Sono appena arrivata a via Asiago: ripeto quel che ho già detto, niente di eroico, donne e uomini si sono recati al lavoro, questa mattina, e alcuni di loro sono molto, molto più utili di me. Al bar (sono andata a prendere il caffè, come tutte le mattine, rispettando la distanza di sicurezza) c’era una vecchia signora con il cagnolino che protestava dicendo che siamo tutti matti, e che non si capisce perché deve rispettare la distanza di sicurezza. Non mi ha fatto arrabbiare: mi ha fatto tenerezza, e mi ha fatto pensare.
Care e cari, volete sapere cosa accadeva nel passato durante le epidemie, come spesso vi ho raccontato in questi giorni? Esattamente questo. L’incredulità, in primo luogo. La certezza di essere immuni. A seguire: il sospetto nei confronti degli altri, la necessità di trovare un colpevole, come vi ho già detto.
Ogni pestilenza esige un solo colpevole, un untore, un contagiato venuto a morire da lontano. Nel 1630 la gola di Gian Giacomo Mora si apre ponendo fine a ore di tortura, e non è il solo a morire, le ossa spezzate, con l’accusa di aver portato la peste a Milano. Quando il 18 giugno 1656 Giuseppe da Napoli muore all’ospedale romano dei frati benfratelli ed è il primo caso di peste conclamata, la colpa cade su Mario Vellettano, trasteverino, che di certo gli aveva trasmesso, con malizia, il contagio. Quando il morbo, in un tempo assai più lontano, arriva ad Atene, si pensa a un viandante coperto di stracci che ha camminato dal Peloponneso per avvelenare i pozzi.
Poi, certo, arriva la paura. E insieme alla paura la rabbia quando si è chiusi dentro, esattamente come sta accadendo a noi. La rabbia, o la derisione per chi di noi “è isterico”, “non capisce che è tutta una pantomima”, “perde il controllo dei nervi”. Ovvero tutti. Tutti abbiamo paura, tutti guardiamo il soffitto la notte, pensiamo ai genitori che abbiamo perduto e che chissà cosa penserebbero adesso, o che sono anziani e chissà cosa pensano adesso, e come li tuteliamo, e certo i figli, e che succederà ora, e come stavamo bene un mese fa. Eccetera.
Oppure: la Costituzione sospesa. I corpi prigionieri. Lo stato di diritto. Guardate che pure io ho visto aleggiare i Figli di Giacobbe che serrano Gilead, e quando ieri ho visto nelle edizioni speciali dei telegiornali la macchina con altoparlante che invitava a rimanere a casa ho sentito risalire dal gorgo delle mie letture e visioni tutte le distopie di cui mi sono nutrita in questi anni.
Ma non serve.
Quel che serve, ora, è prudenza, ed è pietà. Se qualcosa possiamo fare, è quella di porre noi stessi e gli altri in una sicurezza che non sarà mai totale, perché non possiamo controllare tutto e non possiamo dirci certi di nulla. E avere uno sguardo di comprensione per gli altri, inclusi quelli che si comportano “istericamente” o, sì, prendono iniziative di aggregazione on line che non ci piacciono o riteniamo superflue o quel che vi pare.
Prudenza e pietà, per favore. Concediamoci la fragilità dello spavento, non avveleniamo ulteriormente i pozzi dei social scannandoci gli uni con gli altri, non disprezziamo, non insultiamo. Non diffondiamo catene via WhatsApp, niente vocali dell’amica della cugina della sorella che è medico e sa come vanno le cose. Non chiediamo a “chi ha più like”, come ho letto poco fa, di dare notizie sul coronavirus, perché quelle vanno cercate dalle fonti ufficiali.
Quelli che hanno i famosi e inutilissimi like possono fare una sola cosa: diffondere appunto prudenza e pietà, e se possono un poco di serenità.
Non mi sto trasformando in cavaliere jedi, gente: sto cercando di essere lucida, sto cercando di tirar fuori la parte migliore di me, per nascosta che sia. Tutto qui.
Bellissima analisi Loredana!
Prudenza e Pietà. Parole forti, comportamenti che esigono equilibrio,forza, onestà. Anche se pietà o perdono non mi appartengono, li ho sempre considerati un atto di superiorità sulla persona debole, colpevole;. Devo comunque provare, in prima persona, ad essere prudente e ad avere pietà in questi tempi difficili. Grazie, come sempre, per le riflessioni che ci “costringi” ad avere.
Un abbraccio forte e stretto dalla Romagna!