STRISCIANTI

“Tornò a guardare davanti a sé, ma subito fu colpito da un cartello laterale, lettere maiuscole tutte scrostate su un pezzo di compensato: ESCA PER STRISCIANTI NOTTURNI. Che diavolo sarà uno strisciante notturno? si domandò. Sembrava il nome di una specie di mostro di un filmaccio hollywoodiano.
L’inatteso ruggito del motore dell’autotreno lo costrinse a riportare lo sguardo sullo specchietto retrovisore. Buon Dio, quel tipo lo stava sorpassando di nuovo. Mann girò la testa e rivolse un’occhiataccia al leviatano mentre gli passava accanto. Cercò di vedere dentro la cabina, ma non ci riuscì perché era troppo alta. Ma insomma, che gli prende?”
E’ un frammento iniziale da “Duel” di Richard Matheson (sì, da cui il film di Spielberg, sì). L’autotreno è solo una minaccia sfumata, al momento. Quel che il lettore si chiede, insieme a Mann, è che diavolo siano gli striscianti notturni. Non un inserimento superfluo, dunque, e con ogni probabilità qualcosa che Matheson ha visto davvero.
Qualche giorno fa, sulla spiaggia di San Benedetto del Tronto, mi è capitato un piccolo episodio. Ecco, dall’ombrellone vicino una donna gridava al figlio di non toccare quello che aveva nel secchiello, perché il bambino aveva catturato “una schifosissima cosa tutta rosa” e non si sapeva cosa fosse, se un pesce o un verme e la donna urlava di non toccarlo, perché non bisogna toccare quel che non si conosce, bisogna aver paura di quel che non si conosce.
Un buon inizio per un romanzo o un racconto, vero? Sì, ma anche un ottimo indizio. Di quel che siamo oggi. Da qualche giorno, va così: non faccio che osservare gli indizi, non faccio che pensare agli indizi, per piccolissimi, futili che siano.

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