PASSAGES

Abito nella stessa strada da quando avevo quattordici anni (sempre la stessa, sì: quella che si guadagnò anche una citazione in un romanzo perché aveva un nome burino) e fino a qualche mese fa non era quasi cambiata. Lo stesso bar, che magari cambiava proprietario passando dal vecchio gestore al pizzaiolo dell’angolo, lo stesso prezioso magazzino che vende detersivi e dentifrici a basso costo, le vetrine del negozio di abbigliamento sportivo, il  giocattolaio che si ostina a vendere modellini e puzzle e peluche, il secondo pizzaiolo, l’antro sempre un po’ buio del rivenditore di ricambi per auto.
Da qualche mese, appunto, tutto è cambiato: il giocattolaio si è arreso, e così il rivenditore di ricambi e persino il magazzino dei detersivi. Affitti troppo alti, dicono nella strada: e per una strana concezione del mercato (quella che, sia pure in piccolo, sostituisce la diversità con la concorrenza), accanto alla banca (dove prima si vendevano computer e oggetti di cartoleria) è sorta un’altra banca, e al posto del giocattolaio un rivenditore di scarpe a soli 15 euro, in apparenza identiche a quelle del negozio di abbigliamento sportivo confinante, e accanto alla cornetteria un’altra cornetteria, e il magazzino riaprirà, pare, offrendo gli stessi abiti cinesi che vengono venduti dalla bancarella accanto all’edicola. Resiste, silenziosa e gelida dietro i vetri oscurati, una gigantesca sala giochi.
Uscendo di casa, ogni mattina, penso i pensieri che verrebbero definiti insensati, ovvero che quello che mi spaventa più in questo momento è chi sostiene (e sono sempre di più, e sono sempre più colti e raffinati e furbissimi) che non si torna indietro, e che lamentarsi è inutile, roba da vecchi, roba da persone che moriranno insieme alla società del secolo scorso che ci si ostina a rimpiangere. Però ai colti e raffinati e furbissimi mi piacerebbe far leggere, per esempio, il reportage introdotto oggi da Concita De Gregorio, su cosa significa essere poveri e su quante persone sono diventate povere, e quanto lo stiamo diventando tutti, tranne alcuni che non necessariamente sono colti e raffinati ma furbissimi sì, lo sono.
Pensiamo ai libri, che volendo sono un lusso. La rete dei redattori precari raccontava, su twitter, che durante l’incontro milanese di due giorni fa qualcuno ha parlato della crisi come di un’opportunità, e che giustamente la sala si è rivoltata. Opportunità. All’inizio della settimana ho saputo di due redattori in una casa editrice medio-grande messi alla porta con un batter di ciglia. E ho saputo di un’altra casa editrice, un nome storico peraltro, che cambia ragione sociale con frequenza notevole per evitare di pagare i collaboratori o di farsi raggiungere dalle lettere degli avvocati (chi sono? semplice: quelli di cui da questo momento mi rifiuterò di parlare in qualsivoglia sede).  Ma, chissà come mai, è difficilissimo far passare il messaggio che dietro un libro c’è il lavoro di persone i cui cadaveri, per i furbissimi-coltissimi-iperprogressisti di cui sopra, dovrebbero tranquillamente giacere sotto le macerie, ché tanto appartengono a un’altra epoca storica.
Il lavoro. Concita De Gregorio scrive che è l’unica cosa di cui la campagna elettorale dovrebbe occuparsi. E invece non mi sembra proprio che sia così. Neanche, duole dirlo, il tema sembra in primo piano nei discorsi delle donne, che sembrano concentrarsi di più sul fatto che bisogna votare le donne a prescindere, in un’esaltazione della differenza in quanto tale che a me lascia perplessa, per esser buone. Ma appartengo al secolo scorso, si sa. E, come scrive Marco Revelli nel suo intervento di oggi su Repubblica, parlando in realtà di irriducibili e Brigate rosse, ma l’immagine è perfetta per descrivere quel che sta accadendo, “È come se, a un certo punto, un gigantesco specchio fosse caduto a tagliare, verticalmente, il corso della storia e del secolo, cosicché l’immaginario non potesse trovare che riferimenti anteriori, replicare miti e simboli pregressi, in una coazione a ripetere che diventa mondo parallelo e deformato, mentre il mondo reale scorre, inesorabile, in direzione ostinata e contraria”.
Eppure, continuo a pensare che esista un’altra strada, una via mediana fra chi replica i  simboli e chi decide che il nuovo che avanza, per spietato che sia, è l’unica possibilità. Una strada mediana, e soprattutto umana.

