Estratto da “1978, l’interruzione volontaria di gravidanza”, “C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto. Come cambia l’obiezione di coscienza”) di Chiara Lalli.
Scegliere di eseguire interruzioni di gravidanza non è una scelta facile. Lo spazio già angusto dedicato alla questione è occupato esclusivamente dal vissuto della donna, in genere quando c’è qualche caso che va storto più degli altri. Passata l’emergenza della cronaca nessuno se ne interessa più. Come vivono i medici questa parte della loro professione? L’ho chiesto proprio a Paola Lopizzo (Ospedale San Giovanni – Addolorata di Roma, unica ad eseguire interruzioni di gravidanza tardive) durante una pausa di una domenica di turno in ospedale.
“Per me non è facile fare interruzioni di gravidanza. Il medico vuole curare, magari non ci riesce sempre, ma ha quella idea quando decide di diventarlo. Poi in particolare il ginecologo fa nascere i bambini! Dedicare un parte della propria attività a distruggere la vita è doloroso, qualsiasi sia la ragione è un aspetto distruttivo e non costruttivo.
Io ho deciso di non essere obiettore, anche perché ho scelto liberamente di fare questo lavoro e di lavorare in una struttura pubblica. Sul Journal of Medical Ethics è stata pubblicata una indagine sul parere degli studenti di Medicina in Gran Bretagna riguardo all’obiezione di coscienza. Le domande riguardavano alcune procedure moralmente conflittuali: è giusto che un medico faccia obiezione di coscienza, per esempio, sull’interruzione di gravidanza, sulla contraccezione, sul trattamento di pazienti ubriachi o drogati o di persone di sesso opposto a quello del medico? Le risposte affermative sono state oltre il 45% del campione (su 1437 studenti contattati, hanno risposto in 733). (Sophie LM Strickland, Conscientious objection in medical students: a questionnaire survey, Journal of Medical Ethics, 24 may 2011, nda).
Forse anche perché sono una donna (ho fatto l’amniocentesi quando ero incinta e in caso di diagnosi infausta mi sarei trovata di fronte a un dilemma che nessuno vorrebbe affrontare), c’è una legge dello Stato e – per quanto a volte sia pesante – cosa succede se nessuno eseguisse interruzioni di gravidanza? Se tutti fossero obiettori, la legge decadrebbe.
Alcuni aborti per patologie fetali mi hanno messo in grossa difficoltà emotiva, sicuramente più sentita perché ero sola, ma penso che sia giusto che ci sia questa legge e che le donne debbano poter scegliere e avere la garanzia di questo servizio. Come faccio a essere d’accordo con la legge e poi però dire “io non lo faccio, lo farà qualcun altro”?
I medici non obiettori sono pochi e nessuno parla della loro fatica, della nostra fatica. Non possiamo condividerla. In Francia, per esempio, il 90% dei medici è non obiettore e allora c’è modo di confrontarsi e di condividere i dubbi e le incertezze.
Qui al reparto ho una discreta collaborazione da parte dei medici obiettori – caso raro perché capita che siano ostili: la situazione non è certo ottimale ed è dovuta principalmente al mio carattere. Ho una rete di consulenti miei, ma non dovrebbe essere il mio compito! Non dovrebbe essere relegato alle iniziative personali. Anche perché ci sono troppe differenze di servizi tra una struttura e l’altra.
Nonostante il clima collaborativo è un lavoro che faccio da sola. Le pazienti le seguo io. Oggi ho una paziente per un aborto tardivo e in più sono di guardia, quindi può succedere anche di avere imprevisti. Tutto questo pesa solo su di me”.
Il racconto di Lopizzo, oltre alla solitudine, tocca il dolore delle interruzioni tardive e la contraddizione dell’elevato ricorso alla diagnostica prenatale. “Entro i 90 giorni si potrebbe filosofeggiare sul fatto che sono gravidanze evitabili, almeno in teoria e almeno in parte. Se escludiamo le violenze sessuali, gli errori o le condizioni di scarsa informazione, diciamo che un parte di quelle gravidanze sarebbe prevedibile e evitabile ricorrendo alla contraccezione.
