Dunque, ci illudiamo di essere meno soli perché frequentiamo virtualmente molte persone. “Crederanno di muoversi e staranno fermi”, come scriveva Ray Bradbury in Fahrenheit 451. Non è così. Quelle persone, se stiamo male e lo comunichiamo, naturalmente ci manderanno messaggi di incoraggiamento. Ma saranno pochi quelli che verranno a casa tua con un pacchetto di dolci o un fascio di margherite o semplicemente con la voglia di ascoltarti.
Non è un bene, non è un male: è un fatto.
Ma sulle basi di questo fatto ecco che il confine tra reale e vituale è ormai sottilissimo, se non inesistente: se io sono tuo “amico” ho il “diritto” di sapere tutto di te.
So perfettamente che non torneremo in epoca pre-social, quando era ancora possibile tenere per sè alcune parti della propria vita o della propria morte: e, no, dire che un personaggio pubblico deve aspettarselo è una fesseria epocale. Ci si può aspettare la curiosità, ma non l’avidità di sapere tutto, minuto per minuto.
Fa male, in primis, ai vivi. A noi, se non fosse chiaro. Perché stiamo perdendo drammaticamente il contatto con le parti più importanti di noi. Quelle sacre, appunto.
Tag: Andrea Purgatori
Ventidue anni fa.
Oggi è il giorno in cui ricordiamo Carlo Giuliani.
Oggi è il giorno in cui sui social altri uomini e altre donne passeranno al setaccio le bacheche dove si parla di Genova 2001 per scrivere lo stesso commento: e l’estintore?
Siamo cambiati, però, da allora. E’ in quei tre giorni di Genova che si consuma la disillusione, che si smette di credere che le moltitudini possano sollevarsi e chiedere un mondo giusto. Giusto, non “decoroso”. Giusto per tutti, non per se stessi e la propria famiglia.
Oggi è il tempo del ricordo. L’augurio è che non sia retorico. L’augurio è che non risuonino parole di autogiustificazione da parte di chi ordinò e di chi realizzò quegli ordini. L’augurio è che serva, e servirà.
E dal momento che oggi ricordiamo Andrea Purgatori, l’invito è a guardare la puntata di Atlantide che dedicò a Genova, due anni fa.