Ogni tanto lo faccio: vado a sbirciare fra i commenti alla pagina di Giorgia Meloni per capire chi sono quelli che esultano “vai avanti così”. E non trovo uno straccio di motivazione, solo foto di tramonti e ghepardi (che male avranno fatto, poi, i ghepardi?), meme sparsi contro Boldrini (ancora), immagini dei nipotini (ci sono molti miei coetanei e oltre tra i plaudenti), corsi di karate (che male avrà fatto il karate?) e qualche richiesta di riforma della giustizia. Fra tutte le richieste possibili, proprio quella.
D’accordo, Facebook non è un buon terreno di studio. Io però vorrei sapere qualcosa di più sull’elettorato di Meloni e di questo governo. Perché dev’essere un elettorato faticosissimo da tenere a bada, a giudicare dai provvedimenti presi e rivolti a suo uso e consumo.
Il pasticciaccio sui migranti da trasferire in Albania? L’elettorato vuole che difendiamo i confini (difendere i confini, già, hanno detto proprio così). Gpa reato universale? L’invito di Roccella ai medici di fare la spia? L’elettorato vuole una famiglia “normale”, non queste degenerazioni. E poi dobbiamo difendere i bambini (il fatto che abbiano dimezzato gli asili nido è ininfluente). Il decreto anti-rave, quello anti-cannabis e tutti gli altri? L’elettorato vuole essere sicuro.
Dunque io vorrei tanto sapere se questo benedetto elettorato di Meloni è contento così o non chiede, che so, accesso alla sanità pubblica, lavoro, possibilità di affittare una casa senza fingersi un pellegrino del Giubileo che intende restare a Roma il più a lungo possibile, mezzi pubblici efficienti, verde pubblico, asili e insomma tutto quello che si dovrebbe chiedere allo Stato.
D’accordo, veniamo da anni velenosi e i pozzi esondano, insieme a tutto il resto. Ma questa continua messa in scena che non corrisponde ai fatti, a chi è rivolta?
Tag: Eugenia Roccella
In “Staccando l’ombra da terra,” Daniele Del Giudice scrisse: “Le parole, in cielo, nelle procedure del volo, sono parole ad alto grado di responsabilità, parole con conseguenze”.
Ad alto grado di responsabilità. Conseguenze. Ci ripensavo ieri sera leggendo le dichiarazioni della ministra della Famiglia Eugenia Roccella dopo l’approvazione in Senato della legge che rende “reato universale” la Gestazione Per Altri. Le parole sono queste:
“Chi si trincera dietro la retorica dei ‘diritti’ per giustificare la pratica dell’utero in affitto dovrebbe chiedersi perché invece ci sia una rete mondiale del femminismo che sostiene l’iniziativa dell’Italia e considera il nostro Paese un esempio da seguire dappertutto”.
Una rete mondiale del femminismo.
Già l’uso del singolare fa capire in quale ottica si muove Roccella: i femminismi sono plurali, da anni e anni e sempre di più, come è giusto che sia. Ma c’è chi, come la ministra, riconosce come femminismo soltanto quello a cui si sente vicina. Ed è vero che quel femminismo festeggia l’approvazione di una legge sbilenca, e che probabilmente sarà inapplicabile.
Io ricordo bene uno degli ultimi video di Michela Murgia che diceva che dovremmo essere le porte, e non le portinaie. Intendo che bisognerebbe confrontarsi su un tema così grande, che non può essere affrontato a colpi di leggi-manifesto che porteranno solo sofferenza, senza la certezza di essere le uniche a potersi dire femministe.
Ecco. Quante, delle grandi madri del femminismo, ascoltano le giovani? Quante sono disposte a capire quanto sia diverso, e aperto, e innervato della consapevolezza dei diritti? Quante sono disposte a capire che c’è un’altra rete che sta prendendo forma, che ha già preso forma, anzi, e che fa a meno della biologia in favore dell’altra banalissima e gigantesca parola che è amore?
Io vedo anche un’altra cosa in questa rivendicazione del solo e unico femminismo. Il potere. C’è una parte dei femminismi delle madri che non intende cedere un’oncia della propria posizione, e che è disposta ad assumere posizioni illiberali per questo. Come direbbe Tolkien, stanno combattendo Sauron usando l’anello. E questo è un male per tutte. E per tutti.
