LA STELLA DELL'ALTA SPERANZA

Domani si apre ufficialmente il terzo inverno delle zone terremotate, la terza stagione di pioggia e neve sulle macerie, la terza sulle persone che non hanno casa e non l’avranno, chissà per quanto. Naturalmente non è la sola cosa che sta accadendo, e chi segue la sottoscritta sui social lo sa. Non abbiatevene a male se scelgo non il riserbo ma la maschera. Dunque questo post parla di speranza partendo da una distruzione. Quella di Gondolin, la città degli elfi che dalle forze oscure viene distrutta. Muore, in quella distruzione, l’elfo Glorfindel, che precipita nel baratro avvinto alle fiamme fredde di un Balrog, come nel Signore degli anelli avverrà a Gandalf (eppure Glorfindel, in qualche modo, tornerà, come Gandalf). Ma si salva e fugge Eärendil, figlio di un’elfa e di un uomo,il portatore della luce del Silmaril, e chiamato anche “stella dell’alta speranza”. Che lo splendore di quella stella sia sempre di conforto.
Per inciso, sarò a Lucca Comics&Games sabato 3 novembre alle 14.15 per presentare “La caduta di Gondolin” insieme al traduttore Luca Manini e ad Angelo Montanini. Qui sotto, l’articolo uscito qualche giorno fa su Robinson.

Nel giugno 1955, in una lunga lettera diretta alla sua casa editrice americana, John Ronald Reuel Tolkien ricorda le origini di quella che è un’unica , splendida storia. Se si esclude il “verde grande drago” immaginato a sei anni, la mitologia de Il Signore degli Anelli prende forma durante la prima guerra mondiale: nel 1916 Tolkien è in licenza per malattia “dopo essere sopravvissuto alla battaglia della Somme” e mette mano a un’idea che aveva preso forma “nelle baracche dell’esercito, affollate, piene del rumore dei grammofoni”. E’ La caduta di Gondolin, in arrivo il 24 ottobre, a cura di Cristopher Tolkien, presso Bompiani (traduzione di Luca Manini e Simone Buttazzi, illustrazioni di Alan Lee, pagg. 352, euro 22).
Gondolin è una città segreta di Elfi Noldor, che qui Tolkien chiama ancora Gnomi: come spiegherà molto più avanti, lo ha fatto “perché per alcuni Gnome è ancora sinonimo di conoscenza. Il nome alto-elfico di questo popolo, Noldorin, significa infatti Coloro che sanno”. Una città di “esuli nel cuore”, di grande e struggente bellezza, destinata a cadere per mano dell’esercito oscuro di Morgoth, il più potente e malvagio dei Valar. Dall’orrore di quella distruzione, cui gli Elfi resistono con tutte le proprie forze, nascerà comunque una speranza: fra i fuggitivi che riescono a lasciare la città morente c’è infatti Eärendil, colui che un giorno navigherà per supplicare i Valar di salvare la Terra di Mezzo.
La caduta di Gondolin è testo prezioso per i tolkieniani d’Italia (da poco dotati di un Centro studi, La tana del Drago, a Dozza imolese) non solo perché completa la pubblicazione dei tre grandi racconti della Prima era che sono alla base del Silmarillion (gli altri due sono Beren e Lúthien e I Figli di Húrin), ma perché mostra quanto fu determinante l’esperienza della guerra per la scrittura di Tolkien. La necessità di esprimere i propri sentimenti” per non esserne avvelenato” ha generato Morgoth, scrisse ancora il professore. E, come ha sottolineato la grande studiosa Verlyn Flieger, la battaglia della Somme mette muscoli e carne nella scrittura di Tolkien, la cambia, la allontana dalle convenzioni della poesia georgiana, fa irrompere nel mondo fatato la morte e la distruzione. La realtà, in altre parole. Quella che porterà Tolkien a scrivere al figlio Christopher, impegnato in un’altra guerra, nel 1944: “Stiamo cercando di sconfiggere Sauron usando l’Anello. E, sembra, ci riusciremo. Ma il prezzo da pagare sarà, come sai, la generazione di nuovi Sauron, e la trasformazione di Uomini ed Elfi in Orchi”.

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