Mi sembra così incredibile discutere dell’importanza delle parole oggi, 2 maggio 2023, dopo anni e anni e anni in cui si è detto un po’ ovunque che i fatti non sono possibili senza l’immaginario che ne crei il presupposto. Anni? Secoli e più. Non sono forse stati i filosofi a dire che la vera creazione avviene quando Adamo, nel giardino dell’Eden, dà i nomi ad alberi, fiori, animali?
Eppure va così.
Ricapitoliamo. Ieri, presentando il Concerto del 1 maggio, Ambra Angiolini dice:
“Avvocata, ingegnera, architetta. Tutte queste vocali in fondo alle parole sono, saranno armi di distrazione di massa? Ci fanno perdere di vista i fatti e i fatti sono che una donna su cinque non lavora dopo un figlio, che guadagna un quinto in meno di un uomo che copre la stessa posizione. Non lo diceva già la Costituzione nel 1949 che la donna doveva avere gli stessi diritti dell’uomo nell’art. 36?”.
“Che ce ne facciamo delle parole? – incalza la conduttrice – Voglio proporre uno scambio: riprendetevi le vocali in fondo alle parole, ma ridateci il 20 per cento di retribuzione. Pagate e mettete le donne in condizione di lavorare. Uguale significare essere uguale, e finisce con la e”.
Trovo il discorso orribile. Trovo il discorso biecamente populista. Trovo il discorso falso e ingiusto. Non vorrei prendermela con Angiolini ma con i suoi autori: peccato che i loro nomi non siano scritti da nessuna parte. Cari anonimi, sarebbe bello discuterne insieme, se uscirete allo scoperto.
Il motivo è semplice. Con questa affermazione si sostengono due cose, e tutte e due gravi.
Primo, le persone che si occupano di parole sono indifferenti ai fatti, e non si sono mai occupate di quei fatti. Il sottotesto è questo. Dunque, chi ragiona sulla lingua, da Alma Sabatini in poi, vivrebbe in un mondo tutto suo, costellato di declinazioni al femminile e di tisane alla verbena, mentre fuori le donne subiscono le “vere” discriminazioni.
E’ falso.
Chi si occupa di discriminazioni se ne occupa nell’interezza: lo sfruttamento sul lavoro, le diseguaglianze retributive, le molestie, i soffitti di cemento armato (altro che di cristallo), la mancanza di asili nido e tutto quel che DOVREBBE essere noto vanno di pari passo con il discorso linguistico. La divisione fra “professorone” e “donne del popolo” è tossica, pericolosa, ingiusta. Populista, ancora una volta. E pronunciata dal palco del 1 maggio è ancora più grave.
Secondo. Ci stanno ripetendo da un bel po’ che occuparsi di diritti è distraente, snob, radical chic e tutto quello che volete. Ci stanno ripetendo che perdere tempo a ragionare di immaginario è inutile.
E’ falso.
E’ esattamente il contrario. Il lavoro sull’immaginario e dunque sulle parole va di pari passo a quello fattuale. Contrapporre le due cose è non solo sbagliato ma ancora una volta tossico. Perché quello che passa è che mentre le persone soffrono, vengono emarginate, affamate (ebbene sì), svilite, esiste un consesso di privilegiate che ignora questa sofferenza. Invece, un primo passo verso un difficile ma possibile miglioramento si fa insieme.
La cosa più atroce di quel discorso è che ha creato, mi auguro per insipienza e superficialità, una ulteriore divisione. Non fosse chiaro, quel che si conquista si conquista, lo ripeto, insieme e agendo insieme sui due piani.
Se non credete a me, credete a Tom Joad. Già, Furore di John Steinbeck. Un romanzo. Che tanto ha fatto e tanto fa esattamente nel costruire un immaginario di rivolta. Con le parole, santi numi. Con le parole.
“Casy diceva che una volta era partito nel deserto, era andato per cercarvi la sua anima, e aveva scoperto che non aveva un’anima che fosse sua, ma che era solo un pezzo di un’altra anima immensa. E aveva capito che non bisogna andare a vivere nel deserto, perché il il nostro pezzo d’anima non può servire da sola, serve soltanto quando sta con gli altri pezzi dell’anima grande, e cioè quando si vive in mezzo agli altri uomini. Quando mi diceva queste cose, non mi pareva neanche di stare ad ascoltare; eppure adesso me le ricordo per filo e per segno. È perché anch’io ora ho capito che non bisogna starsene soli. Alle volte raccontava parabole della Scrittura. Me ne ricordo una, perché me l’ha ripetuta due volte. Diceva: Due è meglio che uno, perché ricavano maggior profitto dalle loro fatiche. Se uno cade, l’altro lo aiuta a rialzarsi, ma guai a chi è solo e cade, perché non c’è nessuno che lo aiuta”.
