Ma qui occorrerebbe frugare nelle biblioteche e recuperare un libro del 2009, La donna a una dimensione della filosofa inglese Nina Power. In parole molto povere, Power parlava di come la narrazione popolare avesse trasformato il femminismo in tendenza alla moda, che “crede di dover lusingare il capitale per poter vendere con maggiore efficacia il proprio prodotto”: sempre in parole povere, quel tipo di femminismo, quello del “purché sia donna”, era entrato a far parte dei meccanismi di controllo sociali, “rappresentando un ostacolo a una vera critica del lavoro, del sesso e della politica. Quello che ha le apparenze dell’emancipazione, nasconde un’ulteriore stretta della catena”, con la stessa “blandizie” di cui parlava Michel Foucault. Potere, tacchi a spillo, privilegi, ricchezza, vite performanti, avventure notturne, tailleur firmati, divertimento forzato, ansia da prestazione. Sex and the City, certo: un mondo dove le donne sarebbero potenti come gli uomini perché in grado di licenziare un subordinato con lo stesso cinismo, di usare una carta Amex nera e di consumare sesso in una maniera considerata maschile. Non si parlava di scelte individuali, o indotte da una determinata condizione sociale (essere molto ricche a Manhattan): ma di identificazione in un genere sessuale. Una donna che agisce come un uomo.
E’ quel momento dell’anno in cui il blog si congeda: sarò nelle Marche da stasera agli inizi di settembre, mi affaccerò sui social ma non qui. Vi lascio con l’articolo che ho scritto per L’Espresso ai primi di luglio, per meditarci un po’ insieme. Abbiate un’estate felice, o voi del commentarium.