34 pensieri su “PASSAGES

  1. Questa volta la storia ci spinge a tornare indietro. L’errore però è quello di percorrere al rovescio la strada che ci ha condotti sino a qui, con malinconia. Questo sarebbe sbagliato. Abbiamo una grande possibilità di tornare all’essenziale, retrocedere dai consumi, liberarci dalla schiavitù dell’immagine e tornare ai concreto. Però bisogna abbattere un sacco di cose inutili, a cui siamo affezionati, e la storia ci sta spingendo a farlo, con umiltà, dolore, con sacrificio. Ma non ci vedo niente di nuovo: tutte le migliori conquiste si ottengono con umiltà, dolore e sacrificio. La povertà ci farà liberi dal denaro, ci renderà persone migliori.

  2. Io mi auguro vivamente che tu sappia di cosa stai parlando. Ci sono argomenti su cui bisognerebbe avere l’umiltà di intervenire con consapevolezza, e non per frasi fatte. Tutti insieme chi? Ci vai tu a sostenere il padre che dorme in macchina? Ci vai tu a sostenere le madri che cercano di mettere insieme uno stipendio a un call center? Sai di cosa stai parlando? Ci arrivi a fine mese? Io no.

  3. Concordo sul fatto che esista, o possa esistere, una strada mediana. Ricordando Giorgio Gaber, in occasione del decennale della sua scomparsa, ho riascoltato con piacere alcuni suoi lavori. Io, se fossi Dio, ma anche se avessi solo e semplicemente il potere di influire un poco, solo un poco, sulla coscienza e sulla vita della gente – prerogativa della politica – comincerei con l’eliminazione dei peli superflui. “Il pelo”. Andiamocela a riascoltare e facciamoci un esame di coscienza. Saremmo disposti a rinunciare ai nostri peli superflui per permettere a chi è glabro di vivere in una società più equa e “pulita”?
    Circa la casa editrice citata, o meglio, non citata: se la notizia è vera, perché non farne il nome, in maniera tale da aiutare i lettori a scegliere anche in funzione di questo?

  4. Giorgia, Loredana te lo dice facendo riferimento a situazioni di povertà, io te lo voglio dire con esempi riguardanti la vita collettiva. (Ri)diventare poveri significa, tanto per dirne una, ospedali che chiudono per mancanza di fondi con cui sostenerli. Come quello in cui hanno ricoverato mia madre per una caduta ormai tre giorni fa senza che ad oggi sia stato possibile parlare con un ortopedico che sia uno, perché deve arrivare da un altro ospedale; povertà vuol dire l’umiliazione dei bimbi delle famiglie di Adro messi alla porta da un sindaco decerebrato e malvagio perché le famiglie non hanno i soldi per pagare la mensa; vuol dire un’ondata di suicidi tra i disoccupati; vuol dire più violenza domestica, perché la frustrazione non aiuta i violenti a risolvere i propri problemi. Vuol dire questo e molto, ma molto di più. La sobrietà con cui tu sembri confondere la povertà è sempre la benvenuta, ma presuppone che le risorse non vengano sprecate, non che non ci siano del tutto. Questa mitologia della povertà evangelica ha fatto più danni della peste, nel corso dei secoli. Se proprio ci tieni, a vivere in povertà, puoi farlo senza richiedere l’accompagnamento di una società intera. Accomodati e comincia con il rinunciare al congengno (computer, tablet o smartphone che sia) con cui stai postando questi commenti. L’hai pagato qualche centinaio di euro, non proprio un acquisto da poveri.

