MA ALLORA DITELO

Non bastano le giornatacce e una buona dose di cattivo umore.
Ci mancano anche le mail (di casa editrice)  che iniziano con “Quale uomo non ha mai sognato di avere accanto a sé una geisha?” e finiscono con “L’arte di amare giapponese ha dunque stregato anche il web ed ora unacasa editrice italiana, la prima a farlo nel nostro paese, ha deciso di raccontare questo mondo incantato in un romanzo“.

45 pensieri su “MA ALLORA DITELO

  1. ho guardato la copertina e mi chiedo cosa sia meno peggio:
    – la ormai classica postura dei primi piani della donna bella occidentale nella pubblicità e sulle riviste, ossia labbra lievemente aperte, sguardo perso nel vuoto, espressione da “non so bene cosa mi stia succedendo, quindi fa pure di me ciò che credi”;
    oppure
    – questo terribile primo piano di volto di donna orientale, sguardo talmente basso da essere scomparso del tutto, labbra strette, espressione da “so bene che cosa mi stia succedendo e non ho più, non dico la forza, ma neanche la più vaga idea di oppormi”.

  2. Buongiorno a tutti, permettetemi di dissentire (ho avuto il piacere di conoscere l’autrice alla fiera del libro di Roma e l’ho intervistata per una radio locale). Ho letto il romanzo in questione è l’obiettivo che si propone è esattamente l’opposto: raccontare chi sia in realtà la geisha, certo non la figura stereotipata di donna sottomessa o addirittura di prostituta che abbiamo in testa in occidente.
    La geisha è un’artista che studia per tutta la vita nel tentativo di raggiungere la perfezione nella danza e nel canto e in tutte le arti tradizionali giapponesi.
    Inoltre di tutto si può accusarla tranne che di essere sottomessa o debole: in una società maschilista come quella giapponese la geisha è al contrario l’unica donna veramente indipendente che esista, da sempre.
    Riguardo alla foto della copertina, fa parte di una sequenza che potrete ammirare all’interno del libro.
    Gli occhi sono rivolti verso il basso solo perché la donna sta preparando il tè che servirà subito dopo (con grande eleganza e orgoglio) agli ospiti presenti.
    Qui, trovare la sequenza del fotografo che ha collaborato al libro:
    http://www.flickr.com/search/?q=naosome&w=14952903%40N04
    Buona giornata a tutti e, per la signora Loredana, speriamo che l’umore migliori!
    Viviana

  3. Infatti, signora Loredana, in quelle frasi non leggo né l’aggettivo “sottomessa” nè quello di “remissiva” o “debole”.
    Che poi l’argomento non le interessi è un altro discorso, ma non per questo il romanzo perde il suo valore.
    Tra l’altro mi meraviglio del fatto che proprio lei, paladina dell’onestà intellettuale nel suo blog, critichi un libro senza neanche averlo sfogliato (non dico letto).
    Viviana

  4. Sarà pure “la prima casa editrice a farlo nel nostro paese”, ma sinceramente “Diario di una maiko” come titolo mi sembra un ricalco di “Memorie di una geisha”.
    E comunque no, non ho mai sognato di avere una geisha a fianco. E non perché io sia un uomo con una cultura o una morale superiori a quelle altrui, ma semplicemente perché mi son trovato a crescere in un contesto sociale in cui questo modello di donna non è stato mai proposto come apprezzabile o altro. Quindi il punto di partenza della mail dell’editore lo rigetto a priori.

  5. Anghelos,
    perfetto: ognuno di noi è fortunatamente libero di avere e di esprimere la propria opinione. Almeno per ora, in questo paese!
    L’importante è farlo sempre nel rispetto dell’altro, come appunto hai fatto tu.
    Un saluto.

  6. anche a me la frase virgolettata sembra un’ironica provocazione.
    “Quale uomo non ha mai sognato di avere accanto a sé una geisha?”, sembra sottintendere che all’immagine stereotipata e “orientalista” della geisha che abbiamo in occidente (=donna sottomessa e servizievole, e all’occorrenza un po’ mignotta. Immagine che non dice nulla delle gheishe ma molto, tutto, di come l’uomo occidentale – non certo quello giapponese – pensa la propria donna), dicevo: sembra sottintendere che all’immagine stereotipata e “orientalista” della geisha che abbiamo in occidente, contrappone, nel libro, un racconto fedele di questa figura così radicata nella cultura nippona.
    E poi, prendersela con la piccola, micro (e praticamente ininfluente) editoria non mi sembra il massimo neanche per un malumore mattutino.