Ma dopo il terzo mese l’interruzione è fatta nella maggior parte dei casi per malformazione fetale, oppure per ragioni di salute della donna (ho fatto interruzioni di gravidanza su feti sani perché la donna aveva scoperto di avere un cancro al seno o la leucemia). Sono gravidanze desiderate, non evitabili. Queste donne non vorrebbero mai abortire!, vivono un conflitto e un dolore profondi.
Essere obiettori significa tirarsene fuori, eppure la diagnostica prenatale la fanno tutti, ospedali religiosi, obiettori, tutti. Anzi in Italia la si spinge molto, non si scoraggiano le pazienti. Il numero di ecografie e amniocentesi è altissimo. Ancora di più nelle strutture private (l’amniocentesi si paga tanto). A che serve la diagnostica prenatale? Purtroppo non serve a curare. O per trovare bambini sani. Se fossimo sicuri che tutti i bambini sono sani non faremmo indagini! Le indagini servono per diagnosticare in larga parte patologie incurabili. E dare alla paziente la possibilità di scegliere. In alcuni casi la patologia esclude la sopravvivenza del feto e della scelta rimane ben poco.
È vergognoso che alcune strutture campino su questo mercato e poi mollino le donne al loro destino. Lasciamo perdere le strutture religiose che si nascondono dietro al sofisma che loro fanno diagnosi in modo che la donna si possa preparare. Le pazienti che dicono che non abortirebbero in alcun caso decidono di non fare indagini. Molte volte mi hanno detto: “è inutile che io faccia una diagnostica invasiva, facendo correre anche il rischio all’embrione, tanto io porto comunque avanti la gravidanza. E se sapessi che è affetto da una patologia vivrei angosciata per il resto della gravidanza. Lo saprò alla nascita e lo accoglierò per quello che è”.
In troppi pensano che le pazienti siano incapaci o abbiano bisogno di un tutore che decida cosa debbano pensare e addirittura parli in loro vece. Bisognerebbe chiedere alle donne e non presumere ragioni e desideri per nascondersi ipocritamente dietro a una scusa.
Sono frequenti i casi di grosse strutture private gestite da obiettori che fanno e vivono sulla diagnostica prenatale. Poi alle pazienti dicono “devi abortire altrove, noi siamo obiettori”.
La diagnostica è un lavoro pulito (questa è la loro assurda pretesa), noi dobbiamo fare il lavoro sporco. Il medico deve farsi carico anche degli aspetti sgradevoli: quando assisti un malato terminale non è forse sgradevole e doloroso? Come si fa ad abbandonare una donna che ha appena saputo di una diagnosi infausta? Non sempre le loro decisioni ci troveranno d’accordo, ma è una ragione per non prendersene carico? Io ho avuto casi su cui non concordavo e sono stata molto incerta, ma poi ho pensato: se non lo faccio io, chi lo fa? E poi ho pensato anche: è giusto che nelle mie mani ci sia il destino di un’altra persona? Chi sono io per avere tutto questo potere?
C’è molta ipocrisia. Tanti colleghi di servizi religiosi mi mandano le pazienti ad abortire. Posso anche condividere l’obiezione, ma deve essere genuina. Io lo capisco. Ma poi non mi mandi, dopo aver fatto magari un’amniocentesi, una paziente perché non vuoi sporcarti le mani. O una conoscente o tua moglie.
Ho un collega obiettore che rispetto molto, e che non si è mai opposto a una epidurale per esempio. Si da da fare tantissimo per le pazienti. Facciamo accese discussioni, ma la sua scelta non è di comodo. E lui non fa indagini prenatali: “non posso poi abbandonare le donne e dire loro che io non faccio interruzioni di gravidanza”. È coerente. Ce l’ha la coscienza.
