L’articolo che apre questa mattina l’edizione on line de Il Fatto quotidiano ha, nel momento in cui scrivo, 976 commenti. I 976 commenti sono preceduti da un avviso: “evita gli insulti, le accuse senza fondamento e mantieniti in topic. Abbiamo bisogno del tuo parere”. Bello, giusto, corretto. L’articolo riguarda l’operazione al cervello subita ieri da Pierluigi Bersani. I commenti, a scorrerne almeno una parte, sono di questo tenore:
“Non ho parole … se non per un sincero pensiero e una preghiera per Bersani. Una parola per tutti i commenti carichi di disvalori umani: MI FATE PENA….!!!”; “Notevole la quantità di commenti eliminati, penso perchè inutilmente offensivi; e notevole anche la quantità di quelli che , comunque, rimangono. Direi che l’umanità sta facendo grossi passi avanti….verso la barbarie”.
Uno sguardo, ora, alla bacheca Facebook dello stesso quotidiano e agli status degli utenti:
“vi invito a farvi delle domande sul vostro modo di fare giornalismo, sulle mostruosità di cui siete complici (mi riferisco chiaramente agli auguri di morte rivolte da molti dei vostri lettori a pierluigi bersani) e alla vostra scelta di rimuovere tutto senza nemmeno una parola di scusa o almeno una presa di posizione da parte del direttore. il rimosso riemerge sempre”; “E’ l’una e quindici del 6 gennaio…sono passate molte ore dalla pubblicazione del vostro post sul malore di Bersani, in cui diversi italioti hanno dato sfogo alla propria bassezza morale…Ho atteso nella speranza che il direttore Padellaro o chi per lui sentisse il bisogno di scrivere 2 righe per dissociarsi dalla volgarità e dalla crudeltà di certi commenti ma la risposta è stato un silenzio assordante, complice di tanta infamia! Mi dispiace dirvi che non siete molto diversi da coloro che si sono espressi in modo così disumano! Vergognatevi, se vi riesce!”
Cosa è dunque successo? Chiunque legga da tempo i commenti ai blog del Fatto (un po’ tutti, sia quelli che riguardano i femminismi, sia quelli in cui non si parla esplicitamente di politica) lo sa già: in larga parte, chi commenta su quel sito in particolare, fa da anni professione di odio. Odio per chi? Non importa, basta un qualsivoglia pretesto e giù maledizioni e auspici di turpi sofferenze per chiunque rappresenti la casta, o abbia visibilità, o sia ritenuto responsabile non semplicemente dei mali italiani, ma dei propri.
Per i non frequentatori, un breve riassunto: ieri mattina, sia sul sito che sui social dove il Fatto è presente, si sono rovesciati gli usualissimi insulti nei confronti di Bersani. Tanti, come ancora una volta è usuale. Quali i motivi? Non ci sono, non sono necessariamente – anzi, non sono affatto – insulti “politici”. Per esempio, scrive T (donna, fan di Borsellino e della Barbie, odiatrice di rom), : “sono veramente contenta di quel ke gli è capitato..spero muoia quanto prima…..visto tt la gente ke si è tolta la vita a causa delle sue scellerate scelte politike..equitalia in primis….non dimentikiamoci ke ne è stato uno dei fautori”.
Sono “grillini”, questi commentatori, come si sostiene? Alcuni, leggendo qua e là, dichiarano la propria simpatia per il Movimento5Stelle, altri se ne infischiano, non evidenziano alcun interesse politico, fotografano piatti di spaghetti alle cozze o commentano (spesso con la stessa ferocia) le ultime avventure del personaggio televisivo di turno. E’ come, scrivevo ieri pomeriggio su Facebook, se essere “indignati” e “anticasta” avesse sostituito il provino per il reality o il talent: e sarebbe davvero interessante avere un “Videocracy” sugli haters, per comprendere quel misto di autogratificazione, desiderio di riconoscimento e inclusione, spinta all’omologazione che il commento odiatore porta con sè.
Cosa è dunque avvenuto al Fatto? Semplice: dopo la controreazione (utenti che si indignano in gran numero per gli odiatori), lo status Facebook che riportava la notizia del malore di Bersani è stato rimosso, mentre sul sito è partita una mobilitazione dei gestori per eliminare i commenti violenti. Ma come, e tutto quel che è stato seminato negli anni precedenti dallo stesso quotidiano? Nulla, abbiamo scherzato, anzi, qualcuno ha esagerato ma non è colpa nostra, si suppone.
