Fra i tanti libri che si scrivono sulle madri (incluso quello, bellissimo, di Arundhati Roy, Il mio rifugio e la mia tempesta) ce n’è uno che ho scoperto ieri, e non è ancora stato tradotto in Italia. E’ quello di Molly Jong-Fast su sua madre, Erica Jong, How to lose your mother, e racconta non solo la sua storia complicata, quella di una donna che fin da bambina è stata raccontata nei romanzi di Jong. Ma anche la demenza che ha colpito la madre nel 2023.
Ora, che io nutra un antico amore per Erica Jong è cosa nota. Ebbene sì, ho letto tutti i romanzi di Jong, e non solo perché Paura di volare ha significato moltissimo per la mia generazione, che ha scoperto che si poteva scrivere di sesso con libertà e ironia, ma perché Jong è stata (orribile usare questo è stata) una scrittrice che ha preso parola raccontandosi in una corsa selvaggia e gioiosa nel mondo che cambiava, restituendone luci e ombre. E raccontando i cambiamenti delle età: dalla giovinezza radiosa alla maternità alla menopausa fino alla vecchiaia e a quell’ultimo romanzo di dieci anni fa, Fear of Dying (‘Paura di morire’) che in Italia è diventato Donna felicemente sposata cerca uomo felicemente sposato, probabilmente perché la parola “morire” era impronunciabile.
Oggi, infine, Molly scrive di lei, perché lei, in effetti, ha difficoltà a riconoscerla, da quanto racconta. “Fingo di essere assolta, o almeno al sicuro nei miei giudizi pubblici su di lei, perché so che non potrà mai leggere quello che scrivo?”.
Arundhati Roy ha detto di aver scritto il romanzo su sua madre, Mary, solo dopo la sua morte. E quel romanzo è un gigantesco atto d’amore, e non solo di guerra. Come, da quanto capisco, quello di Molly Jong-Fast. Mi interrogo su quanto sia difficile, per chi scrive, andare a cacciare le mani nel rapporto madre-figlia. Mi interrogo, in assoluto, su quanto le storie che raccontano della famiglia, sia pure apertissima, provochino infine dolore.
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