Ventidue anni fa.
Oggi è il giorno in cui ricordiamo Carlo Giuliani.
Oggi è il giorno in cui ricordiamo Carlo Giuliani.
Oggi è il giorno in cui sui social altri uomini e altre donne passeranno al setaccio le bacheche dove si parla di Genova 2001 per scrivere lo stesso commento: e l’estintore? Al solito, ci chieederemo chi sono, perché commentano, perché sentono il bisogno di intervenire dove si esplicita, perché di questo parliamo, il dolore. Dolore proprio, dolore degli altri. L’aver visto quel che non si immaginava, non aver avuto riparazione alle ferite, non aver avuto giustizia, in ventidue anni. E loro là, mentre nelle loro bacheche postano Vasco Rossi e Campioni d’Europa, con quella sola parola: estintore.
Siamo cambiati tanto, in ventidue anni.
Siamo cambiati tanto, in ventidue anni.
In ventidue anni la storia, come avviene fatalmente, si è avvolta in spire ed è balzata in avanti ed è tornata a riavvolgersi. E questo è banale, oltre che fatidico.
In ventidue anni abbiamo scoperto, di nuovo, le parole “paura” e “guerra”. Che c’erano anche prima, ma erano coperte da altre. Forse potremmo scoprirle di nuovo, se avessimo la voglia, e la forza. Abbiamo scoperto la fragilità, ma non mi sembra che ci stia servendo, almeno ora.
In ventidue anni ci sono state le Torri gemelle e l’America sotto attacco e l’Occidente sotto attacco e dove colpiranno ora. E anche Guantanamo. E anche la “Seconda guerra del Golfo”. E Lampedusa. E i naufragi. E rimandateli a casa. E tutto quel che ci viene ripetuto e che vediamo.
In ventidue anni abbiamo avuto Wikipedia e l’iPod e l’iPad e l’iPhone e Alexa.Abbiamo avuto Facebook e Twitter, i blog e YouTube e la stampante 3D e i viaggi privati nello spazio.
In ventidue anni abbiamo avuto la mappatura del genoma umano.
In ventidue anni abbiamo avuto le foto a colori di Marte, lo tsunami nell’Oceano Indiano. Beslan. Tre papi. Il covid-19. L’Ucraina.
In ventidue anni hai visto i tuoi figli diventare prima adolescenti e poi adulti, e questo ti è passato davanti agli occhi senza che te ne accorgessi, e ancora ti chiedi come sia stato possibile, perché ancora, da qualche parte, ci sono le loro biglie e i loro Roald Dahl e, in qualche cassetto inesplorato, una maglietta o un paio di calzoncini o un diario delle elementari.
In ventidue anni, che sono un bel po’ di vita, ci sono quelli che non si sono mai presi la briga di andare a informarsi su Carlo Giuliani, e ancora razzolano per la rete dicendo che sì, se l’è cercata, e una zecca in meno. Eppure la possibilità di informarsi c’era e c’è.
In ventidue anni abbiamo scoperto, di nuovo, le parole “paura” e “guerra”. Che c’erano anche prima, ma erano coperte da altre. Forse potremmo scoprirle di nuovo, se avessimo la voglia, e la forza. Abbiamo scoperto la fragilità, ma non mi sembra che ci stia servendo, almeno ora.
In ventidue anni ci sono state le Torri gemelle e l’America sotto attacco e l’Occidente sotto attacco e dove colpiranno ora. E anche Guantanamo. E anche la “Seconda guerra del Golfo”. E Lampedusa. E i naufragi. E rimandateli a casa. E tutto quel che ci viene ripetuto e che vediamo.
In ventidue anni abbiamo avuto Wikipedia e l’iPod e l’iPad e l’iPhone e Alexa.Abbiamo avuto Facebook e Twitter, i blog e YouTube e la stampante 3D e i viaggi privati nello spazio.
In ventidue anni abbiamo avuto la mappatura del genoma umano.
In ventidue anni abbiamo avuto le foto a colori di Marte, lo tsunami nell’Oceano Indiano. Beslan. Tre papi. Il covid-19. L’Ucraina.
In ventidue anni hai visto i tuoi figli diventare prima adolescenti e poi adulti, e questo ti è passato davanti agli occhi senza che te ne accorgessi, e ancora ti chiedi come sia stato possibile, perché ancora, da qualche parte, ci sono le loro biglie e i loro Roald Dahl e, in qualche cassetto inesplorato, una maglietta o un paio di calzoncini o un diario delle elementari.
In ventidue anni, che sono un bel po’ di vita, ci sono quelli che non si sono mai presi la briga di andare a informarsi su Carlo Giuliani, e ancora razzolano per la rete dicendo che sì, se l’è cercata, e una zecca in meno. Eppure la possibilità di informarsi c’era e c’è.
Siamo cambiati, però, da allora. E’ in quei tre giorni di Genova che si consuma la disillusione, che si smette di credere che le moltitudini possano sollevarsi e chiedere un mondo giusto. Giusto, non “decoroso”. Giusto per tutti, non per se stessi e la propria famiglia. Non c’ero, a Genova, avevo portato al mare i figli bambini, e dunque non posso testimoniare che il senso di pericolo, di già visto (il 12 maggio 1977) che inquietava. La sensazione, infine, che un’onda si fosse abbassata.
Sono passati ventidue anni. Ci sono nuovi bambini che vanno al mare. Alcuni genitori di quei bambini oggi pensano che debbano crescere in un mondo senza l’immagine della povertà, e per questo plaudono quando le strade vengono ripulite e in luogo degli ultimi spuntano fiori. Quell’onda non si è alzata di nuovo. Ma forse, prima o poi, avverrà. Forse saranno gli stessi bambini cresciuti ad alzarla, uscendo dalla bolla di benessere che è stata costruita loro attorno come Siddharta uscì dal palazzo del padre, il re Suddhodana. Forse sì.
Oggi è il tempo del ricordo. L’augurio è che non sia retorico. L’augurio è che non risuonino parole di autogiustificazione da parte di chi ordinò e di chi realizzò quegli ordini. L’augurio è che serva, e servirà.
E dal momento che oggi ricordiamo Andrea Purgatori, l’invito è a guardare la puntata di Atlantide che dedicò a Genova, due anni fa. E’ qui, è La notte della democrazia
E dal momento che oggi ricordiamo Andrea Purgatori, l’invito è a guardare la puntata di Atlantide che dedicò a Genova, due anni fa. E’ qui, è La notte della democrazia