunicativo proprio del talkshow; o distinguere tra i commenti dei blog, dei luoghi di vendita o dei social forum (che sono in larga misura anche luoghi di acchiappo, il che determina una necessità di visibilità che poco ci entra coi libri). Mi piacerebbe sul tema un’indagine vera, supportata da molti numeri. Temo che al di là delle buone intenzioni, il rischio della supponenza nei confronti della Rete si annidi proprio in questa genericità.
@Daniele Marotta
Hai scritto
” Per un libro si può parlare di:coerenza interna in merito alla vicenda,
coerenza in merito alla narrazione al ritmo,
coerenza in merito all’ambiente in cui si svolge la storia.
capacità dell’autore di rendere una vicenda viva e reale approfondendo
le motivazioni dei personaggi e le vicende dell’ambiente in cui si muovono.
efficacia, intensità e profondità delle emozioni in gioco nel libro.
presenza della giusta quantità di tensione,
capacità di costruire un romanzo secondo un struttura di stasi, conflitto e risoluzione finale, che proietti la lettura verso un’apice emozionale, anziché procedere a tentoni e singhiozzi fino a spegnersi rasoterra.
capacità o meno di dare spessore e vita ai personaggi e loro coerenza rispetto alle premesse.
capacità dell’autore di rendere personaggi vivi piuttosto che fasulli.
capacità dell’autore nella prosa e correttezza ed efficacia nel linguaggio,
originalità, e capacità di usare bene gli stereotipi in tutti gli ambiti del libro.
profondità e universalità del messaggio poetico se ce n’è.”
Forse non ho capito bene, perchè mi pare che sulla base di questi criteri, per un motivo o per l’altro potemmo serenamente scartare Il maestro e Margherita, Moby Dick, le Considerazioni filosofiche del Gatto Murr, L’uomo senza qualità, Tenera è la notte, la Recherche, Orlando Furioso, Infinite Jest, La svastica sul sole..puoi spiegarti meglio?
Anonimo ti rispondo solo perché mi dai l’occasione di approfondire…
mica ho detto che quella è la ricetta del libro perfetto, ho detto che sono dei parametri di giudizio.
Va da sé che ci sono narrazioni basati sulla trama, altre basate sui personaggi, altre ancora sul significato della vicenda altri sul ritmo…
Dipende.
D.
In giro ci sono un casino di commenti positivi a dei libri. Commenti spesso privi di argomentazioni, scritti male, ecc.
Ma quelli vanno bene, perchè sono positivi.
Invece quelli negativi no.
Mah.
Quello che si fa fatica a capire, è che i commenti che si leggono su internet, sono gli stessi che si fanno tra lettori e conoscenti, nella vita normale. Ognuno esprime la propria opinione, e in tal modo si espone ad un possibile dissenso e controcritica.
E’ normale ed è giusto che sia così. Questa è la libertà. Libertà vuol dire anche poter dire cazzate, e che ci sia qualcuno che possa controbattere alle tue cazzate.
Non accettare questo vuol dire non accettare l’idea di libertà. Esprimere un’opinione non è MAI una cosa negativa (tranne per gli insulti gratuiti, e tranne per chi ricopre dei ruoli istituzionali, perchè rappresenta qualcun’altro oltre sè stesso, quindi deve stare attento a ciò che dice)
Ma attenzione: i commenti scritti su anobii, sui blog, su ibs, ecc., sono scritti da lettori che non vengono pagati per questo. Non sono recensori professionisti (che hanno il dovere di informare, e che spesso invece si riducono a fare della pubblicità all’autore o editore amico, oppure criticare ad minchiam un scrittore solo perchè di idee politiche diverse, ecc).
E quindi, bisogna prenderli per quelli che sono. Dei commenti di lettori.
Hai presente il vecchio sketch con Guzzanti, quello della casa della libertà, facciamo un po’ come cazzo ci pare? Ecco.
@Ant: sì, ma non c’entra nulla. In quella sketch, Guzzanti faceva della satira sui dei politici, che intendono per libertà solo la “loro” libertà. E una libertà assoluta, senza freni.
Esprimere delle opinioni, per quanto bizzarre o poco argomentate o ignoranti, è una cosa sacrosanta. Così come il ribattere a quelle opinioni.
Ma mi chiedo: perchè si deve prendere come esempio di commenti stupidi, solo quelli negativi nei confronti di un libro, e non quelli positivi? Lo fanno anche i Wu Ming (sono arrivato a questo blog, leggendo il loro ultimo post su Giap).
Ma non è questo il punto. Il punto è che i commenti stupidi non sono nulla di pericoloso o che dovrebbe preoccupare. Sono solo dei commenti, e a voi non è mai capitato di dire cazzate? A me sì, tante volte.
E quindi? Non si può più? Per un tizio che non capisce La fattoria degli animali, ce ne sono 10000 invece che lo capiscono. Dobbiamo preoccuparci che quell’uno conquisti la Terra?
Cosa facciamo, ammazziamo tutti quelli che dicono qualcosa di stupido? Perchè solo chi fa una recensione stupida? C’è ancora chi crede che Cristo sia risorto dopo 3 giorni, è più intelligente di chi non capisce che La fattoria degli animali è un’allegoria?
Potrei continuare all’infinito.
Il punto è che questo post è intollerante. Non è un problema, capita di essere intolleranti su qualcosa o qualcuno, chi non lo è? Io anche sono intollerante verso molte cose.
Solo, ci tenevo a dirlo.
Non lo trovo intollerante. Non parla di censurare o zittire. Parla di essere responsabili di quel che si fa. E’ così tremendo?
E’ vero, Mgcgio, capita a tutti di dire la prima cosa che ti viene in mente, di parlare per dare aria ai denti tra amici, o al bar, in casa ecc. Capisco sull’account personale di anobii, sul proprio blog…però i siti tipo IBS sarebbero anche un posto dove si va per farsi un’idea di un libro prima di comprarlo. Esprimere un proprio commento in quelle sedi dovrebbe avere lo scopo della condivisione, diciamo con un minimo di spirito di servizio agli altri utenti. Non è obbligatorio lasciare un commento: se non si ha voglia di fare un minimo sforzo, basta non scrivere nulla. Ma se io leggo nella bacheca solo commenti come “che merda sto libro!” (o, se per questo, anche “l’ho TROOOPOOO lovvato :-*!!!) , non è che mi aiuti molto a farmi un’idea del libro. In effetti verso l’incontinenza di sé in luogo pubblico devo dire sono abbastanza intollerante.