  5. La decrescita è un’opportunità per chi ha talmente tanti soldi, che se decresce decresce verso quell’umano da cui il denaro lo aveva allontanato. Questi anni sono stati dominati dalla gestione ipernevrotica della differenza di classe, per cui: dopo aver passato un sacco di tempo ad ammirare sbavando o invidiare sbavando con reprimente retoriche (due facce dello stesso fenomeno) chi aveva fatto molti soldi o col merito o col furto, ora si passa il tempo a godere del fatto che quei soldi per il ricco vanno diminuendo – e anche con lo spirito magnanimo di dire anvedi: ritrova se stesso! E quelli che se lo dicono di loro stessi, beati a loro si vede che avevano fatte tante cazzate prima. Sono una minoranza, a cui evidentemente la decrescita non ha tolto il tempo di pontificare.
    La maggioranza invece, sono quelli che campavano con il minimo a cui il minimo si toglie. Ci sono i datori di lavoro che sono sotto scacco perchè non hanno di che pagare i lavoratori, ci sono i lavoratori che non hanno di che mangiare. Ma c’è anche un sacco di gente che si trova a rinunciare a delle cose importanti. Per esempio le cure mediche – perchè medicine, analisi e terapie costano. C’è gente che si vede recapitare a casa il proprio bambino malato di autismo, il proprio parente schizofrenico, perchè lo stato non da più soldi per i centri diurni e quelli chiudono. Ci sono persone che come in tempo di guerra devono dire, beh la carne no. E vedrete per esempio come crescerà l’obesità e come si geneticizzerà: perchè mangiare sano non è una questione di pigrizia, è una questione di reddito.
    Solo che io Loredana, sono molto amareggiata. E altre vie al momento non ne vedo.

  6. Cara Loredana, concordo ma non del tutto. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità per tanto tempo: auto dagli optional assurdi cambiate con disinvoltura, telefonini con applicazioni pressoché inutili, scarpe griffate, vestiti griffati, “cibi griffati”. I nostri figli sono nati ricoperti di peli dalla nascita, e noi stessi ci siamo così abituati ad avere addosso così tanti piccoli peletti superflui che non riusciamo più nemmeno a riconoscere questo. Tutto va ridimensionato, e riportato ad una dimensione più umana. Questa la via mediana. Ripeto, ci sono così tanti glabri, ormai, come giustamente dici tu, che non è più sufficiente invitare il singolo, come fa anche giustamente Maurizio, a rinunciare ai propri peli, ma occorre una volontà vera che parta dall’alto, dai nostri dirigenti, che ahimè, purtroppo risultano essere ormai peli incarniti, conficcati nella carne di chi è più in difficoltà.
    Difficile uscirne. Specie senza volontà politica.

  7. Sto arrancando per entrare nello schifosissimo mondo del lavoro. Lavatevi la coscienza in chiesa finti perbenisti del c****, qua non si parla di consumismo, beni superflui, ipod5 e ipad all’ennesima potenza, qua si parla del diritto ad una vita dignitosa.
    Bella questa favola della decrescita buona, peccato che nella realtà ci siano solo tagli e privazioni decisi ai piani alti. Chi confonde le due cose, ribadisco, vada in chiesa a lavarsi la coscienza.

  8. Una strada possibile passa da una riforma del lavoro (o da una utopica rivoluzione nel sindacalismo e nel corporativismo e nella giustizia italiana che causano una distorsione delle leggi esistenti), dalla separazione delle carriere dei magistrati per una politica della giustizia non lasciata a se stessa, da un riequilibrio guidato del mercato interno (cioè, dal pubblico impiego al privato in tot anni), da una diminuzione delle tasse e delle norme che gravano sulle imprese e sui “patrimoni” (che poi finiscono a pagarli sempre gli stessi), da una riforma dell’Istat e dalla costituzione di dipartimenti specializzati, dall’abolizione delle camere di commercio e di parecchi ordini