Come interpretare la vicenda? Non mi basta quel che scrive, con la consueta brillantezza, Arianna Ciccone in questo post su Valigia Blu: “in Rete c’è l’Umanità, la nostra umanità. Siamo tanti e la nostra bruttezza così messa in scena tutta insieme contemporaneamente spaventa, certamente”. La Rete non è soltanto la fotografia del reale: o anche ammettendo che sia così, il solo fatto di porgere quell’immagine invita al rispecchiamento, fa sentire meno solo colui o colei che si sente autorizzato a usare un determinato linguaggio e a esprimere determinati sentimenti. Ben lo sa Il Fatto, peraltro, che per anni a quel linguaggio ha ammiccato, salvo cercare di mettere ora la polvere sotto il tappeto.
Il che non significa, evidentemente, che bisogna pensare a contromisure limitanti (lo scrivo subito prima che il discorso sugli haters si avviti nella solita contrapposizione libertari versus censori, che non esiste, o almeno non esiste qui). Bisogna, ed è anche il mio personale augurio per il nuovo anno, trovare altre narrazioni. Altre parole. Altre storie. Anche e forse soprattutto in rete. Buon 2014 a tutte e tutti.
Per una volta, Loredana, non sono d’accordo con te. O almeno non completamente. Da come hai impostato il post sembrerebbe che il problema sia tutto interno al “Fatto” e ai suoi lettori. Personalmente leggo questo quotidiano dalla sua nascita (sono tra quelli che anticipò l’abbonamento prima ancora che partisse!), continuo ad apprezzarne l’assoluta indipendenza e anche la verve polemica che spesso condivido: in fondo, fa quello che un vero quotidiano dovrebbe fare in un sistema democratico, anche perché di norma lo fa documentandosi. Stessa cosa potrei dire degli altri giornali che leggo regolarmente (Manifesto, Repubblica, Corsera, Il Sole, Il Foglio). Eppure, anche se i moti di rabbia mi vengono eccome, prima di esprimerli sulla Rete conto fino a 100 e rileggo con attenzione ciò che scrivo/twitto.
Dunque il problema è altrove, e precisamente nella mancata consapevolezza degli spazi entro i quali ci si esprime. È come se decenni di esibita trasgressione nel linguaggio pubblico ci abbiano semplicemente fatto smarrire l’oggetto originario della trasgressione stessa. Aggravata dal fatto che troppe persone confondono internet con uno spazio privato, addirittura intimo, e vi si esprimono come se stessero con i classici “4 amici” nell’altrettanto classico (e ben chiuso) “bar”. Complice, forse, anche uno scivolamento semantico della stessa parola “amici”, nella vita reale come sul web.
Il linguaggio pubblico si è fatto via via sempre più aggressivo anche per la progressiva perdita di riferimento rispetto ai fatti reali cui metafore e metonimie eclatanti accennano: non mi stupirei se chi augura la morte di Bersani o vi ironizza sopra, non abbia neanche una reale percezione del dolore del distacco che la morte provoca. Ancor più numerosi quell* che non avranno mai provato su di sé la vertigine della propria fine, del proprio “scivolar via”… Ancor peggio quando si abusa di metafore e immagini di guerra, di catastrofi naturali, ecc.
Il problema che tu poni è dunque ben più complesso di uno sterile rimbrotto a una singola testata giornalistica (sul mancato, pronto intervento di Gomez, però, concordo in pieno con te: era doveroso), tantopiù che altre hanno sistematicamente e programmaticamente allevato una generazione e mezza di italiani a “insulti, invettive e fango”…
Il vero nodo è che l’odio cova nelle persone più banali e aspetta solo di essere convogliato per essere fatto esplodere nella realtà. Per ora è “solo” autodistruttivo e semantico, ma per quanto tempo rimarrà tale? Il terribile film di Savranas (“Miss Violence”) dà una prima, inquietante, risposta. Subito dopo guardare “Il Nastro Bianco” per la risposta definitiva. E per avere veramente paura.
Caro Luca, certamente la questione non si limita al Fatto: mi sono occupata di questa testata per il modo maldestro in cui ha – per me tardivamente – affrontato la questione degli haters. Che in precedenza ha, se non incoraggiato, diciamo ampiamente tollerato per un motivo banalissimo: l’odio genera traffico. Ma il discorso vale per altre testate, altri luoghi on e off line e vale perché stiamo aderendo a una narrazione che da anni porta in questa direzione.
Quello di cui parli è il vero punto: se l’odio genera(va) audience e ora genera click, è ammissibile?
Sulla gestione maldestra della faccenda da parte di Gomez ribadisco di essere d’accordo con te.
Hai ragione, Loredana.
Non è una spiegazione del tutto soddisfacente quella secondo cui la nostra ‘bruttezza’ di esseri umani manifestata nella vita reale si trasferisce pari pari e senza mediazioni alla sfera dei social network o della comunicazione digitale.
Perché, semmai, a me – che concordo pienamente con te sulla questione della ferocia a cui fai riferimento – sembra che un pezzo del problema stia proprio qua: nel fatto che la parola scritta risulta equivalente in tutto e per tutto alla parola detta.
