PERCHE’ PUBBLICARE VECCHIE NOTIZIE SENZA DIRLO E’ TOSSICO: PER L’ENNESIMA VOLTA SU KEN LOACH

Non postano nulla sui lavoratori della Gkn, né sul festival di letteratura working class, nè si sono interessati dei lavoratori di Grafica veneta. Ma quando c’è da rilanciare la notizia di Ken Loach che nel 2012 rifiuta il premio del Torino Film Festival sono prontissimi. E se fai loro notare che appunto la notizia è vecchia nella maggior parte dei casi ti insultano. In alcuni casi prendono spunto per sfogarsi contro di te: tu che vivi nella bambagia e non conosci il mondo dal tuo sgabello microfonato, presuntuosa, maestrina, grillo parlante, autrice di lezioncina sgradevole, ben altri sono i problemi, i giornalisti sono corrotti (che non c’entra niente ma è scusa comodissima per non dover dire “ops, ho sbagliato”) e, soprattutto, il capitalismo è sempre qui e dunque la notizia è valida.
Ho scritto molte volte su questa faccenda. L’ho fatto non perché mi diverta a “dar lezioni”, tutt’altro: le lezioni sono una cosa seria, servono a incontrarsi e a trasmettersi saperi. L’ho fatto perché è pericoloso, e perché tutti quelli che cianciano “oddio le fake news” non si rendono conto di esserne a loro volta portatori.
Dunque, mi ripeto. Ho scritto già due volte su questo blog, un anno e due anni fa, su questa storia, e ripropongo quel che scrissi allora. Perchè ci tengo. Non è una sciocchezzuola, reiterare una vecchia notizia spacciandola per nuova: per tanti motivi. Il più importante, è che si punta l’attenzione su qualcosa che appartiene al passato INVECE di provare a capire cosa accade nel presente. Per dire, della Cooperativa Rear, i cui lavoratori denunciarono intimidazioni e taglio stipendi, il che portò al rifiuto da parte di Ken Loach di ricevere il premio del Torino Film Festival, nessuno sa nulla, e non ci si vuole neanche informare: basta il gesto di Loach, ottimo per dire “vedi, lui lo ha fatto e gli intellettuali italiani no” (informatevi e googlate su cosa fanno almeno alcuni degli intellettuali italiani, grazie) e per lavarsi la coscienza.
Dunque, ripasso dichiarato: due articoli in uno, rispettivamente del 2021 e del 2020:

“Succede grosso modo una volta l’anno. A volte in buonissima fede, altre volte con l’intento preciso di raccattare like, perché in effetti la notizia li raccatta.
La notizia è vera: nel 2012, Ken Loach rifiutò il premio del Torino Film Festival con queste motivazioni:
«C’è un grave problema, ossia la questione dell’esternalizzazione dei servizi che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi. Come sempre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalto riduce di conseguenza i salari e taglia il personale. È una ricetta destinata ad alimentare i conflitti. Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile (…) ATorino  sono stati esternalizzati alla Cooperativa Rear i servizi di pulizia e sicurezza del Museo Nazionale del Cinema (MNC). Dopo un taglio degli stipendi i lavoratori hanno denunciato intimidazioni e maltrattamenti. Diverse persone sono state licenziate. I lavoratori più malpagati, quelli più vulnerabili, hanno quindi perso il posto di lavoro per essersi opposti a un taglio salariale. Ovviamente è difficile per noi districarci tra i dettagli di una disputa che si svolge in un altro Paese, con pratiche lavorative diverse dalle nostre, ma ciò non significa che i principi non siano chiari. In questa situazione, l’organizzazione che appalta i servizi non può chiudere gli occhi, ma deve assumersi la responsabilità delle persone che lavorano per lei, anche se queste sono impiegate da una ditta esterna. Mi aspetterei che il Museo, in questo caso, dialogasse con i lavoratori e i loro sindacati, garantisse la riassunzione dei lavoratori licenziati e ripensasse la propria politica di esternalizzazione. Non è giusto che i più poveri debbano pagare il prezzo di una crisi economica di cui non sono responsabili».
Tutto sacrosanto. Però la notizia è di quasi dieci (oggi 11, nda) anni fa. Esattamente come la morte di Doris Lessing non è avvenuta ieri, o una settimana fa. La morte di Lessing è un’altra di quelle notizie che su Facebook riemergono come appena accadute, insieme a Ken Loach. E ci sarebbe da chiedersi perché. Non possiamo certo scrivere, suppongo, che è morto David Bowie perché in moltissimi ricordano esattamente la data e forse cosa stavano facendo quando lo hanno saputo. Di Lessing ci si dimentica, così come ci si dimentica di quella presa di posizione di Loach, per scambiarla ogni volta per nuova.
Ora, la faccenda singolare riguarda le reazioni di chi pubblica queste notizie quando si fa notare che andrebbero contestualizzate: non dicono, accidenti, è vero, bisogna pur ricordare che tutto questo è avvenuto anni fa. Si arrabbiano. Dicono: beh, ma la notizia è sempre attuale. Beh, ma il capitalismo è ancora qui. Beh, ma vale la pena ricordare Doris Lessing.
Certo che sì. Il problema, e grosso, è che quando non contestualizzi un’informazione rischi di annullarla. Rischi di contribuire a quell’eterno presente in cui ci muoviamo, per cui Loach è intrappolato in quel bug temporale a ripetere sempre le stesse frasi, e Lessing muore ogni volta, come nel più spaventoso dei racconti gotici.
Di più: decontestualizzare significa diffondere false notizie. Ma come!, dicono i postatori del tempo perduto, Lessing è morta davvero e Loach ha davvero rifiutato il premio. Certo. Ma non oggi. E oggi forse Loach direbbe altro, chissà. Certamente, a nessuno di voi piacerebbe che quanto ha detto e fatto nove anni fa venisse raccontato come storia di un minuto fa.
Infine. A forza di voltarci indietro come l’angelo della storia, magari ci dimentichiamo di quel che avviene adesso. Quando diffondiamo come nuova una notizia di ieri facciamo parecchi torti: uno di quei torti riguarda l’oscuramento di quello che avviene oggi, perfettamente nello spirito delle dichiarazioni di Ken Loach.