Tutti noi desideriamo essere percepiti come buoni, di qualunque segno siano o siano state le nostre azioni. Ma è un desiderio impossibile da realizzare, nel momento in cui le nostre azioni hanno provocato sofferenza ad altri.
Ora, Roccella non è ministra della Sanità ma della famiglia e pari opportunità, come ripete a ogni intervista. Ma ministra è. E dire, come ha detto e ripetuto, che l’obiezione di coscienza non vanifica il diritto ad abortire è un falso, e lo dimostrano le tonnellate di dati che sono state raccolte in questi anni.
Ora, quando assistemmo a quella terribile violenza verbale (e non solo) contro Beppino Englaro, che cercava di far rispettare la volontà espressa dalla figlia Eliana, Roccella era sottosegretaria al Welfare e disse: “abbiamo la libertà di fare qualunque cosa del nostro corpo, ma non il diritto: se considero che suicidarmi è un diritto, è giusto che nessuno blocchi più nessuno dal suicidarsi”. Ed è una frase di gigantesca gravità, perché sottintende che è semmai lo Stato che può ingerire sulle decisioni che riguardano il nostro corpo.
Ora, parlando di famiglia, non mi sembra che vengano tenute in considerazione le sofferenze delle famiglie LGBTI e dei loro figli e del sacrosanto diritto di ottenere la trascrizione all’anagrafe.
Ecco, nel momento in cui si sostiene tutto questo, come si può pensare di non ricevere una contestazione in un luogo pubblico?
Ieri sera una commentatrice su Facebook mi chiedeva perché continuare a parlare di aborto. Bene, in effetti non dovrebbe, nel migliore dei mondi possibili, esserci la necessità di discutere sul diritto di decidere se essere madri o meno. Non dovrebbe, ma quel che avviene intorno a noi (Ungheria, Polonia, Stati Uniti) ci ricorda che nessun diritto è acquisito per sempre.
C’è un secondo punto. Non si è mai smesso di interrogarci e discutere su questo, all’interno dei femminismi, e ogni discussione, anche quando si attesta su posizioni lontanissime, è importante, purché non si vada a scardinare la questione centrale: diritto di scelta, ancora una volta.
Oggi riassumo gli interventi di Lucetta Scaraffia e Elena Stancanelli, sempre su La Stampa.
Uso per un po’ questo blog come memorandum, perché la discussione che si sta sviluppando in questi giorni sull’aborto e su cosa, a proposito di interruzione di gravidanza, pensi la ministra per la famiglia e natalità e pari opportunità non è una scaramuccia, non è un attacco, non è una schermaglia. Riguarda, invece, la conservazione della memoria comune (insieme, ovviamente, a quella che è e resta la tutela di un diritto).
Il riassunto degli interventi di Giulia Siviero, Lea Melandri, Emma Bonino, Bleue Blissett
Dunque, ieri su La Stampa è uscito un mio articolo sulla neoministra per la famiglia, natalità e pari opportunità Eugenia Roccella. Oggi la ministra Roccella mi risponde. L’articolo è sul quotidiano e per correttezza non lo riporto integralmente. Però ho alcune cose da dire. Vado per punti.
Uno su tutti. Non ho mai contestato la possibilità che si possa cambiare, anche radicalmente. Contesto un’affermazione: “le femministe non hanno mai considerato l’aborto un diritto”, che è in contraddizione con quanto viene affermato nel libro. Si cambia idea anche su questo, è legittimo. Ma se cambiare è legittimo, si usa la prima persona singolare. Io, non le femministe. Anche perché è difficilissimo, a meno di non scrivere un saggio (e grazie al cielo c’è chi lo fa) dar conto delle diversità delle posizioni dei movimenti di allora e delle diramazioni che ne sono seguite.
“Credo che riconoscere il diritto alla vita, dal concepimento alla morte naturale, sia un principio che l’Onu potrebbe fare proprio, così come ha fatto sulla moratoria per la pena di morte pur dopo un lungo e non facile dibattito”. Silvio…