È come se alla parola scritta fosse venuta meno la responsabilità.
Brava Federica: hai riassunto in modo efficacissimo nella tua ultima frase il senso del mio pensiero (e, credo, anche quello di Loredana).
Aggiungo, rispetto al discorso della responsabilita`, che una certa parte di utenti usa nome e cognome reali, da facebook in poi, anche per loggarsi e commentare ormai sui siti dei gironali. Tralaltro dando del troll a chi legittimissimamente usa nicknames per farlo ed esprime critiche.
Ma al bar, chi, sapendo che lo stanno ascoltando tutti tutti, userebbe questi toni?
Trolling is a art
Si, è vero che la parola scritta dovrebbe avere più “responsabilità”, però l’equivalenza con la parola detta è totale, nel senso che il detto “verba volant, scripta manent” non è valido sulla rete. Tutto si dimentica in fretta e tutto si rinnova. Quello che resta è l’ umore della folla e i luoghi comuni a cui reagisce, entrambi alimentati e indirizzati da pochi soggetti, i cosiddetti influencer, che possono anche essere organizzazioni o, come nel caso in esame, giornali.
Dunque necessita un tipo di narrazione che contrasti il luogo comune, lo stereotipo, perchè sarebbe inutile tentare di intervenire sulla folla con il ragionamento, la persuasione o, peggio, la coercizione e l ‘imposizione.
Quindi le parole a cui dobbiamo rivolgere la nostra attenzione sono quelle che pronunciamo e scriviamo noi. 🙂
Sono d’accordo con tutto quello che è stato detto da Loredana e da Federica Sgaggio. Il Fatto Quotidiano e le realtà simili per approccio sono, secondo me, l’altra faccia di una medaglia il cui lato opposto, e per questo più additato, è Mediaset, con Studio Aperto che pedina gli avversari giuridici di Berlusconi e via dicendo. Visto che Striscia La Notizia e i talk show frantumavano i record di ascolti negli anni ’90, tutti hanno cominciato a inseguirli sullo stesso terreno, compreso il giornalismo che si trovava e ancora si trova su un altro fronte politico. Non è che tutto sia da buttare via in quelle testate o programmi tv (io ci metto dentro anche Santoro, per capirci), ma è chiaro che ammicchino a un’indignazione facile e immediata.
Il punto però è: perché così tante persone rispondono a questo approccio? Perché tanti leggono, commentano, condividono e votano pure secondo questa linea? Quale bisogno c’è dietro?
La parola scritta ha perso il suo valore e la natura dei luoghi della rete è largamente fraintesa e ignorata, verissimo. Ma secondo me non basta. Il motivo principale di questo odio è, secondo me, molto banale, ma va detto lo stesso, gridato anche, ripetuto a tamburo battente: in Italia tanta tanta tanta gente sta male. In Italia tanta tanta tanta gente fa una vita di merda, vive sotto la soglia di sopravvivenza o appena sopra, lavora in luoghi insopportabili, deve affrontare enormi difficoltà per ottenere qualunque cosa di cui ha bisogno (da un’IVG a un’insegnante di sostegno per un figlio con difficoltà di apprendimento, a una pensione di invalidità, a una casa popolare…), abita in luoghi in cui non esistono occasioni di socialità o di stimolo culturale, o quelle occasioni non può permettersele.
Nei grandi quartieri dormitorio – fatti a misura di una classe media che doveva consumare il più possibile anche nei suoi bisogni di socialità, e che quindi, ad esempio, doveva sempre muoversi in auto e frequentare luoghi costruiti attorno al consumo come centri commerciali, discoteche e via dicendo – occorre fare un grande sforzo per vedere la natura collettiva di quello che accade. Occorre possedere strumenti di analisi che pochi anno. Ora i soldi per la macchina, il multisala, la discoteca, il centro commerciale non ci sono più. La classe media non c’è più. E quei quartieri diventano luoghi in cui si sta barricati in casa, davanti al computer e alla tv, a consumare quel poco che ci si può ancora permettere, sempre più arrabbiati e frustrati.
E luoghi virtuali come Facebook o il sito de Il Fatto Quotidiano rispondono a questo bisogno, un bisogno a cui nessun altro sa rispondere, perché la sinistra è scomparsa dall’orizzonte, non solo a livello di politica rappresentativa ma proprio come idea, perché coloro che l’hanno portata avanti hanno tradito in ogni singola occasione che è stata loro data, o brancolano nel buio privi di qualunque valido strumento di analisi.
Siamo un paese barbaro, perché viviamo tempi barbari, in condizioni barbare. Siamo poveri, e quindi ignoranti. Secondo me, bisogna partire da qui.
ma la parola scritta perde di responsabilità nel momento in cui viene lasciata senza destinatario, non dipende dal mezzo. la responsabilità è di chi legge, non di chi scrive.