  9. Una via mediana… mi piacerebbe e penso pure che in teoria possa esserci, ma è tutto dannatamente complicato. Ci stanno facendo credere che l’ubriacatura è stato il welfare, il voler garantire tutto a tutti, e ci portano come esempi le degenerazioni del sistema: gente andata in pensione prima dei 40 a spese di tutti, assenteismo e disservizi nel pubblico impiego e via imprecando. Ma quale sistema non ha le sue degenerazioni? E quanto incidono? Stiamo generalizzando fenomeni in buona parte marginali, per giustificare interventi di ridimensionamento dei servizi di cui soffriremo tutti. C’è una vena di moralismo strumentale in questa cura a base di olio di ricino che ci stanno somministrando, in questo ipocrita calvinismo economico che dovrebbe mondarci dei peccati originali: accumulazione di debito, acquisizione di “privilegi”, eccessivo garantismo sociale. Ma, se leggiamo Krugman (premio Nobel, non un outsider), scopriamo che la disuguaglianza negli Stati Uniti è tornata, dati alla mano, a livelli anteguerra. Non la seconda, la prima: stiamo parlando degli anni dieci del novecento. Scopriamo anche, e non solo da Krugman ma da almeno una dozzina di altri premi Nobel, che le ricette messe in campo per uscire dalla crisi sono le stesse che negli anni trenta portarono al disastro in quanto controproducenti: austerità che crea nuova povertà che inasprisce ulteriormente la crisi, in una spirale che si autoalimenta. E allora, se già lo sapppiamo che questi metodi sono sbagliati, perché perseveriamo? A me sembra, purtroppo, che l’unica spiegazione logica sia quella di Warren Buffet: “la lotta di classe esiste. Da vent’anni i ricchi hanno dichiarato guerra ai poveri e purtroppo hanno anche vinto”. I grandi capitalisti, o molti di essi, vedono nell’impoverimento collettivo un’opportunità (eccole, le opportunità della crisi…) per l’esercizio di un potere più pieno, meno contrattato, più assoluto. E’ una guerra che è partita dagli anni ’80, con Reagan e la Tatcher. Le forze politiche a cui avremmo dovuto far riferimento, la sinistra, non hanno saputo opporvisi o addirittura non hanno capito il rischio, e continuano a non capirlo. In queste condizioni, una via mediana temo sia impossibile.

  10. Non ho letto l’articolo di Concita De Gregorio, non ce la faccio. Concita De Gregorio e la povertà stanno nello stesso rapporto che ho io con la regina d’Inghilterra.
    Mi stupiscono sempre certi commenti sulla decrescita, questa retorica finiana (non di Gianfranco, di Massimo Fini) sul ritorno alla natura: chi ha scelto davvero di decrescere, complice la famosa crisi e il fatto che il lavoro non si trova, sa che buona parte di questa retorica è appunto retorica. Il lavoro in campagna, fulgido esempio di questo tipo di messaggio, è invece l’apoteosi del sottopagato. Ci si ritrova a guadagnare pochi spicci grazie al tizio che ti compra i pomodori sotto casa e che per scrivere report e mandare e-mail guadagna dai 1700 euro in su.
    Inutile dire che se vuoi davvero lavorare in campagna devi partire da qualcosa. Per accedere ai contributi regionali ed europei devi dimostrare di avere un minimo di terreno a disposizione e un buon numero di capi di bestiame, fare la domanda sborsando un po’ di denaro (aprire partita iva, registrazione coldiretti ecc) e aspettare di entrare in graduatoria affinchè ti eroghino quei famosi soldi. Certo, può sempre capitare che tu venga escluso perchè prima di te viene il figlio del proprietario terriero che ovviamente ha anche una laurea in psicologia e quindi più punteggio di te che stai lavorando in campagna dall’82 e a malapena hai finito le medie.
    La povertà, strana e variegata, per cui ti ritrovi il povero che tramite vari imbrogli si ritrova a guidare una mini e c’hai l’aifon e il povero che a malapena riesce a mangiare: si parte troppo spesso dalla presunzione che i poveri siano pure onesti e invece non è affatto vero. “Vabbè, ma se c’hai l’aifòn riuscirai pure a mangiare” obietterà qualcuno, e invece non è vero neanche questo in un mondo dove lo status conta più del bisogno vitale (vedi riots di Londra), anche se quell’aggeggio tecnologico non lo sai usare. Frequento diverse migranti con il cellulare di ultima generazione e sono sicura che per mangiare tirano la cinghia.
    Andrò controcorrente ma io credo che l’unico discorso possibile, invece che sul lavoro, dovrebbe essere sul non lavoro, ossia sulla possibilità e sul diritto di non lavorare e vivere bene. L’unico candidato votabile in questo momento sarebbe quello che non si piega a nuove prospettive di lavoro (leggi: “nuove forme di schiavitù”) e che ti propone l’uscita definitiva dal capitalismo. Credo che finora non esista un candidato del genere quindi nessuno ci verrà a salvare, nemmeno una donna, un bambino o un marziano.
    D’altra parte però ultimamente non riesco più a ritrovare un discorso di classe anche da chi a votare donne in quanto donne non ci va, leggo invece tanto, troppo insistere negli ultimi tempi, su teorie a favore o contro la prostituzione. Purtroppo dal sex working e dal capitale non se ne esce. Per non parlare di tanta troppa artificiosità ammuffita sui migranti che avverto da tutte le parti.
    Il problema a mio avviso, è un altro: vedo come un ripiegamento su se stessi, sugli amici di socialnet, sul piccolo ristretto gruppo familiare. Non c’è comunicazione. Si può intervistare questi poveri, si può leggere di loro ma non si può frequentarli. E così via per migranti e altre persone che nella tua testa “vivono ai margini della società”.
    Sarà un po’ strano ma io invece non conosco persone che giocano a questo fottuto ruzzle, non ne frequento. So che esistono persone così, leggo della loro esistenza, ma non ne conosco. Ruzzle è un esempio, per dire come i piani di incomunicabilità possano talvolta rovesciarsi e come ci possa essere, nell’era della comunicazione, un cortocircuito comunicativo. Sempre grazie, Loredana, per lo spazio che ci concedi.
    JO

