Perché tornare alla bibliografia disarmata? Perché le cose peggiorano. Gli umori, soprattutto peggiorano. I sentimenti. Già, parlare di sentimenti pare cosa piccola, ininfluente. Ieri, sulla scia di un post di Nicola Lagioia che parlava, pensate un po’, di amore, e di smarrimento davanti all’allucinazione quotidiana che mette in prima pagina la crescente minaccia nucleare insieme alle prove libere della Ferrari e a qualche divorzio di star, abbiamo provato a discutere proprio di questo. Angoscia, sconcerto per quello che sembrava un incubo del passato e torna a incalzarci nel presente: ma soprattutto la “naturalezza” con cui lo accogliamo.
Dovremmo parlarne. Ma non di geopolitica for dummies (quella va lasciata a chi la sa fare, non ai giocatori di Risiko). Dovremmo parlare proprio di questa perdita di centro, di questa assuefazione, di quella che sembra euforia nel bollare come infami i discorsi di pace.
Non sto parlando di quello che avviene in Ucraina: sto parlando di noi, non fosse chiaro. Di come stiamo cambiando. Di come continuiamo a contrapporci. Gli amici contro gli amici, senza chiaroscuri. Stati di allucinazione, sì: ma riconosciamoli, ma fermiamoli, se siamo in tempo.
Per la cronaca. Quella che riporto nel post è la parte finale del discorso che Gabriele D’Annunzio tenne a Quarto il 5 maggio 1915. Quello che incendiò gli animi all’interventismo. Quello che costò 17 milioni di morti.