Proviamo a dirlo in un altro modo.

Sir Gawain era il più giovane cavaliere di Artù. Forse per questo accettò la sfida del Cavaliere verde: infliggergli un colpo con la sua ascia, a condizione di ricevere lo stesso colpo dopo un anno e un giorno. Sir Gawain, che decapitò il Cavaliere, venne salvato dalla nobiltà dell’avversario: salva la testa, ma non la vergogna per essersi dimostrato non un guerriero, ma un uomo. Sir Gawain è l’uomo della quest, la cerca, perché il suo viaggio lo porta all’appuntamento fatale con il Cavaliere, e durante il viaggio deve superare le dovute prove. Sir Gawain incontra la Dea Bianca, dirà Robert Graves: Morgan le Fay, che nel poemetto viene chiamata Morgan the Goddess (la Dea, appunto). Gawain non è un eroe canonico, dirà Wu Ming 4 nel suo saggio, ma è l’eroe imperfetto. E’ già un uomo, appunto, e un uomo che deve la salvezza a una donna. All’inizio non gli piacerà. Ma capirà presto che la cintura verde che lo ha salvato e mutato è da quel momento il suo simbolo:
Così quando l’orgoglio mi pungerà
per prodezza nell’armi,
umilierà il mio cuore guardare
questo laccio d’amore.
Come scrive Wu Ming 4 ne L’eroe imperfetto:
“La cintura della Dea diventa un anti-talismano, in grado di bilanciare gli eccessi dell’eroe. Attraverso la sfida lanciata all’orgoglio virile, la Dea ha somministrato al campione, e alla Tavola Rotonda tutta, una dura lezione di umiltà, che Galvano dimostra di avere appreso. Questo è detto chiaramente nelle ultime battute tra i due cavalieri. Prima di andarsene Galvano chiede al Cavaliere Verde di rivelargli il suo nome e l’uomo afferma di chiamarsi Bertilak de Hautdesert, e di essere al servizio della fata Morgana, sorellastra di Artù, che vive nel suo castello:
Morgana la dea [Morgne þe goddes]
dunque è il suo nome.
Nessuno ha tanto orgoglio
che ella non possa umiliare.
Lei m’inviò in questa guisa
alla vostra nobile sala,
a provare l’orgoglio, se era vero quel che si dice
della gran rinomanza della Tavola Rotonda.
(2452-2459)
Nonostante sia stato ingannato e messo in ridicolo, nonostante si senta ferito nell’amor proprio e portatore di una macchia indelebile, non ci sono dubbi che Galvano ha superato la prova, ha avuto successo. Per questo può tornare alla corte di Artù ed essere accolto con tutti gli onori. Il suo racconto e la confessione della propria mancanza, suscitano in Artù una risata liberatoria. Da quel momento, per disposizione del re, tutti i cavalieri della Tavola Rotonda porteranno a tracolla un drappo verde, in onore di Galvano.
La trasformazione della cintura in blasone contiene un messaggio a chiave profondo, che Galvano ha inciso nella carne. Quel nastro ostentato è un memento della fallibilità dell’eroe.
“Quella macchia […] rimane, sul piano individuale, il segno dell’umanità, dell’umana fragilità del cavaliere” (P. Boitani, op. cit.)
La pretesa di corrispondere integralmente all’ideale eroico-cavalleresco, la pretesa alla perfezione, stimola l’orgoglio, l’ofermod che può portare alla rovina, come accadde ad Aiace.
Questa consapevolezza, raggiunta attraverso la ridicolizzazione e l’umiliazione messa in atto dalla Dea, è il premio che Galvano riporta dalla sua avventura e che espone con coraggio accanto al pentangolo cristiano”.
Sir Gawain non è solo protagonista di un gran bel film che potete guardare in streaming in questi giorni, ma appare ne “Il gigante sepolto”di Kazuo Ishiguro. Non appare casualmente. Né è casuale che i veri protagonisti della cerca siano due anziani sposi, Axl e Beatrice. La cerca, in questo caso, riguarda non una promessa da onorare, ma una perdita cui porre rimedio: la memoria collettiva e il ricordo personale, e salvando il secondo si recupererà la prima, non senza dolore, perché ricordare significa, spesso, soffrire.
Ora, per riconnettermi un’ultima volta a quanto scritto sulla vicenda Ken Loach, che non è un episodio da poco conto visto che non solo ha raggiunto decine di migliaia di persone su Facebook, ma è arrivata anche su alcuni siti d’informazione che l’hanno rilanciata come se fosse appena accaduta e non relativa a undici anni fa: quando si insiste su questi argomenti, quando si dice che la collocazione temporale è importante, e che non si può fingere che sia la stessa cosa il passato di undici anni fa e l’oggi solo perché “il contenuto è valido”,  si dice questo. La memoria collettiva è quella che ci tiene vivi, che fa di noi una comunità. Se scompigliamo le stringhe temporali per nostro orgoglio personale, per non ammettere l’errore e per sottovalutazione, commettiamo un grave errore. E forse  capire che l’orgoglio può portare alla rovina, come Sir Gawain, sarebbe una buona cosa. Non avverrà, ma almeno si prova a ripeterlo, a costo di passare per maestrina”.

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