“Scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxitelevisore del cazzo, scegliete lavatrice, macchina, lettore cd e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete mutuo a interessi fissi, scegliete una prima casa, scegliete gli amici. Scegliete una moda casual e le valigie in tinta, scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo, scegliete il fai-da-te e il chiedetevi chi siete la domenica mattina. Scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz, mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio, ridotti a motivo di imbarazzo di stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi. Scegliete il futuro, scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa cosí? Io ho scelto di non scegliere la vita. Ho scelto qualcos’altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni”.
E cosa mai c’entra il monologo iniziale di Trainspotting con i due anni dalla botta grossa, dalla scossa che mette definitivamente a terra le Marche e l’Umbria? Per giunta, il film è del 1996, il romanzo di Irvine Welsh del 1993. Roba vecchia, roba obsoleta, siamo cambiati.
Mica tanto.
Fatte salve le enormi differenze, a quanto sembra il modello è sempre uno: consuma. Consuma cibo nel ristorante vista piana. Consuma territorio. Consuma bellezza. E, certo, sei messo all’angolo come un topo, e, certo, non ti hanno dato una casetta provvisoria, e, certo, il tuo paese è ancora un ammasso di macerie. Ma la scelta che ti hanno dato è solo una: il villaggio alimentare.
Per la cronaca, ieri è stato inaugurato in pompa magna il Deltaplano di Castelluccio di Norcia. Se volete rinfrescare la memoria, qui l’articolo scritto per lo Stato delle cose. Mi limito a riportare il commento dello scrittore Michele Sanvico, tra i non molti che hanno dichiarato da subito la propria opposizione.
“E, alla fine, ce l’hanno fatta. Sul colle di Castelluccio di Norcia, al cospetto del meraviglioso Pian Grande, in un luogo unico al mondo, al centro di tutele ferree e invalicabili, è stato infine realizzato e, oggi, anche inaugurato, il “Deltaplano”: la grande struttura, degna di una delle nostre più squallide periferie urbane, siede ora serenamente sul fianco della collina, per il maggior diletto dei turisti che, soddisfatti, siederanno, ruminanti e paganti, nei ristoranti in esso ospitati.
Il “Deltaplano”, come già scrivevo il 26 aprile scorso, è dunque atterrato all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini con tutto il suo cemento, tutti i suoi sbancamenti, e tutta la sua bella presenza da struttura commerciale che meglio avrebbe fatto mostra di sé presso lo svincolo di una tangenziale, ma che, seduto in posizione dominante sul Pian Grande, vede esaltato magnificamente il proprio strepitoso, eppure sempre accuratamente negato, impatto paesaggistico.
Non c’è stato nulla da fare. È stato del tutto inutile segnalare in anticipo lo scempio che ne sarebbe derivato, chiedere che fossero almeno valutate le possibili soluzioni alternative, gridare allo scandalo, appellarsi al buon senso, pregare e implorare, piangere in cinese: nulla è servito, perché questo volevano fare, e questo hanno fatto. Come sempre: con la solita, banale, abusata motivazione dell’emergenza, che da tempo immemore, in Italia, è stata invocata per giustificare ogni devastazione dei beni comuni, a vantaggio di pochi.
Perché di pochi si tratta. Si è costruito in una zona dal fascino paesaggistico unico per restituire – dicono – il lavoro a un certo numero di storici ristoratori, altrimenti disoccupati a causa del terremoto. Come se in Italia non ne esistessero milioni, di disoccupati, e anche molto meno abbienti di questi: perché non dare un bel ristorante anche a ciascuno di loro? Facciamolo, perché il “modello Castelluccio”, forse, è da imitare. Quantomeno, per conseguire una piena parità di trattamento.
D’altra parte, abbiamo già dimostrato come il Comune di Norcia avesse già messo gli occhi, e anche da diverso tempo, proprio su quell’area dove oggi è sorto il “Deltaplano”: la superficie, denominata «UPU/rp/2» nel Piano Urbanistico Attuativo approvato per Castelluccio prima del terremoto, era già stata catalogata come «aree libere nella zona della Porta Orientale di Castelluccio utilizzabili per insediamenti provvisori per l’emergenza», e prevedeva sin da allora il «rimodellamento del suolo e muri di sostegno, pavimentazione, arredo urbano, ecc.», con «dotazione di opere di urbanizzazione primaria necessarie in previsione di insediamenti provvisori».
Dunque, tutto era già scritto: quell’area sarebbe stata urbanizzata comunque, e il terremoto non ha prodotto che un’accelerazione degli eventi. Lo scempio esisteva già, seppure solamente teorico: perché sappiamo bene come l’idea di effettuare sbancamenti e cementificazioni in aree protette sia stata, da sempre, in gran voga presso le sensibili, acculturate classi dirigenti italiche.
E il Parco Nazionale dei Monti Sibillini? E la Valutazione di Incidenza Ambientale, la famosa e famigerata VINCA, certamente in grado di bloccare, potenzialmente, ogni velleità di realizzare un progetto del genere in una zona del genere? Niente paura: è stato sufficiente dichiarare che «per tutti gli interventi non è presente sottrazione di superfici di habitat di cui all’allegato I della Direttiva 92/43/CEE», perché «le verifiche istruttorie confermano quanto sopra dichiarato e rilevano che la localizzazione degli interventi è comunque sempre prossima a lembi di habitat 6210 che interessano i versanti del colle di Castelluccio. In particolar modo la previsione del parcheggio risulta essere posta a 10-15 m da un lembo di prateria classificata come habitat 6210 nella cartografia degli habitat della ZSC-ZPS IT5210071».
Pochi metri. La «prateria» di simpatiche erbette protette, tipiche del territorio del Pian Grande, si trova qualche metro più in là; quindi, si può costruire il “Deltaplano” tranquillamente.
Grandiosa, strepitosa Valutazione di Incidenza Ambientale. Applausi. E fragorose risate.
E dunque, abbiamo riso. Abbiamo gridato. Abbiamo informato. Abbiamo pregato. Ma non c’è stato nulla da fare.
Il “Deltaplano”, ora, è lì: «hic manebimus optime», pare di sentirlo dire. Perché nessuno, potete scommetterci, lo toglierà mai più, e potrà accompagnare per sempre il nostro sguardo quando, dal Pian Grande o risalendo il fianco del Monte Vettore, potremo godere della vista dei suoi montanti in acciaio, e delle sue vetrate di scintillante cristallo, e dei terrazzamenti artificiali sui quali gioiosamente riposa, e dei suoi ecologici tetti ricoperti di erba presto cotta dal sole e strappata dal vento, il tutto perfettamente inserito in un contesto paesaggistico di rara e straordinaria bellezza.
D’altra parte, siete voi che lo avete voluto. E, forse, ve lo meritate”.