Nella ritrovata dolcezza di giugno, molti di noi si sentono a due passi dalla libertà. Si torna a uscire, a incontrarsi, a programmare piccoli e grandi viaggi, e questo è evidentemente bellissimo. Però continuo a scavare in una sensazione che mi lascia perplessa, e che evidentemente non è solo mia, e che riguarda l’esigenza comune, che sembra almeno maggioritaria, di cancellare quanto è accaduto in questi diciotto mesi o giù di lì in un solo colpo. Tornare a essere come prima. Azzerare quanto è accaduto e con una capriola ritrovarci a gennaio 2020, quando era normale abbracciarsi, viaggiare, affollarsi in una piazza o in un cinema o in un bar. Non mi quadra. Qualche giorno fa Alessandro Baricco ha scritto sul Post un articolo dove affronta questa sensazione, e dice:
“A differenza di molti altri, trovo che l’idea di ricominciare da dove c’eravamo interrotti non sia affatto così attraente; spesso mi sembra, semplicemente, impraticabile; talvolta, scema. È successo qualcosa, nel frattempo, e se dovessi dire perché me ne accorgo, non saprei farlo altrimenti che registrando una sensazione che non mi molla più: sembra tutto così vecchio. Tutto quello che ricominciamo sembra vecchio, è meno di quello che istintivamente mi aspetto, è in ritardo sui miei desideri”.
Esatto. Certo, siamo in effetti e letterlamente più vecchi di diciotto mesi. Io, almeno, per la prima volta faccio i conti seriamente con il mio corpo acciaccato da un tempo lungo di immobilità, il che non significa solo combattere i dolori della mia vecchia amica artrosi o imbronciarmi davanti allo specchio perché li vedo sul mio viso, i segni di quella lunga restanza. Ci sta, il tempo passa. Nessuno ha la meglio sul tempo. Si può, e lo consiglio, al massimo andargli incontro, ed essergli semmai grati, per quanto ci ha dato. Ma non è solo l’invecchiamento il problema. Come scrive ancora Baricco, è come se fossero passati cinque anni in uno, e almeno per alcuni di noi, non so quanti, tornare al prima lascia a disagio.
Faccio un esempio. In questi giorni, appunto, mi capita di discutere con chi esulta all’idea di abbandonare smart working e incontri on line. Io non esulto affatto, e provo a spiegare perché. Lo smart working, naturalmente e come sempre per chi ha la possibilità di lavorare da casa, è non solo bellissimo ma funzionale. Al lavoro stesso, e alla persona. Non sempre e non per tutti, d’accordo: ma visto che sto parlando per me, posso dire che evitare di prendere non l’automobile, che non prendevo comunque a fini lavorativi da anni 21, ma i mezzi pubblici romani e trascorrere circa tre ore della mia vita spiaccicata tra la folla e col terrore di rotture, disservizi, interruzione di linea, fiamme che consumano il bus, altro, significa molto. Significa restituire quelle tre ore alla possibilità di leggere, studiare, approfondire, prepararmi. Di più: significa anche il conforto di avere luce e aria (letteralmente, visto che prima di tutto questo lavoravo in mezza stanzetta buia e umida). Ancora: significa concentrare il tempo delle decisioni (sia pure via whatsapp) con maggiore agilità. SALVO POI poter dedicare il tempo liberato ai rapporti amicali delle persone con cui lavoro. Che è tantissimo.
Vado avanti. Gli incontri on line. Si tratti di convegni, presentazioni di libri, corsi di scrittura. E’ meraviglioso incontrarsi dal vivo e ne sono felice anche io e non vedo l’ora. Ma. Sarei, in questi mesi, potuta andare in Sardegna, in Sicilia, in Trentino, disegnare la mappa di mezza Italia incontrando persone peraltro bellissime? No. Avrei dovuto scegliere giocoforza non la metà, ma un quarto, dei luoghi in cui sono stata. E vale anche per i corsi on line a cui ho preso parte: eliminando il tempo del viaggio, spesso lungo, eliminando anche la stanchezza fisica e potendomi concentrare sulla parte più importante (i contenuti) credo di aver ottenuto risultati maggiori.
Certo, sto parlando di me, e ripeto per la cinquantesima volta (ma non servirà) che si tratta di alcune situazioni particolari, dove la presenza fisica non è indispensabile. Ma non credo che siano così poche le situazioni che somigliano alla mia. E mi chiedo allora: siamo davvero sicuri di voler tornare esattamente a dove eravamo diciotto mesi fa? Quando pensiamo a quello che abbiamo alle spalle siamo abituati a definirlo come orrore. Ecco, a me viene da pensare anche a tutte le cose che sono state inventate per supplire alla lontananza e alla paura, e ci saranno pure quelli che oddio il digitale, ma quanta invenzione, quanta creatività, quanta voglia di andare avanti in quello che è stato fatto in questi mesi. Non ignoro nulla dell’oscurità, nulla: né l’orrore vero dei morti, né l’inferno degli ospedali, né la disperazione per la perdita del lavoro. Ricordo e ricorderò. Ma magari può aiutarci anche pensare che, insieme alle atrocità, gli esseri umani riescono a concepire bellezza.
Buongiorno Loredana. Vorrei aggiungere questa riflessione. Ci sono persone per cui la situazione sarà la stessa non di 18 mesi ma di 180 mesi fa. Nel 2019 per un solo giorno venne diffusa un ampia indagine Istat sulle persone coon disabilità. Emersero alcune cose: solo il 43,5 ha una rete d relazione attiva. Solo il 37,5 dei musei in Italia ha le strutture per accogliere persone con disabilità gravi. Il 9,1 per cento dei disabili svolge attività sportiva rispetto al 36,6 del resto della popolazione. Solo il 9,3 per cento delle persone con disabilità va in modo regolare al cinema, visita un museo o va a un concerto nel corso di un anno, rispetto al 30,8 della popolazione generale. Le donne con disabilità vivono la doppia discriminazione della cultura maschilista e di quella abilista. In questi 18 mesi quante strutture culturali hanno approffittato della chiusura per adeguare le proprie strutture? Una bella poesia diceva che dovevamo fermarci ma tante persone vorrebbero iniziare a potersi muovere. Grazie per l’attenzione. Antonio
Cara Loredana , mi ritrovo moltissimo nelle sue riflessioni e in quelle di Baricco. Due settimane fa con la mia famiglia siamo andati a Fermo comune delle Marche .
Entrare dentro un cinema dopo 14 mesi che emozione!Una sala affrescata ,una ex chiesa ,una sensazione unica,magica, direi mistica. Il gestore ,un uomo appassionato e gentile e una programmazione eccellente.
Cinema _ Sala degli artisti
Che bellezza!
La bellezza e la passione !
Cari saluti
Proprio ieri sera scrivevo questo per rispondere a una discussione precedente sul tema dell’Università e le lezioni on line:
Studiare è la cosa più bella al mondo. Non ti annoi, non ti intristisci mai, non invecchi.
Quando studi non c’è né nero e bianco, né sano né malato, né uomo né donna, né giovane né anziano. Sei nel mondo della scoperta, come quando eri un piccolo di tre anni, assieme a tanti piccoli come te.
Quando poi diventi abbastanza grande per decidere da solo, ti iscrivi all’università e allora inizia una strada difficile ma piena di bellezza e di emozioni.
La pandemia ha interrotto la vita di tutti, anche degli studenti che tutti i giorni andavano ad imparare nelle città più piccole e più grandi mai esistite.
Per non disperdere un anno e passa di lavoro e di studio, professori tecnici e ragazzi hanno costruito un mondo inimmaginabile fino a qualche giorno prima. Un mondo nuovo, pieno di difficoltà e di paure, criticato è criticabile senza fine ma che ha consentito di andare avanti e che ha prodotto risultati insospettabili, mitigando quella solitudine e quella apatia a cui per la prima volta eravamo stati costretti.
Abbiamo continuato a comprare libri, a preparare tesi di laurea, a seguire lezioni da casa per case sconosciute. Abbiamo continuato a prepararci per l’avvenire.
Le lezioni online ci hanno permesso di incontrare e di lavorare insieme e in quei momenti la disperazione diventava più lieve. Anche chi non avrebbe potuto partecipare in condizioni normali si è trovato davanti la possibilità di essere presente. Qualcuno è stato aiutato, perché i segreti di internet sono in parte sconosciuti anche dai più esperti. Ma alla fine c’erano quasi tutti. Perlomeno chi ha deciso di esserci.
Frequento da qualche anno il laboratorio di scrittura del Prof. Fabio Pierangeli all’università di Tor Vergata di Roma e per tutto l’anno della pandemia ci siamo incontrati ( on line) continuando l’attività del nostro laboratorio. Abbiamo letto quello che scrivevamo in quei giorni, abbiamo invitato scrittori e professori a parlare della loro esperienza editoriale, ci siamo confrontati e confortati a vicenda e in quei momenti sono stata di nuovo felice.
Alcuni sono ragazzi disabili che purtroppo non sempre hanno la possibilità di raggiungere le aule dell’Università ma grazie a Dio internet non ha barriere architettoniche e può essere utilizzato da tutti o quasi senza troppe difficoltà.
Ora che ci stiamo riavvicinando alla tanto desiderata normalità bisognerebbe cercare di mantenere i vantaggi che abbiamo conquistato.
Le lezioni on line non sono per chi non vuole frequentare le lezioni che non frequenterebbe ugualmente, sono per chi non vorrebbe perderne nemmeno una, sono per chi non può andare la sera perché non saprebbe a chi lasciare i figli, per chi è al lavoro o chi quel giorno ha una udienza in tribunale ( parlo per esperienza vissuta), per chi è avanti con l’età e può andare una volta ogni tanto, per chi fisicamente non può e non vuole fare una università telematica che non è proprio la stessa cosa e le elezioni sono registrate; per chi solo una volta a settimana non potrebbe e non vorrebbe rinunciate a sostenere quell’esame. Per chi vuole imparare malgrado tutto.
Ho passato sui banchi dell’università le ore più belle della mia vita, ho sentito emozioni fortissime e senza pari. Ancora oggi ricordo quella bellezza e ne vivo di rendita. Qualche ora di lezione l’ho persa mio malgrado e online l’avrei fatta volentieri se avessi potuto. Sono sicura che questo tesoro non debba essere perduto.
Non parlerei perciò del se ma parlerei solamente del come.
Grazie, cara Loredana, per aver messo a fuoco una condizione in cui mi ritrovo perfettamente, come peraltro nella visione della richiesta di ricompensa di Alessandro Baricco.
Ma quale potrebbe essere il canale attraverso cui fare passare un rinnovamento sociale, un maggiore senso civico, una modalità gentile di interagire?
Intanto, volevo ringraziarvi tutti, per tutti i contributi, i racconti, la messa a fuoco. E poi dire semplicemente che questo è un tema di cui bisognerebbe e bisogna parlare ogni giorno, perché evidentemente è ancora, incredibilmente, sotterraneo.
Già. Se penso poi che, almeno personalmente, sono passato da tre grosse emergenze soggettive a due globali (terremoto e pandemia) in una decade, la considerazione che tu poni per interposto Baricco è per me urgentissima: tutto mi sembra sempre “così vecchio” dal 2010 in avanti! Però il vero problema non sta tanto qui, quanto nella difficoltà di doversi riadattare a un nuovo che diventa rapidissimamente vecchio perché nel frattempo è accaduto qualcosa di nuovo. Si dirà che la vita è fatta così. Allora rispondo che non è tanto il susseguirsi di novità a crearmi difficoltà, quanto la loro INTENSITA’ e FREQUENZA. Ecco, forse bisognerebbe riflettere proprio su questi due aspetti.