TENTATIVO

Cosa non va nell’ennesima ricerca che dimostra come i bambini che frequentano gli asili nido sono migliori degli altri? Il fatto che in Italia gli asili nido medesimi siano pochissimi, direte voi: con piena ragione.
C’è un’altra motivazione, più sottile, scivolosa e rischiosa da affrontare: ovvero, l’accento è ancora una volta sul bambino. Che sia perfetto, che abbia il meglio, che sia il venturo Messia. I genitori, e le madri soprattutto, stiano un passo indietro e si dedichino solo al piccolo miracolo.
Pericoloso. Per il bambino, oltre che per le madri e i padri.
Strano paese, il nostro: dove si punta il dito sulle deputate in gravidanza (in alcuni casi a rischio) perché la loro presenza è in forse nella giornata di domani. Dunque, la gravidanza è una seccatura, o un problema, in alcuni casi.
Strano paese, il nostro: dove, di contro, la gravidanza torna ad essere indicata come lo stato perfetto, lo stato che è insieme “di natura” e “divino”, unico a poter davvero essere associato al femminile. Le donne non sono “biologicamente” costruite per poter fare lavori maschili, sosteneva – in sintesi – il medico con cui ho condiviso il talk televisivo di venerdì sera.
Strano paese, il nostro: dove la maternità è fortissimamente idealizzata, anche non volendo. Leggere, con attenzione, questo thread.

57 pensieri su “TENTATIVO

  1. Io per esempio che desidero moltissimissimo il nido e non ce l’ho, non sono affatto sicura – che il bimbo del nido sia migliore di quello senza nido. Credo che risponda a una necessità – ma per esempio se faccio un altro figlio al nido non ci penso prima che cammini – tanto vero pure se ce pensavo non cambiava molto. Il nido ha qualcosa di isomorfico con la società contemporanea, risponde in piccolo alla qualità dei rapporti che si crea in grande: per questo alle ricerche il bimbo nidico piace tanto – per un isomorfismo ideologico. Il che non vuol dire neanche che faccia male – faccio solo caso al criterio di valore che forse è stato utilizzato nel decodificare i dati della ricerca – e nella loro stessa implementazione. Fermo restando un sano dubbio metodico su da chi e come vengono divulgate queste ricerche, che spesso quando esordiscono se sono serie hanno dati molto meno smaglianti. I ricercatori seri hanno difficoltà ha trarre conclusioni definitive.
    Forse però c’è del buono. Il materno è idealizzato – ma la responsabilità del materno è al momento un intreccio tra visceralità e induzione culturale – non le parli se la neghi. Invece se dici: guarda che sei responsabile pure se mandi il figlio al nido – sei maternalmente efficiente anche se non sei solo madre – forse arriva di più. Insomma con tanti dubbi – queste ricerche hanno una loro funzionalità progressista.

  2. Mettere l’accento sul bambino è una delle grandi conquiste pedagogiche degli ultimi decenni. E non lo si fa – è il mio lavoro, per inciso – per farlo diventare “il meglio” (o il “Messia”!), ma affinché sia messo in condizione «di crescere come soggetto attivo, libero, autonomo, competente e creativo, partecipe del contesto sociale di appartenenza». E ciò perché, come dimostrano gli studi di settore, il bambino è fin dalla nascita un soggetto attivo e competente. Tra l’altro, se un asilo è condotto secondo questa idea della “centralità del bambino” (ma ormai lo sono tutti, da tempo; fortunatamente i nidi non sono più un “parcheggio sociale”), tra l’altro, dicevo, le famiglie sono direttamente coinvolte nella gestione. Che poi, in generale, debbano fare un “passo indietro”: meno male!, visto lo stato disastrato delle relazioni familiari.
    La ricerca, inoltre, testimonia di una realtà che chiunque, anche solo da genitore, può toccare con mano ogni giorno: i bimbi che frequentano il nido crescono meglio (che non vuol dire che siamo “migliori”, ma semplicemente che hanno più opportunità di crescere).
    Fabio A.

  3. io al nido non andai e quasi manco all’asilo perché mi opponevo con tutte le mie forze puerili, davo di matto, molto la spuntavo… alla scuola invece dovetti andarci e rimanerci tanto tanto per anno e anno, ribellantomi, certi, ma sempre sul banco, della serie se sei qui fai così, fiat voluntas tua.
    premetto che io sono per descolarizzare la società criminogena, e lo dico anche alla Loredana: descolarizziamo la società. Però pare dican i pedagogici che il nido, l’asilo, sono importanti per socializzare, sennò ti senti un gradino di meno, specio se hai fatto la primina, che allora son tutti più alti di te. ognuno dice na cosa, poi le mettiamo insieme. poi a fine anno si fanno i conti, l’incubo scolastico è iniziato, già

  4. Attenzione, Fabio. Una cosa è mettere il bambino nelle condizioni giuste per poter essere una bella persona. Una cosa è fare della centralità un’ossessione.
    E senza relazioni familiari salde, nessun bambino diventa una bella persona.
    (avevo detto che il discorso era pericoloso, no?)