  11. No. L’agenda Monti (agenda di governo) è quella tedesca. L’Imu (e dunque gli aumenti relativi) l’ha pensata lui. Il montepaschi l’ha salvato lui. La tassa assurda sulle barche (qualche miliardo buttato) idem. La legge anticorruzione, magnifica stupidata propagandistica che non elimina alcune delle condizioni della corruzione, ancora lui. Tutte le norme più ridicole sull’antiriciclaggio ancora lui (notare che il monopolio della forza in Calabria lo stato italiano non ce l’ha ancora). Un moralista bigotto e pavido non può fare economia. E il suo provincialismo liberale è un vuoto contenitore dell’incondizionata sudditanza all’interesse nazionale tedesco.
    Bisogna eliminare le condizioni della recessione e del debito, e per farlo è necessario ridurre le norme e non aumentarle, eliminare qualsiasi privilegio in ogni settore economico, compreso quello intellettuale, obbligare l’amministrazione pubblica alla trasparenza di bilancio, sostituire a milioni di stipendi inutili milioni di sussidi per la disoccupazione onesti. Alle aziende servono informazioni, statistiche e comparazione di indici, approfondimenti sul mercato, sostegno per il commercio con l’estero, non l’appartenenza. Tutto questo si può fare solo prendendo sul serio le informazioni in nostro possesso. Ma se l’unica cosa che fa l’Istat è fornire titoli ai giornali nei momenti di noia, allora tanto vale disfarsene.

  12. Quasi ogni giorno vedo un negozio o un’attività che chiude. C’è chi il lavoro lo perde e chi, come me ha finito di studiare propri quando si è scatenata la crisi e un lavoro vero non l’ha mai avuto.
    “rinunciare alle cose inutili, elimiare il suprfluo, abiti griffati”… scusate ma di cosa state parlando??
    E’ in atto qualcosa di devastante, che sta stroncando un paese, per favore smettete di sospirare dicendo, “eh, in effetti bisogna rinunciare a qualcosa”. Il voler ridimensionare il consumismo galoppante che ha imperato dagli anni ’80 in qua è certo cosa nobile e giusta, per noi e per il pianeta, ma qui stiamo parlando proprio di altro, qui nessuno frigna perchè non ha una borsa griffata!
    Di cosa parlate dicendo che bisogna rinunciare a qualcosa?
    Quello a cui sto rinunciando io è la possibilità di una vita normale, dignitosa. La possibilità di avere un lavoro. La possibilità di riuscire a mantenere una casa dove vivere. La possibilità di un futuro. Avete una vaga idea di come si sentono le persone come me, che a trent’anni non vedono più nessuna possibilità? Siamo una generazione fregata e non sappiamo ancora quanto sarà grosso il prezzo da pagare sulla nostra pelle, quindi per favore, abbiate almeno il buon senso di non farci la paternale sul superfluo a cui dobbiamo rinunciare. Perchè, per come si sta mettendo la situazione, sembra che la prima cosa superflua da eliminare sarà la dignità.

  13. La dignità, giusto. Spero che prima o poi crollino anche i luoghi comuni, come quello secondo il quale “un moralista bigotto e pavido non può fare economia”. E non mi riferisco a Monti: mi riferisco a chi sembra avere soluzioni per tutto, in righe venti. Voglio dire che quel che sembra a me è che quelle soluzioni facili non esistano, e che diffido del sudoku economico, da chiunque venga portato avanti (specie se si ciancia di abolizione dei sindacati, caro Gino).