e ancora stamattina in tanti scrivevano sottoscrivo quanto detto da Ambra. C’è tanto da fare e basta poco per cancellare il già fatto
Al di là del fatto che seppur eterodiretta in passato da Boncompagni, Ambra potrebbe aver maturato ormai un pensiero suo e al di là del fatto che eventuali autori potrebbero essere “autrici” (ma ovviamente il maschile non marcato va benissimo se si deve criticare genericamente, vero?), il punto mi pare un altro. Prima delle parole ci sono le cose. Le parole arrivano dopo, descrivono le cose. Certo, le possono mettere in una determinata luce, ma restano parole e le cose e i fatti restano tali e sono questi ultimi che, con le parole che li accompagnano, hanno impatto sull’esistenza. È chiaro che entrambe le prospettive son importanti, ma è altrettanto chiaro che il discorso che si fa oggi è quello di dare alle parole un potere eccessivo che non hanno e nei proclami del “potere alle parole”, negli sproloqui del linguaggio che crea la realtà, dei fatti non parla più nessuno. Se il sottotesto di cui parla Lipperini è falso, allora si insista sui fatti, invece di continuare con la solfa delle parole e di come i fatti sono commentati, espressi, ecc.. Alma Sabatini diceva cose giuste, ma alle quali si dà un valore che non hanno. Ed è un peccato. Il discorso di Ambra reagisce a uno stucchevole modello pseudoscientifico e di moda che fa del linguaggio la battaglia principale per modificare i fatti. Eh ma non funziona così, il linguaggio non ha, da solo, tutto questo potere.
Buongiorno Giancarlo, mi chiamo Chiara. Volevo solo dirle che, secondo me, il linguaggio forse non ha da solo tutto questo potere, ma continuare ad utilizzare certe parole invece di altre solo “perché suona male” continua a dare consistenza a una certa visione del mondo. Questa non può essere certo sconfitta solo con le parole, ma l’uso di certe parole e certe desinenze finalmente la mette in luce, ne cambia la prospettiva. Aiuta a prendere coscienza di qualcosa che si è sempre dato per scontato. Diciamo che anche questa forma di “battaglia” ha la sua ragione d’essere e deve accostarsi alla battaglia per conquistare i diritti con l’attività politica in senso stretto, non si devono escludere l’una con l’altra. Buona giornata.
Buongiorno Chiara. Certo, siamo d’accordo che l’uso dei femminili professionali possa contribuire a cambiare la prospettiva e possa far ragionare su assunti dati per scontati. Il problema è che la battaglia sembra essere SOLO quella linguistica, anche perchè di fatto è la più semplice, la più gestibile da un pc o da uno smartphone, quella in cui davvero non ci si devono sporcare le mani. Credo che il senso dell’appello di Ambra fosse questo. Le battaglie non devono escludersi, ha ragione, ma la prima ha “mangiato” la seconda e questa non è una strategia efficace, a mio avviso.
La cosa che da un lato mi sconcerta ma dall’altro mi fa sperare è che ultimamente assistiamo sempre più spesso alla presa di parola pubblica di tante donne contro… se stesse. Sì, perché il discorso di Ambra Angiolini è un clamoroso autogol paragonabile a quello delle femministe che pretenderebbero di dire la loro sugli uteri propri e soprattutto altrui. In entrambi i casi ricevono applausi scroscianti che partono -guarda caso- proprio da quegli anfratti sociali più biecamente conservatori e impermeabili a qualsiasi cambiamento. I colpi che queste signore infliggono a quei diritti e a quelle lotte che le hanno portate a potersi esprimere così liberamente sono da loro ignorati, fondamentalmente. Nel peggiore dei casi sono volutamente ignorati perché queste signore sanno comunque di avere una posizione privilegiata che forse non perderanno finché campano. E pazienza per le altre.
Il grave del discorso di Angiolini è che dovrebbe sapere che lo scambio che ha declamato non accadrà mai; anzi, che proprio coloro che sostengono quelle disuguaglianze che (giustamente) denuncia, non aspettano altro che il ripristino di una cultura discriminante proprio per perpetuare e se possibile peggiorare la situazione! Altro che insignificanza del linguaggio (qualcun* ricorda come si apre la Genesi? Ecco, riflettiamoci)!!
E allora perché ho accennato a un ottimismo? Una donna che si è sempre battuta per una cultura della parità dalle mie parti, un giorno mi sibilò una frase che stentai per tanto tempo a capire e ad accettare: “Un segnale inequivocabile della riuscita del cammino verso la parità tra generi sarà l’emergere di donne mediocri, contraddittorie, furbe, cattive. Solo quando ne vedremo tante almeno quanto i loro equivalenti uomini, quando capiremo che vizi e virtù non hanno genere privilegiato e quando smetteremo di chiedere solo alle donne di essere migliori e di meritarsi i ruoli che raggiungono, allora questo cammino sarà giunto a compimento.”