  7. concordo con Viviana Gasperini. Per la mentalità occidentale geisha equivale a prostituta cosa assolutamente falsa infatti il lemma si potrebbe tradurre come artista ed infatti la geisha, come ha detto giustamente VIviana, studia quasi tutta una vita per arrivare a saper intrattenere col canto e con la conversazione l’uomo di turno ed in Giappone questo “modus vivendi” è un’arte che dapprima addirittura fu esercitata da uomini. I Giapponesi pur essendo molto maschilisti rispettano moltissimo le geishe. Forse non riusciremo mai a comprendere appieno la loro mentalità, mi ricordo che negli anni ’70 ero a Tokyo per lavoro e nelle relazioni di affari non dissentiscono mai alla prima, ti dicono sempre si per poi alla conclusione uscirsene con un bel no. Non capendo ovviamente tale modo di fare ho chiesto spiegazioni e mi è stato risposto che per la cultura giapponese era segno di poco rispetto negare subito una qualsiasi transazione.

  8. tra l’altro le geishe sono donne coltissime oltre che raffinate
    scrittrici, profonde conoscitrici della letteratura, della poesia, della storia e dell’attualità devono essere all’altezza di poter dialogare con politici, ambasciatori e potenti personaggi pubblici; poter incontrare una vera geisha è un privilegio che solo in pochi possono avere, personalmente penso che sarebbe interessante.

  9. non che Lipperini abbia bisogno di qualcuna spieghi le sue parole, ma provo anch’io a dire la mia: mi ha colpito che per parlare di un prodotto letterario che ha per protagonista una donna, si prenda a riferimento solo l’universo maschile e il fatto che, si sa, in fondo gli uomini sono un po’ tutti – scusate l’espressione forbita – ‘puttanieri’… Non ho letto il libro, e quindi non mi pronuncio sul contenuto: certo che una promozione così fatta non solletica per niente la mia curiosità, e se davvero il romanzo ha il pregio di raccontare in modo nuovo e non stereotipato chi sia la geisha, be’, la cosa va a suo discapito (del libro, of course)…

  10. Grazie Stefania. Il punto è proprio questo. E’ chi ha scritto quella frase (e, per cortesia, non parliamo di “provocazione”: la filastrocca ha stufato) che dimostra di non sapere, o di voler ignorare il significato della parola geisha, e di utilizzarne solo l’accezione solleticante.
    Inoltre: non me la prendo con nessuno e certo non sfogo così il mio malumore. Me la prendo, invece, con le piccole cose che concorrono a formare un affresco avvilente, sempre lo stesso. E se non si comincia a cambiare dai dettagli, non cambia neanche l’insieme.

  11. ogni uomo (se onesto con se stesso) ammette di aver desiderato almeno una volta una geisha accanto a sé, una donna che lo faccia sentire al centro dell’universo.. e in questo credo non ci sia niente di sbagliato: io stesso confesso di averlo desiderato ma si tratta appunto di un miraggio dell’uomo occidentale, la geisha è sicuramente qualcosa di più complesso rispetto al nostro stereotipo. vorrà dire che non potendo al momento volare a kyoto leggerò il romanzo per comprendere (e sognare) meglio.

  12. Le frasi citate dalla Lipperini mi sembrano, da quello che ho capito, fuorvianti rispetto al libro e quindi già così “ingannevoli”. Ma direi anche che sono frasi estremamente banali e banalizzanti, riproposizioni di stereotipi (mondo incantato?) anche nel linguaggio. Anche se estrapolate dal contesto, sono espressioni che denotano sciatteria estrema. E se non si può segnalare e criticare nemmeno questo… allora ditelo!
    saluti

  13. “ogni uomo (se onesto con se stesso) ammette di aver desiderato almeno una volta una geisha accanto a sé, una donna che lo faccia sentire al centro dell’universo.. ”
    In tutta onestà, io no. Mai, neppure nei peggiori momenti di stupidià, neppure quand’ero teenager. Anzi, so che avere una geisha tra le palle mi metterebbe di pessimo umore. Io che voglio farmi gli affari miei e lei che vuole intrattenermi col canto. Io che voglio starmene in disparte e lei che vuole mettermi al centro dell’universo. Ma per piacere… Immagino la rottura di cazzo…

  14. Concordo con il Wu… e poi sarebbe ora di finirla con questi immaginari ottocenteschi se non settecenteschi… si può aspirare o sognare qualcosa di nuovo…