Io ho da tempo percepito che la Rete tira fuori il peggio di me. Dico cose che, di persona, non mi sognerei mai di dire. E questo per un motivo semplice: l’impunità. Posso dire certe cose senza correre il rischio di un pugno in faccia o di altre sanzioni. Ho cercato, dopo i tempi felici dei primi anni zero che mi portarono a un acuto auto-disprezzo, di prendere misure correttive che hanno avuto più o meno successo ma ho occasionali ricadute.
Secondo me il problema è tutto lì. Non è che i tempi siano tanto più terribili: la Rete negli anni Trenta o Sessanta o Ottanta avrebbe avuto lo stesso effetto. E non è neanche vero, secondo me, che la Rete si limiti a rispecchiare la società così com’è. Se certi comportamenti non si possono manifestare in pubblico allora non ci sono. Meglio: la civiltà e l’educazione mettono in campo, per arginare l’odio, una serie di meccanismi più o meno efficaci e fra questi anche l’assunzione di responsabilità personale di quel che si dice. Internet, anche quando si usano i propri nomi e cognomi, erode quei meccanismi, dato che, più che alla chiacchiera da bar assomiglia alla lettera anonima (leggere ‘Delatori’ di Mimmo Franzinelli: sembra di leggere certe pagine di FB…).
Un dettaglio positivo, sia pure fino a un certo punto: questa ondata d’odio nei confronti del povero Bersani la conosco perchè ne sento parlare da altri. La mia pagina FB non ne è stata sporcata. Malgrado ospiti ‘amici’ delle idee più diverse e anche gente piuttosto polemica sono evidentemente riuscito a tenere alla larga i peggiori. Certo, è una soluzione puramente negativa ma non me ne vengono in mente altre…
Dice LL: “contrapposizione libertari versus censori, che non esiste”: siamo seri. Ci sono persone a cui la tenutaria di questo blog censura ogni tipo di commento, off topic, on topic, in linea con le sue idee, in contrasto con le sue idee. così, tanto per il gusto di mozzare qualche lingua qua e là. che la vera hater sia lei?
Gentile Arturo, lei dovrebbe uscire più spesso. In questo modo scoprirebbe che a questo mondo esistono anche case che non sono abitate da “tenutarie”, bensì da signore come Loredana Lipperini. Saluti cordiali e buon anno.
Maurizio, “Arturo” è il solito Lucio Angelini. Se lei non sa di chi si tratta, come è giusto, è una persona che è stata bandita da questo blog per i suoi comportamenti, e che tenta in tutti i modi, in ogni luogo dove appare il mio nome, di intervenire per sbraitare insulti nei miei confronti. In poche parole, un’ossessione. Lo ignori, come mi sforzo di fare da sette anni a questa parte. 🙂
Sono d’accordo con Adrianaaaa.
Per quanto mi riguarda per me il FQ ha perso ogni credibilità da quando si è messo a pompare la fondazione Stamina e poi dopo la mala parata dell’ispezione dei NAS, con faccia di bronzo ha addossato la responsabilità del caso ai “politici” (devo linkare? Se serve lo faccio).
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Detto questo, anche il Corriere della Sera e altri giornali storici e più dignitosi hanno coltivato nei loro forum online le loro belle piazze forcaiole che non si sono mai curati di regolamentare in nessun modo.
Ricordo in particolare, perché sono stata coinvolta personalmente, un flame sullo stato della ricerca in Italia in cui comparì un post infamante per la persona che lo firmava. Venne fuori che era un caso di sottrazione di identità, ma alle proteste che ne seguirono la redazione del Corriere si rifiutò di cancellare quel commento, finché l’interessato non passò alle vie legali.
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Su questo comportamento da parte dei giornali ho una mia teoria:
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i siti web possono decidere di ricevere soldi da parte di agenzie pubblicitarie sulla base del numero di click che raccolgono per una pagina.
Per questo centinaia di pagine-spazzatura fabbricano bufale pacchiane e qualche volta anche crudeli (penso alle foto dei bambini già morti per cancro che vengono ripubblicate come se fossero ancora vivi col messaggio “se hai un cuore metti mi piace”), con lo scopo di accumulare visite e click. I giornali online secondo me applicano lo stesso ragionamento. In questo caso si sono tirati indietro perché evidentemente avevano passato la misura.
l’indipendenza del Fatto, buona questa!!
Era comunque successo anche in occasione della morte di Cossiga: in tantissimi commentatori inneggiarono alla morte dello stesso e la redazione del fatto lasciò correre per un bel po’ poi chiuse ai commenti.
Come stupirsi d’altra parte, con un tipino come Travaglio, che trasuda fanatismo odio e intolleranza in tutto – TUTTO – ciò che scrive e dice (in questo caso rigorosamente senza contraddittorio, se no poi diventa isterico e piagnucola con Santoro)?