  14. Scusate il qualunquismo, ma intanto si parla di portare Balotelli al Milan stipendiandolo qualche milione di euro all’anno, i gestori di molti fondi d’investimento cambiano la fuoriserie comprandola con quel 2% di commissioni di gestione presi anche se perdono il capitale investito, le ragazzine vendono le proprie foto seminude su internet per comprarsi la borsetta di Gucci che vende come non mai, l’amministratore delegato medio di una società quotata in borsa ha uno stipendio di molti punti percentuali più alto di quanto aveva 5 anni fa, anche se l’azienda è andata male.
    Mi sa che i soldi per stare bene tutti ci sono, ma che l’ingordigia di alcuni li concentra fra le mani di sempre meno.

  15. Tutte cose che mi convincono sempre più che, malgrado gli sforzi di sembrare importanti, economia e politica si basino su una passiva accettazione di culture false, poco pensate e ancor meno vissute – comprese le utopie di fine capitalismo e isole felici di decrescita, che non riecono a esprimersi se non con le parole che tanto dicono di voler cambiare o vietare.
    Continuo a pensare che il parlare in volto al prossimo – sia reale, sia virtuale, sia artistico – è lo strumento migliore per cambiare le cose, e quello che dà risultati più duraturi.
    Il cosiddetto “senza tetto” che vive vicino casa mia vendendo libri usati trovati chissà dove, qualche giorno fa ha regalato ad Andrea, impertinente cinquenne che lo ha salutato incuriosito, un sacchetto di cioccolatini. Ha dato a mio figlio, in proporzione, più di quello che qualunque politico e capitalista riuscirà a dargli per un bel pezzo.
    E l’abbiamo capito con una efficacia comunicativa che i pubblicitari sogneranno chissà quanto, invano.

  16. @Loredana, io so perfettamente di cosa sto parlando. Passo una bella fetta del mio tempo libero a raccogliere beni superflui tra la gente, mentre altri distribuiscono ai bisognosi. Organizzazioni come la San Vincenzo e il Sermig di Torino fanno quanto altri, per esempio lo Stato, o il comune, i partiti, i sindacati, non sono in grado di fare: equilibrare tra chi ha troppo e chi non ha il minimo. Meno male che viviamo in un paese dove l’opera cattolica per i bisognosi funziona alla grande.
    Arrivo a fine mese, certamente: ho ridisegnato drasticamente i miei bisogni e da quando l’ho fatto mi sento meglio.

  17. qualcuno dice che “Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità per tanto tempo” oppure “Abbiamo una grande possibilità di tornare all’essenziale, retrocedere dai consumi, liberarci dalla schiavitù dell’immagine e tornare ai concreto”.
    Sarà vero per qualcuno, ma per altri assolutamente no. E quale sarebbe questo “vivere sopra le nostre possibilità”. Mia madre, classe ’48, non ha studiato perché non ne aveva la possibilità economica, non ha mai fatto ferie a 5 stelle, così via. Nel frattempo, c’era gente che spendeva allegramente in diamanti e ristoranti di lusso, auto e vestiti di gran classe.
    Qual è il vostro livello di essenziale? Avete spazio per retrocedere? O magari il problema va posto in altri termini? Non credo che un capitalismo più morigerato ci possa portare ad un sistema più equo.

  18. Non ho molto da dire sui privati che hanno vissuto come hanno vissuto. Se hanno molto consumato è stato perchè la loro economia glielo permetteva, e sono infastidita dalla strumentalizzazione ideologica di chi usa la recessione per contestare priorità e stili di vita. La questione è se la gente ruba. Se non ruba va bene – in questo sistema. Corollario ne è che se una persona porta avanti una carriera perchè scrive cose sentite come utili o largamente condivise, non sarà il suo guadagno a rendere le sue cose illegibili o inutilizzabili. Tradotto: non me ne frega una cippa di quanto guadagna De Gregorio, mi interessa la qualità dell’informazione che produce. Sarebbe molto carino che il censo fosse inversamente proporzionale a neuroni e competenze, molto consolatorio. Dansi però svariati poveri e imbecilli e ricchi capaci di capire la realtà.
    MA, almeno per me, quando si allude a uno stato che ha vissuto con un tenore superiore alle sue possibilità, mi sembra saggio riferirsi alla spesa pubblica e al modo scellerato con cui è stata utilizzata: e davvero tutti potremmo fare carrettate di esempi, ognuno con i settori che meglio conosce. Non so poi questo quanto si sia riverberato nel privato – non ho gli strumenti per dirlo – ma riesco a immaginare in maniera probabilmente consistente.
    In ogni caso, la situazione è dolorosa, e per conto mio non per il capitalismo in assoluto, ma per la deriva che haa preso la situazione Italiana da diversi decenni, deriva che rende le comparazioni tra qui e altri paesi umilianti per noi – e gravissime per noi. Su cui incide una crisi che viene da fuori. Ma è illusorio credere che noi stiamo tutti nella stessa barca.

