SENTIRSI BUONI, O BUONE: DUE PAROLE SUL “CASO ROCCELLA”

Vorrei fare, a freddo, una breve riflessione sulla contestazione a Eugenia Roccella al Salone del Libro di Torino. E non riguarda la liceità delle contestazioni stesse, perché da che mondo è mondo chi contesta lo fa per portare avanti un’istanza anche bruscamente, altrimenti non la metterebbe proprio in atto. Credo, del resto, che la ministra abbia avuto subito dopo e abbia ancora infiniti canali per spiegare il suo punto di vista, parlare  del suo libro, protestare a sua volta. Basta una ricerca su google per verificare quante interviste abbia rilasciato subito dopo a televisioni e testate giornalistiche. Chi manifestava, se non sbaglio, ha avuto solo un paio di possibilità.
Ma la riflessione non è su questo punto, su cui mi pare si sia spostata la discussione generale. E’ su un atteggiamento che non è solo della ministra Roccella, ma di chiunque, se personalità pubblica e in particolare politica, riceva la famosa contestazione. Il diniego. La richiesta di aiuto. L’autovittimizzazione. Succede, ed è umano. Tutti noi desideriamo essere percepiti come buoni, di qualunque segno siano o siano state le nostre azioni. Ma è un desiderio impossibile da realizzare, nel momento in cui le nostre azioni hanno provocato sofferenza ad altri.
Ora, Roccella non è ministra della Sanità ma della famiglia e pari opportunità, come ripete a ogni intervista. Ma ministra è. E dire, come ha detto e ripetuto, che l’obiezione di coscienza non vanifica il diritto ad abortire è un falso, e lo dimostrano le tonnellate di dati che sono state raccolte in questi anni.
Ora, quando assistemmo a quella terribile violenza verbale (e non solo) contro Beppino Englaro, che cercava di far rispettare la volontà espressa dalla figlia Eliana, Roccella era sottosegretaria al Welfare e disse: “abbiamo la libertà di fare qualunque cosa del nostro corpo, ma non il diritto: se considero che suicidarmi è un diritto, è giusto che nessuno blocchi più nessuno dal suicidarsi”. Ed è una frase di gigantesca gravità, perché sottintende che è semmai lo Stato che può ingerire sulle decisioni che riguardano il nostro corpo.
Come ricorda qui Simone Alliva, inoltre, sulla procreazione assistita Roccella ha sostenuto che «la libertà di scelta di “quando e se” essere madri, sta diventando sempre più una libertà di scelta sul figlio: la libertà di “chi” essere madri, attraverso la selezione genetica».
Ora, parlando di famiglia, non mi sembra che vengano tenute in considerazione le sofferenze delle famiglie LGBTI e dei loro figli e del sacrosanto diritto di ottenere la trascrizione all’anagrafe.
Ecco, nel momento in cui si sostiene tutto questo, come si può pensare di non ricevere una contestazione in un luogo pubblico? Come si può pensare che le vite degli altri e delle altre contino così poco rispetto, se posso, al proprio libro e all’importanza di presentarlo? Io peraltro l’ho letto, il libro, sarebbe interessante parlarne, anche perché conoscevo Franco e Wanda, i genitori di Eugenia Roccella, come tutte le persone che transitavano in quegli anni in via di Torre Argentina 18. Ma mi sembra di capire che il problema è proprio il parlarne, che è altra cosa dal monologare.
Sì, sono tempi oscuri. E, sì, passeranno. Eccome se passeranno.

Un pensiero su “SENTIRSI BUONI, O BUONE: DUE PAROLE SUL “CASO ROCCELLA”

  1. Carissima Loredana i tempi sono più che oscuri temo, sono proprio bui se chi fa parte di un governo in veste di ministro non tollera una legittima contestazione da persone che sulla loro pelle patiscono una ghettizzazione e un isolamento che non gli da accesso ai molti altri canali di cui può disporre un personaggio pubblico coma la ministra per sostenere le proprie istanze.
    Conoscendo la storia dei genitori della ministra credo che da radicali e femministi non potranno che, come si dice con una espressione che di solito aborro ma che nel caso di specie mi sembra calzare a pennello, rivoltarsi nella tomba .
    O tempora O mores !

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