Molti invece che coscienza hanno? Fai una diagnosi di idrocefalia e poi cosa dici alla paziente? “Devi interrompere la gravidanza perché tuo figlio sarà un vegetale ma non qui e non con me”. E quella poi deve andare in giro e arrangiarsi? Tanti medici non dicono alle donne nemmeno dove andare. Non è semplice trovare dove fare una interruzione di gravidanza tardiva”.
Non è semplice, questo lo abbiamo imparato.
Grazie, Paola Lopizzo.
Moltissimo rispetto per questa testimonianza.
Che da un lato spiega la consistenza dell’obiezione (“Il medico vuole curare, magari non ci riesce sempre, ma ha quella idea quando decide di diventarlo. Poi in particolare il ginecologo fa nascere i bambini! Dedicare un parte della propria attività a distruggere la vita è doloroso, qualsiasi sia la ragione è un aspetto distruttivo e non costruttivo.)
Dall’altro spiega la sua apparente incompatibilità con il sistema sanitario pubblico (“c’è una legge dello Stato e – per quanto a volte sia pesante – cosa succede se nessuno eseguisse interruzioni di gravidanza? Se tutti fossero obiettori, la legge decadrebbe.”)
E’ un problema di non facile soluzione e qui se ne vede la natura, che altri interventi sistematicamente vittimistici o denigratori delle altrui intenzioni tendono piuttosto a coprire.
La soluzione “pulita” non c’è. Interdire agli obiettori i pubblici uffici è francamente fascista e però consentire che una struttura sanitaria sia dotata di soli medici obiettori vanifica una legge dello stato.
Probabilmente la soluzione “politicamente praticabile” è riservare una quota di posti in ogni struttura pubblica a personale disponibile a praticare l’IVG.
Ossia garantire ad ogni turno la presenza di un medico non obiettore in tutte le strutture. Come si fa se il 90% dei medici è attualmente obiettore? Bisogna per forza cambiare il sistema dell’obiezione. Cioè, qui nessuno dice che non esistano medici sinceramente mossi da personale disagio verso l’ivg, ma che questi non sono la maggioranza, per i tanti motivi spiegati e gli esempi fatti (che qualcuno evidentemente privo di empatia continua a chiamare “vittimistici” – magari se capitasse ad una sua parente prossima capirebbe qualcosa, chissà chissà chissà), dunque essendo una minoranza, ed essendo inadeguati a svolgere il loro lavoro nel pubblico, la coscienza la possono esercitare nel privato – dato che nel privato non si fanno problemi a diagnosticare malattie gravi, ma poi se ne lavano le mani, senza che la loro coscienza ne risenta.
…Se ci fosse un minimo di posti garantito per gli obiettori in ogni ospedale…credo che l’assoluta maggioranza dei medici appena laureati non obietterebbe!Anche se il sistema restasse identico, pur di avere lavoro si smaschererebbero tanti obiettori poco convinti….
La proposta di Valter è condivisibile, il problema mi pare sia che se il medico una volta assunto con quelle quote dovesse cambiare idea, non lo puoi obbligare a non obiettare (il che già mi fa immaginare accordi sottobanco del tipo “io ti assumo ma tu obietti subito dopo, se no ti faccio un fondo così”). Si può solo obbligare l’ospedale ad assumere tanto personale quanto serva a mantenere la percentuale di non-obiettori in servizio, ma si può? Occorrerebbe appunto una deroga alla legge per cui la percentuale di non-obiettori va garantita almeno per consentire il turn-over.
Avrei una domanda sull’obiettore “che non si è mai opposto a una epidurale per esempio”: questo sottintende che ci sono ginecologi obiettori che si oppongono alle epidurali per IVG, dico bene? Ecco su questa razza particolarmente andrei a vedere perché sono l’indicatore più evidente del clima carcerario (come lo ha intelligentemente definito qualcuno nei commenti addietro) che si respira nei reparti di ostetricia.
In caso di conclamate patologie del feto o di rischi per la sopravvivenza della madre, (con mio sommo rammarico) io prenderei seriamente in considerazione l’idea di proibirla, l’obiezione.
@ Paolo E.: cf. l’art. 9 della 194/78.