  19. Zaub,
    mi sembra molto pericoloso il discorso “non me ne frega una cippa di quanto guadagna De Gregorio, mi interessa la qualità dell’informazione che produce.”, perché aliena il rapporto prestazione/remunerazione aprendo a quella forbice che vediamo così bene nel mondo dello sport e dello spettacolo con un pugno di divi pagati esageratamente da società che poi nel quotidiano si reggono sui precari.
    A me come minimo interessa che chi ha questi redditi le tasse le paghi tutte e dove le genera.
    Fiorello durante il suo saluto di Natale all’Agenzia delle Entrate ha detto: “guardo il mio reddito, e vedo una cifra che non avrei mai immaginato, poi pago tutte le mie tasse, e quello che mi rimane è ancora una cifra che mai avrei immaginato”. A chi si inventa la società di leasing per “nascondere” la barca, a chi usa i conti off-shore per potersi comprare il quinto Rolex e la sesta casa, a chi risulta nullatenente e poi ha tre fuoriserie: la vostra ingordigia mi fa abbastanza schifo.

  20. Io non ho detto – se leggi bene, che non mi interessa il caso in cui il denaro sia guadagnato in maniera illecita, o strictu senso che non mi interessa ragionare sulla forbice della sperequazione economica. Penso che riferirsi a quella forbice dicendo che tizio caio non può scrivere reportage perchè guadagna assai sia una cosa stupida. E autolesiva. Puzza di buono e politico, me è un autogol pazzesco.

  21. Sarà perchè io vivo in un paese, e il passato è proprio la vita che descrive la De Gregorio, ma per quel che vedo, quasi tutti coloro (piccoli imprenditori, professionisti, artigiani) che non danno la ricevuta e fanno in cambio buoni sconti, hanno costruito nel tempo una impalcatura ideologica che giustifica ampiamente il loro operato, ai loro occhi. Se a ciò si aggiunge la paura di tornare ai sacrifici che fecero i loro genitori, e si aggiunge un ventennio di modelli di consumismo scellerati, ci ritroviamo una moltitudine di vicini di casa che hanno usato in economia la logica del mors tua vita mea. E continuano a farlo. Perchè hanno permesso che accadesse, calamitando queste forze in una lotta di classe, come dice Buffet nella frase citata da Maurizio. Niente grande complotto però secondo me, solo ignoranza e mancanza di consapevolezza, di senso della comunità, che sono state il terreno di coltura. Tutti gli altri, i casi di cui narra la De Gregorio, a questa gente fanno paura e basta. Quindi non è che la gente non se ne rende conto o non li vede o non immagina. Qualche super ricco forse magari pure…ma i molti lo sanno bene, e ne hanno una gran paura.

  22. Non credo di aver molto da aggiungere a tutto questo, solo un piccolo fastidio strisciante personale: che si insista tanto, nelle categorie nuovi poveri, ai padri divorziati che per pagare gli alimenti vivono in macchina o dormono dai frati. Sarà verissimo, chi dice di no? Ma delle madri divorziate che da sempre, anche negli anni ricchi “in cui vivevamo sopra le nostre possibilità” con il divorzio si ritrovano loro e i figli indigenti non sento parlare con la stessa convinzione, dipenderà da me. E per ogni padre indigente, suppongo ci sia l’ ex partner altrettanto indigente, o con gli alimenti queste stanno dalla manicure tutti i giorni e comprano profumi e balocchi?
    Ecco, a me da fastidio,perché adesso al prossimo che fa fuori l’ ex moglie, che mi sembra un problema presente, grave e ancora negato, nonostante tutto quello che abbiamo detto e fatto negli ultimi anni per segnalarne la gravità sociale, oltre a dire poverino, era geloso, si dirà, poverino era ridotto sul lastrico perché povero padre divorziato. Povere le donne che scappano con i figli da un violento, perché con i centri antiviolenza che chiudono e la carità della chiesa non si sa precisamente chi dovrebbe dargli una mano.

