“Per noi, in realtà, lo scrittore non è né Vestale né Ariele: è “implicato”, qualsiasi cosa faccia, segnato, compromesso, sin nel suo rifugio più appartato. E se, in certe epoche, usa la propria arte per costruire gingilli d’inanità sonora, anche questo è un segno: vuol dire che le lettere e, senza dubbio, la società sono in crisi; oppure vuol dire che le classi dirigenti lo hanno polarizzato, senza che lui lo sospettasse, verso un’attività di lusso”.
Così Sartre, nel 1945. Certo, parole di un altro secolo. Eppure in questi tempi di solitudini e di ripiegamenti, dovrebbero chiamarci ancora a riflettere su letteratura e lavoro culturale (ancora).