  5. Argomento spinoso e interessante. Siccome il nido in Italia è ambitissimo, ovvio che lo vediamo solo in positivo. Quanto alla centralità del bambino, io vedo in giro tanta ansia da prestazione: le mamme degli altri bambini coetanei del mio stanno già raccogliendo informazioni per la scuola materna migliore (ah, dell’infanzia si dice adesso!), perché non sia mai che il loro erede incappi invece in una scuola un po’ meno ottima!
    ElenaElle

  6. I miei figli sono stati all’asilo, non al nido (c’erano i nonni e per la più tenera età abbiamo preferito questa soluzione, potendo), non ho elementi per dire se il bambino al nido cresce meglio o peggio, ma certo in fase di socializzazione preferisco l’asilo alle gioie della “nonnità”.
    Quello che mi pare più delicato è l’idealismo della gravidanza. Per quanto mi riguarda considero da sempre idiota chi vorrebbe confinare le donne alla riproduzione e riservare ai maschi la professione. Per me l’idealismo da difendere è quello di una coppia che consideri i figli come una finalità naturale, sociale e spirituale, dividendosi equamente gli onori e gli oneri che la cosa comporta. Questo, non lo nascondo, implica un giudizio negativo su una società di singles o su quell’egoismo a due rappresentato dalla coppia fine a se stessa. Negativo perchè indice di un’incompiutezza che, quando non è subita, rivela un’involuzione psicologica.

  7. Scusa Loredana, ma chi fa della centralità un’ossessione? Quella centralità è una realtà e, insieme, un’esigenza. Una realtà perché, anche soltanto dal punto di vista oggettivo, nel nido le relazioni non possono che essere fondate sul bambino (e sul gruppo); un’esigenza perché solo così si può organizzare una giornata educativa che sia in grado di “stimolarlo”. E tieni anche conto che, nel nido, tutti i bambini hanno le stesse opportunità di crescita, anche quello che vive una situazione di merda in famiglia. Certo che poi questa situazione incide; ma non mi sembrava questo l’argomento.
    Rispetto alla qualità dei nidi: attenzione, i nostri nidi PUBBLICI sono tra i migliori al mondo; diverso il discorso per quelli convenzionati e, ancora peggio, per quelli privati (i baby parking citati dalla ricerca, e non solo). In questi va molto a “fortuna”: se ti va bene, trovi un’équipe di educatrici all’altezza … Quelli pubblici possono garantire poco turn-over delle educatrici, una loro migliore formazione, oltre che strutture di solito più adatte … Il discorso da fare sarebbe quello della continua “esternalizzazione” (molti Comuni mettono gli asili in gara d’appalto, per risparmiare), che alla lunga non può che impoverire il servizio …
    Sull’ansia di prestazione: riguarda le famiglie, non il nido.
    Fabio A.

  8. Fabio a. io sono molto d’accordo su tante cose che dici. Ma credo che nella prospettiva di Loredana si faccia caso alla funzione che certi dati assumono nel dibattito culturale al modo in cui sono immessi nel discorso. Io non sono convinta – e di mestiere sono psicologa – che a un bambino faccia benissimo essere in un nido prima che cammini. Camminare per me è un discrimine sensibile. Ma ora non ho il tempo di sviscerare la questione. So per certo comunque che in assenza di rete sociale e di equa divisione dei ruoli una madre sgravata da una parte di ore di accudimento è una madre accessibile emotivamente ed efficace genitorialmente. Credo che questo possa incidere molto nella qualità della vita di tutti quelli iscritti nel nucleo familiare. Per me aumenta quando anche i padri sono maggiormente resposanbilizzati e coinvolti. E credo che si vada seppur lentamente in questa direzione.
    In ogni caso la domanda dietro questo post è – cosa c’è dietro la pubblicizzazione di questa ricerca? Dove va a parare? Che retroterra ideologico c’è? Le conclusioni possono essere diverse da quelle che Loredana adombra – io pure in parte dissento – ma la domanda, in un paese che quando parla di figli pensa ancora alla Madonna, è legittima.

  9. lipperini
    senza polemica, o solo poco, che vuol dire per lei ‘una bella persona’?
    per me, a dirla, un bambino non diventa mai una bella persona, per il fatto che non è più un bambino.