  15. Arrivo un po’ tardi.
    – Le rare volte che ho provato a fa la Geisha i risultati sono devastanti – funizono solo chi i dorci. Mio marito è come Wu Ming:) E quando mi vede improduttiva si storce. E’ stata una cosa che ha messo in chiaro da subito. Il suo papà contadino del viterbese con quinta elementare gli ha fatto due maroni tanti sull’importanze delle donne intelligenti et autonome. Indubbiamente la scelta potrebbe essere stata deludente, ma suvvia ci si prova.
    A parte gli scherzi. Il dibattito ci voleva perchè sebbene ci metta la mano sul fuoco che La Lipperissima sa che d’è una Gheisha, il post era criptico, e non si capiva bene se la critica fosse sul testo in se o sulla terrificante vulgata editoriale, a proposito di omini e dame che ni ci lavano i piedini recitando poesiuole. E per questo io ho trovato molto utile il commento di Vivana Gasperini – ovvio per Loredana, meno per noi che leggevamo. Ne devo dedurre che la campagna publbicitaria medesima con la sua volgarizzazione abbia fatto indignare chi ha letto il libro – che mi incuriosisce – e chi conosce a fondo la cultura giapponese.
    In ogni caso, vedo in questa faccenda- escludendo la raccapricciant questione del masculo che vole na geisha – lo spinoso nodo su cui spesos mi trovo a riflettere: e la contraddizione in cui mi sento quando devo affrontare riflesisone femminista e critica all’eurocentrismo. Queste due cose spesso confliggono.

  16. Quale uomo non ha mai sognato di avere accanto a sé una geisha?
    Quale scrittrice non ha mai sognato di entrare in classifica grazie ad una quarta di copertina disonesta?
    Quale correttore di bozze non ha mai sognato di bambanare tre ore con piattini e teiere prima di bere un ditale di thé?
    Quale direttore di collana non ha mai sognato di fare un mutuo per una scodellina di raffinatissima dadolata di pesce crudo mentre nel ristorante mediterraneo accanto tutti si ingozzano di volgare carpaccio di pesce?
    Quale editore non ha mai sognato di emulare Mishima dopo la lettura delle rese editoriali del romanzo col quale sperava di infinocchiare i lettori?

  17. “Quale editore non ha mai sognato di emulare Mishima dopo la lettura delle rese editoriali del romanzo col quale sperava di infinocchiare i lettori?”
    Questa è bellissima!! 😉

  18. Questo libro inizia dove finisce “Memorie di una geisha”: infatti mentre il romanzo di Arthur Golden racconta la vita delle geishe prima della legge antiprostituzione del 1958 invece “Diario di una maiko” descrive la Kyoto contemporanea certo non meno affascinante di quella passata. Per chi come me da sempre subisce un’attrazione quasi irresistibile verso la figura della geisha, questo romanzo è assolutamente da leggere.

  19. incidentalmente, circa la foto di copertina di questo libro nato per gioco con una giovane scrittrice conosciuta online, l’ho scelta perché mi ricordava una giovane intenta a scrivere un diario, tutto qua, e poi lo sguardo di una geisha (l’ho sperimantato una sola volta) può essere come quello della Medusa, o se si preferisce di un maestro di spada, può impietrire.
    Ciao a tutti un editore che ha pochissime rese (visto che il problema per un piccolo editore è avere un po’ di spazio in libreria…) lorenzo

  20. Rettifica? La mail è ancora nella mia casella, e se un piccolo editore non sa quel che fa il suo ufficio stampa, non è un problema mio.

  21. A me pare che la consunta frase:”Quale uomo non ha mai sognato…” sia un incipit da temino delle medie, e faccia immediatamente sorgere la voglia di dire:”Io per esempio mai.”, di qualunque cosa ci si attribuisca di sognare.
    Credo la si usi di solito quando si invita a guardare un fatto dal buco della serratura, con la connessa ricaduta di curiosità.
    Quel che però credo infastidisca le donne occidentali sia proprio l’esistenza stessa della geisha: una femmina che dedica tutta se stessa, il suo studio e i suoi talenti a rallegrare i maschi. Sarà pure un’artista, ma ad esclusivo godimento di una sola parte del genere umano, guarda caso quella dominante.
    In questo senso l’indipendenza raggiunta, lodata dalla V.Gasperini, è quella della cortigiana di lusso: indipendenza che sarà proporzionale piacere che saprà fornire ai padroni, che padroni comunque resteranno.

  22. ho letto molti libri sull’argomento e l’indipendenza della geisha si esprime in tutti i sensi, la geisha non ha padroni proprio per definizione al contrario rappresenta la sola categoria di donna giapponese che da sempre è indipendente dalla potestà maschile e maschilista sia economicamente che moralmente. per questo non ha bisogno di contrarre il vincolo del matrimonio e se decide di farlo deve rinunciare al suo ruolo professionale.

