Non da oggi, ma soprattutto oggi, abbiamo un problema: e lo abbiamo, ma guarda, proprio con le parole. Quando si espongono idee diverse, scatta subito l’accusa di accanimento (o gogna, nel peggiore dei casi). Bene, quell’esposizione di idee diverse è un’arte antica, che dopo lunghi anni passati a guardare i talk show abbiamo scambiato per altro. Dal momento che, almeno fra le persone che leggo, nei confronti di Ambra Angiolini c’è stata proprio questa esposizione di idee e non un linciaggio, offro al commentarium un servizio pubblico. Ho consultato la Treccani per chiarire che differenza passa fra un termine e l’altro. Fatene buon uso (e ricordate che consultare la Treccani è gratis).
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Con il monologo di Ambra Angiolini si sostiene, in concreto, che le persone che si occupano di parole sono indifferenti ai fatti, e non si sono mai occupate di quei fatti. Il sottotesto è questo. Dunque, chi ragiona sulla lingua, da Alma Sabatini in poi, vivrebbe in un mondo tutto suo, costellato di declinazioni al femminile e di tisane alla verbena, mentre fuori le donne subiscono le “vere” discriminazioni.
E’ falso.
Chi si occupa di discriminazioni se ne occupa nell’interezza: lo sfruttamento sul lavoro, le diseguaglianze retributive, le molestie, i soffitti di cemento armato (altro che di cristallo), la mancanza di asili nido e tutto quel che DOVREBBE essere noto vanno di pari passo con il discorso linguistico. La divisione fra “professorone” e “donne del popolo” è tossica, pericolosa, ingiusta. Populista. E pronunciata dal palco del 1 maggio è ancora più grave.