Forse sono ingenua, ma credo che quello che è successo in questi ultimi giorni potrebbe cambiare qualcosa: ma, attenzione, non sto parlando né dei giornali né dei social in quanto entità. Sto parlando di noi, delle persone, che sui social siamo e che continuiamo a obbedire a un istinto antico, che è quello di muoverci in gruppo cercando un bersaglio, e unirci post dopo tweet dopo storia Instagram per annientarlo. Storia antica, come scrisse René Girard in La violenza e il sacro e in molto altro: c’è una crisi sociale, serve un sacrificio (un linciaggio) che ristabilisca, almeno apparentemente, pace in una comunità turbata.
Conosco la reazione: io non sono così. Non è vero. Da qualche parte, dentro di noi, siamo tutte e tutti così. Solo che alcuni di noi riescono a contenere l’istinto primitivo, a lasciare le dita sollevate non con il sasso in mano ma sulla tastiera e a chiedersi “cosa sto facendo?”, e tacere, e vergognarsi anche di sé. Altri e altre no. 
Dobbiamo dunque, prima di accusare i social o i giornali o questo o quella, essere capaci di dirci che quello che vediamo ogni giorno in rete siamo noi. Nella nostra bruttezza e nella nostra bellezza, anche: ma tutta insieme. Non l’abbiamo mai vista così nel corso della storia, e non siamo, parlando in generale, capaci di muoverci in questo scenario, non ancora.
Certo che i social amplificano l’odio. Ma dobbiamo fare un passo indietro al prima, o almeno al prima relativamente recente. Dai, facciamolo.