L'IO, IL NOI, MARGO JEFFERSON, LO STREGA.

Nel suo bellissimo Negroland, Margo Jefferson non si limita a raccontarsi e a raccontare l’immaginario, le limitazioni e le autolimitazioni della borghesia nera americana, ma pone una questione centrale, a mio parere: come si rapporta un “io” a un “noi”. Come, ovvero, si costruisce un’identità sapendo di non poter svicolare da razza, genere, classe, sapendo che nessuna conquista civile è per sempre e sapendo anche che quando si è “l’altro” occorre essere perfetti. Nel vestire, nel pettinarsi, nei risultati scolastici e professionali. Alle adolescenti nere, che come tutte le adolescenti flirtano con l’idea della morte, non era concessa la depressione. I ragazzi non si rendevano conto che la crema per i capelli pubblicizzata nelle riviste conteneva tre K. Le stesse di Ku Klux Klan. Eppure, in questa complessità esiste un vantaggio, dice Jefferson: “essere l’Altro ti porta ad immaginare ciò che non può essere immaginato da te”.
La premessa, oltre a essere un invito alla lettura, introduce una breve riflessione sul Premio Strega, che si assegna questa sera: non ne ho parlato fin qui per correttezza, dal momento che sono stata coinvolta come autrice fino alla selezione dei semifinalisti, e in questi casi è necessario, a mio parere, tenersi in disparte. Però, leggendo i giornali di questa mattina, non resisto: e vorrei dire che è profondamente ingiusto che quello di quest’anno venga soprannominato lo Strega del #metoo. Ingiusto per il #metoo, per lo Strega medesimo e per le scrittrici. E’ ingiusto sostenere, chiunque lo abbia fatto, che “quest’anno deve vincere una donna” perché i tempi sono questi. E’ giusto, semmai, anche se tardivo, che ci si renda conto che le scrittrici concepiscono romanzi che letterariamente non hanno nulla di meno rispetto a  quelli dei loro colleghi. E’ giusto che le scrittrici si “vedano”, come qui si ripete da anni. Che di loro si parli e che, certo, vincano anche i premi letterari, cosa che, numeri alla mano, non avviene frequentemente.
Ma sminuire un premio con “deve andare così perché serve una donna” non fa onore, non è bello, banalizza un discorso complesso, che è esattamente quello che fa Margo Jefferson. L’identità e il noi. Ma l’identità, in questo caso, è quella che conta: conta il libro, in parole povere. E sarebbe il caso di parlare dei libri, sempre. E che il lupo sia gentile, questa sera.

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