Mi sembra molto utile, questa testimonianza – anche questa fa pensare a cose che si sottovalutano. La disinvoltura in merito a diagnosi con la contraddizione a seguire. E’ una cosa questa di cui tenere conto nel progetto a venire di cui stiamo parlando.
Scrivo qui un commento che è legato anche alla discussione precedente, ma sta meglio qui perché, grazie all’attenzione spostata sull’obiezione, le sue ragioni e i suoi abusi, oltre che su quanto non è facile scegliere di non farla, mi è possibile chiarire quale è stato finora, a mio avviso, il problema che ci ha impedito di progredire.
C’è un paradosso (e non so quanto in buona fede) nel dichiararsi pro-vita e nel difendere, contemporaneamente, percentuali di obiezione che, come è stato chiarito benissimo qui ed era già stato in parte detto, sono spesso, troppo spesso, legate a tutt’altro che a ragioni di coscienza (e la differenza di percentuali tra l’Italia e la Francia non fa altro che confermarlo). E il paradosso è che, come è abbastanza noto, il numero di aborti non diminuisce in ragione della maggiore o minore permissività della legge (o, se lo fa, ciò avviene proprio dove abortire è meno difficile, da un punto di vista legale). Quello che sicuramente diminuisce, quando la legge c’è e viene applicata, è il numero di donne che rischiano la vita e che subiscono umiliazioni e vengono ingiustamente e inaccettabilmente vessate e criminalizzate. Dopo essere state, nella maggior parte dei casi, lasciate sole di fronte alla difficoltà innegabile della loro scelta. Un caso citato spesso è quello delle due Gemanie prima dell’unificazione, dove si registrava una percentuale di aborti più o meno equivalente, a fronte di leggi molto diverse, permissiva a Est, molto restrittiva a Ovest. Con un particolare: le donne a Est facevano più figli.
Sono andata a farmi un altro po’ di ricerche, e ho scoperto che il paese occidentale nel quale si registra il tasso più basso di aborti è l’Olanda, dove la legge è, se non erro, più permissiva della 194, e dove non mi risulta che, una volta scelto di abortire, farlo sia difficoltoso e doloroso come è diventato da noi. (Sarei curiosa di sentire cosa racconta chi in Olanda vive, chiaramente).
Difendere la legge e la sua applicazione non equivale dunque a difendere l’aborto, e fa male chi cerca di confondere i piani e spostare la discussione, come è successo, su prese di posizione che in un paese laico e democratico che si rispetti sono e saranno sempre diverse. Perché se la questione è “come diminuire gli aborti”, allora per me è evidente che le donne saranno sempre in prima fila a volere trovare una soluzione. Certo, mi fa specie che chi è venuto su questo blog a difendere, dichiaratamente, la vita, ha poi spesso espresso perplessità sulla diffusione dell’educazione sessuale, perché in Olanda l’educazione sessuale è diffusa capillarmente a scuola a partire dall’ultimo anno delle elementari. Anche se nemmeno questo sembra essere l’unica ragione (anche se è giudicata fondamentale la diffusione di informazioni e soprattutto di una vera e propria cultura della pianificazione familiare), perché in altri paesi dove l’educazione sessuale è obbligatoria, come Danimarca e Svezia, le percentuali di aborti non sono basse come in Olanda. Quel che sembrerebbe esserci in più in Olanda è la possibilità di ricevere del counselling, una cultura dell’informazione che favorisce una scelta etica personale, all’interno del più grande rispetto per quella scelta, qualunque essa sia, che però viene, appunto, facilitata. Anche con una grande diffusione di corsi tenuti dai movimenti pro-vita, che sono capaci di offrire couselling a chi lo richiede, senza giudicare alcun tipo di scelta. Il segreto sembrerebbe essere la tolleranza reciproca e il rispetto dei cittadini e delle cittadine come soggetti. Quel che non ho trovato, ma penso abbia un ruolo altrettanto importante, è una correlazione con la posizione dell’Olanda nella classifica del gender gap.