  23. Ciao Lucia,
    concordo con ciò che dici ma continuo a pensare che questa “indipendenza” sia graziosamente elargita solo a lei proprio in quanto si fa (attivamente e non supinamente se vuoi), strumento del massimo piacere maschile, magari evoluto e non esclusivamente sessuale .
    Nessun dubbio che in questo modo raggiunga la posizione che descrivi, che sarà pure l’unica che consente un certo tipo di libertà, però da un punto di vista occidentale non mi pare una persona libera ma qualcuno che paga un prezzo (al padrone maschio) per ottenere questo stato di privilegio.
    D’altra parte, una volta che si sia ammesso (io non so se è così) che la società giapponese è totalmente maschilista, a me pare che anche eventuali spazi di libertà saranno concessioni più o meno utili per il gruppo dominante, e non conquiste di vera indipendenza.

  24. la geisha vive in un mondo di donne costruito dalle donne,
    artiste che si esibiscono nei teatri e nelle sale da tè danzando e cantando, donne manager che dirigono questi teatri e queste case da tè
    e altre donne più in là con gli anni che insegnano le arti tradizionali giapponesi.
    si tratta in realtà di una vera e propria vocazione in quanto queste ragazze scelgono, senza alcuna costrizione, di dedicare la propria vita all’arte.
    bada bene all’arte e non agli uomini!
    la figura di geisha di cui parli tu è la nostra visione di questa professione, ma nella realtà giapponese il ruolo della geisha è molto diverso dal mito che noi occidentali abbiamo costruito intorno al suo nome.

  25. Va bene Lucia, può essere che il ruolo della geisha sia diverso da quello della cortigiana che noi siamo portati ad attribuirle, resta il fatto che quest’arte, e come la descrivi tu ammetto che lo sia, è pur sempre l’arte di intrattenere la controparte maschile, che è il fine, e il canto e la danza e altri virtuosismi ne sono i mezzi. A me pare una distinzione non da poco rispetto all’arte come la si intende da noi.
    Comunque, sono opinioni.

  26. le sale da tè non sono frequentate solo da uomini, tutt’altro.
    e i vasti teatri nei quali le geisha si esibiscono in numerose occasioni sono aperti ai giapponesi e agli stranieri. ti assicuro che si tratta di artiste ammirate e complete, paragonabili alle nostre ballerine di danza classica o ai nostri più celebri drammaturghi. è una professione che tende alla perfezione e tale perfezione la ricercano per tutta l’esistenza, al di là degli occhi di chi le guarda esibirsi.
    comunque come hai scritto tu giustamente ognuno di noi si fa la propria opinione in proposito, e per me è stato un piacere dialogare con te anche se la pensiamo in modo differente.

  27. Beh Lucia, se le cose stanno come dici tu, allora c’è in occidente un grosso fraintendimento sul ruolo e sul significato della parola “geisha”, testimoniato, mi concederai, anche dal modo con cui viene presentato il romanzo di cui parla la Lipperini.
    Saluti, e il piacere è reciproco.

  28. Cara Signora Lipperini, non siamo Feltrinelli e non abbiamo alcun ufficio stampa, capisco l’equivoco ma non la perseveranza nell’errore. Che rivolga le sue “accuse” a chi le ha mandato l’e-mail di cui ripeto non sappiamo nulla. Lorenzo Casadei

  29. Chiedo venia se ho involontariamente scatenato un vespaio ma certo non era mia intenzione.
    Lavoro per l’ufficio stampa di un mensile romano di arte, cultura e informazione, “Eventi culturali”, ho recensito il romanzo e avendolo particolarmente apprezzato ho inviato il mio articolo di presentazione a diversi siti letterari che apprezzo come quello della signora Lipperini. Se le mie parole sono state fraintese, me ne rammarico. Certo non volevo far svalutare il libro, semplicemente esprimere la mia opinione sul romanzo e la mia recensione non mi sembrava così pessima.
    Colgo l’occasione dunque per chiarire sia con l’editore sia con la signora Lipperini. Cordiali saluti.

  30. Ultima precisazione, visto che questa assurda vicenda sta diventando pretesto promozionale, volontario o meno. No. “Laura” (alias Lucia, alias Paolo alias Viviana e quant’altri) non dice il vero: quello che è stato mandato a me recava l’intestazione Comunicato stampa. Anzi: “COMUNICATO STAMPA:
    dal 3 febbraio 2009, in libreria, il romanzo “Diario di una maiko” di
    Miriam Bendìa (Casadei Libri Editore, collana Porte d’Oriente – narrativa).
    E’ possibile richiedere una copia del volume, in anteprima, ai fini di
    una cortese recensione”.
    Chiudo i commenti a questo post, sperando che la farsa abbia termine.

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