Non c’è bisogno di evocare Michel Foucault per dire che abbiamo un problema di visibilità, magari diverso da quello che intendeva lui. Però lo abbiamo, e ogni volta la questione della visibilità si intreccia con quella del potere.
Ecco, però dal mio piccolo osservatorio mi sembra che ci sia un ulteriore livello, o problema: ritenere che la visibilità possa essere salvezza. Faccio un esempio pratico: fra una quindicina di giorni inizia Montelago Celtic Festival, che compie vent’anni. La festa è visibile, certamente: ma lo è perché ha lavorato sul territorio e per il territorio, cercando di fornire una prospettiva diversa dal turismo mordi, fuggi, lascia soldi, ovvero la famosa trasformazione del paesaggio in “esperienza” di cui abbiamo parlato la settimana scorsa a Fahrenheit, complice questo articolo di Alessandro Calvo per l’Essenziale. Semmai, MCF ha cercato di capirlo, quel territorio, e dargli valore preservandolo, e non snaturandolo o rendendolo “visibile” secondo l’altrui aspettativa.
Invece, mi sembra che la questione della visibilità (guarda, quel determinato paese ha un sacco di like su Facebook, facciamolo anche noi; guarda, dobbiamo acchiappare turisti pure noi in questo modo) porti, d’abitudine, nella direzione sbagliata: invece, più turismo non significa necessariamente salvezza. Dipende da quale turismo. Dipende se quel tipo “disneyzzato” di turismo trasformerà i luoghi in caricature di se stessi, offrendo l’immagine del vecchio casale o dell’antico mulino esattamente come ci si immagina di trovarli in un depliant. O su Facebook, certo.
Naturalmente, in genere, vince esattamente questa versione. Experience, esperienza: come se il turismo fosse un’attrazione, il numero del Grande Danton in The Prestige, roba forte. Magari dovrebbe e potrebbe essere altro, cercando di capire come i luoghi parlino e cosa può venire da quei luoghi, invece di snaturarli.