  23. ecco.Alla luce di quanto viene messo in luce in questo consesso e in altri analoghi,pensate che la vecchia guardia politica sia in grado di restituire la dignità dei sogni di pulizia o quell’aria pura di cui ormai si può fare un ritratto solo a memoria,al ritmo delle grandi riforme eternamente sul fuoco(manco fosse il ragù cucinato come gli dei comandano)

  24. Loredana volevo chiederti, purtroppo rimane in tema con il post, se sai qualcosa su come si è evoluta la situazione della Fnac cui avevi accennato tempo fa? Mi pare di capire, da notizie raccolte qua e là, che la faccenda sia peggiorata. Sentivo voci di licenziamenti e cassa integrazione.
    Grazie scusami se rompo.

  25. @Per mammasterdam
    La situazione dei separati e delle separate è economicamente difficile per tutti. Tuttavia – di norma – l’ex casa coniugale è affidata alla donna e ai figli, per cui un uomo medio, con uno stipendio medio che vive in una grande città, dove gli affitti sono altissimi (a meno che non decida da subito di andare a vivere in condivisione) su uno stipendio medio di 1400 euro deve – se è onesto – darne almeno 400 per il figlio più gli extra, pagarsi un affitto (e spesso contribuire anche al pagamento del mutuo, se sulla casa coniugale c’è il mutuo) magiare e vestirsi. Non che la signora con 400 euro faccia una gran vita ma la casa è comunque una risorsa. C’è molta retorica sui padri separati perché se ne parla poco, perché le condizioni di affido e soldi sono sperequate e perché – troppo spesso alcune donne al secondo figlio smettono di lavorare – non mettendo nel conto la possibilità che qualcosa possa andare storto e porre fine al matrimonio. Poi ci sono un sacco di uomini poco per bene che gli alimenti non li pagano – e vanno condannati. Tuttavia non si può ignorare il problema.

  26. Laura, su Fnac si dice che chiuderanno i negozi di Firenze, Roma e Torino e che i dipendenti saranno messi in cassa integrazione. E’ stato nominato un liquidatore ai primi di gennaio.

  27. Le soluzioni sono più semplici di quelle del sudoku. Il difficile è la realizzazione pratica della soluzione teorica, che in politica va sempre incontro a compromessi. E lì è più difficile che nel commercio, specie per le difficoltà rappresentate dai corpi intermedi, o meglio, dalle membra del corpo sociale. Che non vanno certo aboliti, ma ricondotti all’unità dalla ragione, quello sì. La ragione è il capo politico, il governo. Se proprio non si ha la capacità e la forza per capire cosa andrebbe fatto (o almeno cosa non, vedi geniale imposta sul patrimonio a vela), basterebbe delegare a qualche criceto portaborse il compito di fotocopiare leggi e alcuni articoli costituzionali di Francia, Germania e Confederazione Svizzera, su temi che senza alcun ricorso alla spesa pubblica, ci darebbero subito qualche punto percentuale di crescita che darebbe ossigeno alle imprese e ci favorirebbe sui prestiti e dunque sugli investimenti e dunque ci permetterebbe di non abbandonare il welfare. Abolire molte norme, risparmiare su relativi controlli, separare le carriere dei magistrati, ponendo le basi per una politica della giustizia razionale e non schizofrenica (inutile e dispendiosa, come si vede dal rapporto spesa-risultati paragonata ad altri paesi), razionalizzare l’informazione della pubblica amministrazione (provate a cercare qualche statistica governativa, vi viene fuori il sito del canton ticino..) ci frutterebbe almeno 2 punti di Pil. A costo zero, per i cittadini.

  28. Ora è andato a puttana anche il Monte dei Paschi della città ad un tiro di schioppo dal paese in cui vivo. Mi pare un gran casino. Non è un giudizio molto articolato ma non mi pare malvagio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto