SCOPRI CHI STA PARLANDO: SUI PREGIUDIZI LETTERARI

Lei desidera che i suoi libri siano fonte di ispirazione per le giovani donne e le incoraggino a scrivere?
A me importa solo che amino leggerli. Preferisco di gran lunga che la gente si diverta con i miei libri, più che trovarli fonte di ispirazione. È solo questo che voglio: che si divertano, che li sentano vicini alle loro vite in qualche modo. Il resto è meno importante. Quel che voglio dire è che non mi sento, non credo di avere intenti politici.
Lei è un’intellettuale?
Forse sì. Non so bene che cosa significhi, ma credo di sì.
Sembra avere una visione molto semplice delle cose.
Ah, sì? Bene.
Beh, ho letto da qualche parte che a lei interessa che le cose si spieghino semplicemente.
Sì, è vero. Ma non penso mai di volerle spiegare in modo più semplice; questo è solo il mio modo di scrivere. Credo di scrivere naturalmente così, senza dover pensare di rendere il mondo più semplice.
Le sono mai capitati periodi in cui non riusciva più a scrivere?
Sì. Beh, ho anche smesso di scrivere, quando è stato? circa un anno fa. Ma quella è stata una decisione, più un non voler scrivere che non riuscirci; avevo deciso di vivere come il resto del mondo. Perché quando si scrive si fa una cosa di cui gli altri non sanno niente, e non se ne può parlare, si torna di continuo al proprio mondo segreto per poi fare cose diverse nella vita normale. E questo mi ha un po’ stancata; l’ho fatto sempre, per tutta la vita. Quando mi capitava di incontrare scrittori diciamo più accademici, mi agitavo perché sapevo che non avrei mai potuto scrivere come loro, non avevo quel dono.
Immagino si tratti di un modo diverso di raccontare una storia.
Sì, ma io non ho mai lavorato alle storie in modo, come dire, consapevole, o meglio, naturalmente sono consapevole, ma lavoro più secondo il mio bisogno e il mio gusto che seguendo un’idea.
Le capita ultimamente di tornare a leggere uno dei suoi vecchi libri?
No! No! Mi spaventa. È probabile che proverei un bisogno irrefrenabile di cambiare una cosetta qua e una là; l’ho anche fatto, su certe copie tirate fuori dalla libreria, ma poi mi rendevo conto che non serviva a niente, perché le copie in circolazione restavano uguali.
Chi starà mai parlando, in questa intervista? Una scrittrice ingenua che si dedica a testi piani, magari poco considerati dagli altri scrittori, in quanto appunto troppo semplici? Ebbene no, è Alice Munro, intervistata subito dopo il conferimento del Nobel per la letteratura da  Stefan Åsberg per la televisione svedese.
Fa impressione leggere questo stralcio, perché manda in frantumi l’aura sacrale che circonda il massimo riconoscimento letterario: ma quel che Munro dice è così vero, così giusto, che dovrebbe di contro far riflettere chi crede che parlare di letteratura sia faccenda per iniziati.
Altro giochino, altra intervista. Anzi, solo la risposta:
“La questione secondo me è proprio questa: io ho immaginato un non-horror mentre scrivevo. Cioè, impostate le premesse “soprannaturali”, il resto è assolutamente realistico. E realistici sono i sentimenti. Quello che mi sono chiesta è stato: che cosa si prova davvero a tornare sulla terra da morti? Non mi interessava per niente una risposta “di genere”, ma una risposta esistenziale. Ho lasciato che questa ipotesi si incarnasse nei personaggi, e loro mi hanno fornito delle risposte. Senso di onnipotenza, per alcuni, persino senso di responsabilità per altri, ma anche infinita angoscia. E tra questi Mirta-Luna. Questa ragazza angosciata è quanto di più realistico possa esistere. Non riesco neanche a considerarla un personaggio. Mirta è un grido di aiuto”.
E’ facile, a parlare è Chiara Palazzolo, in un’intervista che le feci io nell’agosto del 2007, una vita fa. Ho appreso casualmente e da poco che Non mi uccidere tornerà in libreria, per Sem, a marzo del 2021, e non posso che rallegrarmene. Spero che sia anche l’occasione per fare una riflessione comune, e seria, sul mantra editoriale “ehi, la roba non realista non vende, a meno che non sia per bambini”. Faccenda che riguarda anche i lettori, evidentemente. Perché razzolando di gruppo in gruppo, mi rendo conto che ancora oggi “non realistico” significa invariabilmente “fantasy”, che “horror” è una cosa dove zombi bavosi sbudellano gente e via così. Niente di più falso, e dovrebbe essere ovvio.
A parlare nella prima intervista non è “una scrittrice per signorine”, a parlare nella seconda non è “una scrittrice horror”. Magari nel 2021 lo si capirà. Spero.

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