E tanto per chiarire la posizione da cui scrivo, grazie a una seduta di counselling che mi ha aiutata a chiarirmi le idee per prendere una decisione, quando aspettavo la seconda figlia, a 36 anni, ho scelto di non fare l’amniocentesi, e non l’ho fatta nemmeno per la terza figlia, a 41 anni.
Concordo con Zauberei la storia di Paola da più spunti di riflessione, ad esempio se fin qui avevamo sottolineato la solitudine a cui vengono lasciate molte donne che abortiscono, le parole e lo stato d’animo di Paola ci raccontano anche la solitudine del medico non obiettore e lo stress psicologico a cui si è sottoposti.
Spero di non essere fuori tema..ma volevo condividere con Voi una storia (purtroppo vera e purtroppo non infrequente) che mi ha raccontato mia mamma quando mi ha spiegato perchè lei al referendum ha votato pro aborto.
Sono gli anni 70 e un’amica rimane incinta.
Non importa troppo se la famiglia era molto religiosa.
Non importa se il padre voleva “prendersi le sue responsabilità”.
Non importa cosa l’ha spinta a decidere di abortire.
Il fatto è che ha deciso di interrompere la gravidanza.
Si è quindi rivolta a un tale che praticava gli aborti in casa.
Quel tale che, al presentarsi di una complicazione, l’ha abbandonata su un marciapiede…sul quale è morta.
Io credo che nessuno debba morire così..e quindi è un diritto di chi decide (per qualsiasi motivo) di abortire aver garantito un medico che lo pratichi perchè se si è deciso così, l’aborto lo si farà comuque.
Gli obiettori (di oggi) non avranno anche la vita delle povere donne sulla coscienza?
@roro è che di questa nostra storia, di aborti clandestini conclusisi con la morte di una donna, storia non così lontana come sembra, si è perduta la memoria, per noncuranza, per apparente distanza o per volontà.
Basterebbe riflettere che se si da valore alla vita, allora nemmeno una donna deve morire in questo modo, poichè è una persona prima di tutto e, per evitare ciò, c’è solo l’aborto legale.
Chi vul fare un ripassino veloce di ciò che l’aborto illegale può scatenare, può vedere un film, piuttosto duro, ispirato alla storia vera vissuta dal regista ai tempi dell’università, ambientato in Romania durante la dittatura di Ceausescu. Si intitola “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni”.
L’obiezione di coscienza ha un fattore intrinseco di ipocrisia che raramente riesce a celarsi .. Il medico obiettore avrebbe tutto il mio rispetto se, coerente con le proprie convinzioni, decidesse di lavorare esclusivamente per quelle strutture sanitarie private e religiose in linea con i dettami antiabortisti. La mia migliore amica ha avuto la sfortuna di portare in grembo un bimba affetta da trisonomia 18 (incompatibile con la vita) e si è rivolta ad una struttura pubblica per l’aborto terapeutico. Le hanno chiuso la porta in faccia decine di medici obiettori.. anche in questo caso, dove stà la logica dell’obiezione? Quella sfortunata bimba non avrebbe mai potuto vivere comunque, perchè, allora abbandonare la madre? Con quale criterio i medici obiettori scelgono di salvaguardare il feto, anche quello già segnato dal destino di un errore genetico e non la madre? La risposta io temo di saperla.. e non mi piace per nulla. E’ un pò come se uno di noi volesse lavorare per l’Esercito ma contestualmente non volesse avere a che fare con le armi, richiamandosi l’obiezione di coscienza. Nell’esercito, con simili pretese, non ti fanno entrare. Negli ospedali pubblici invece si, Lo trovo ipocrita e sbagliato. Detto questo, Paolo E. fa una proposta che mi piacerebbe vedere in parlamento, sarei felice di sostenerla.
“Il medico vuole curare, magari non ci riesce sempre, ma ha quella idea quando decide di diventarlo.”
Un medico che pratica un’IVG cura! Cura una donna da uno sconvolgimento del proprio corpo che ella non è in grado di affrontare.