Barbara Balzerani ha attraversato una stagione di morte, ha creduto che si potesse realizzare un mondo migliore con il sangue degli altri. Ha sbagliato atrocemente, ha lungamente pagato (quant’è brutta questa parola, quando si parla di pena, quanto: pagare, pagato). Ha avuto un’altra vita fatta di libri, e di questo si parla molto poco. I titoli dei giornali e molti social insistono sul fatto che non si è mai pentita. Come se la raffica di scuse che la Chiesa offrì negli anni Novanta, chiedendo perdono a Galilei, agli eretici e persino alle streghe che aveva bruciato, riparasse uno strappo. 
La sua morte era attesa da una serie di personaggi che non vedevano l’ora di usarla.
Posso parlare perché, sì, faccio parte di quella generazione che vide il sangue versato dalle Brigate Rosse ma che in nessun momento ha accettato l’ideologia della violenza (ero radicale, ero e sono nonviolenta, prendevo botte da destra, sinistra e polizia).
Perché quando muore qualcuno dei protagonisti di quegli anni quella parola che si chiama diritto sparisce, a favore delle nostre viscere.
 Quel che interessa me è parlare di diritto, ché le viscere sono faccenda personale. Quando c’è un reato, si commina la pena. E talvolta sulla pena e su quel che significa vale la pena interrogarsi.