  10. Discorso pericoloso ma interessante. Lavorando a scuola da tanti anni come educatrice mi sono potuta rendere conto perfettamente di come vanno realmente le cose. Ovvio che non si può e non si deve generalizzare ma lo scenario è davvero inquietante. Almeno da me. Vado per punti:
    1) i genitori appoggiano i figli sempre e comunque anche davanti a brutte evidenze
    2) le bambine sono più stressate dei maschietti nell’apparire, fanno a gare di sfilate e le mamme appoggiano questo sistema in un modo o nell’altro.
    3) difficilmente riescono a rendersi autonomi, a 10 anni portano ancora le scarpe con chiusura in velcro e se hanno le scarpe con i lacci le portano slacciate dicendo che è di moda
    4) arrivano a scuola con carte e gadget vari all’ordine del giorno e per il materiale scolastico non hanno mai risorse. Se chiedi ai genitori ti rispondono che per la scuola si spende troppo.
    5) dalla materna arrivano che secondo i genitori sanno già leggere e scrivere e magari lo sanno fare realmente ma poi sono scarsi su quelli che sono i principi generali di convivenza e rispetto.
    6) Appena sorge un problema in classe questi genitori non parlano con le maestre vanno direttamente al tribunale dei minori.
    7) Se si presentano emergenze educative con bambini con forte disagio e aggressività, nel 80% dei casi la colpa è all’interno del gruppo classe e mai nella famiglia di provenienza. Se ti permetti di ribattere che il bambino arriva in classe già alle 8:30 incazzato con il mondo intero sei una maestra di merda che non sa riconoscere la radice del problema.
    Potrei andare avanti all’infinito, certo messa così potrebbe sembrare che non c’è niente di buono da salvare, invece chi lavora con i bambini sa benissimo quante sono le cose belle di questo mestiere. La difficoltà nasce da quello che elenaElle chiama ansia da prestazionne. PEr i genitori che si sentono sempre accusati e per il team educativo che deve sempre mettersi in evidenza per farsi ascoltare.
    Per quanto riguarda invece la maternità voglio raccontare questa storia:
    Una donna di 32 anni un giorno va dal ginecologo per una visita generale, questo con fare molto tranquillo le chiede se ha in cantiere un bambino. La donna risponde che al momento non ci pensa neanche. Troppe cose da sistemare il lavoro quello dei sogni eh raggiunto con la fatica e il sudore, la casa etc, etc. il ginecologo risponde che non sempre poi i bambini arrivano quando uno decide di averli e che 32 anni è l’età migliore, non bisogna aspettare. I genitori troppo vecchi poi non sanno fare bene i genitori. Ansia. Sudore a freddo. La donna esce dall’ambulatorio con un senso di frustrazione incredibile, domande che affollano la mente. Terrore di star perdendo un grande treno per rincorrere che cosa? La triste realtà che alla fine nonostante le fatiche la donna è sempre donna e come tale deve procreare. Solo procreare. La donna si ricorda che da bambina in effetti diceva sempre che sarebbe voluta nascer con il pisellino. E ora che ha incubi notturni perchè si sente tra la brace e la padella, lo sogna e invidia gli uomini perchè non hanno una data di scadenza.

  11. Sono completamente d’accordo con loredana. L’ossessione della centralità – del bambino o dell’adulto, a seconda – la lascerei perdere. Punterei sul gioco di squadra, adulto-bambino, come sempre. Nessuno al centro, nessun martire, nessuno che si sacrifica, per carità.

  12. @Domusorea
    Interessante commento, davvero molto stimolante!
    Quanto a quella che io definivo come ansia di prestazione, beh nel mio piccolo lascio correre tutti i motivi (piccoli) di scontro con le maestre. Quando mio figlio è al nido io delego a loro il compito educativo, quindi non mi sento di giudicarle negativamente. Non sopporto le mamme tuttologhe che vogliono sempre e comunque dire la loro sulle maestre di ogni ordine e grado!

  13. mi piace molto la questione dell’isomorfismo ideologico. il modo in cui possiamo definire il problema senza prestar troppi piedi è dare la colpa alla ‘società della prestazione’.
    Certo che è giusto che i bambini, ogni bambin@, sia UN (e non al) centro, ma il bambino: non l’idealità che i genitori proiettano sul bambino, o il consumatore inscritto nel bambino dalla pubblicità, e forse neanche il cittadino che la società civile auspica. La vita non è un concorso!

  14. Per mia fortuna quando ho avuto mia figlia i nidi comunali funzionavano, qui da noi, senza liste d’attesa improponibili.
    L’ho iscritta prima che nascesse. L’ho inserita all’eta’ di sei mesi, quando ancora ero a casa dal lavoro, lottando per affrontare biasimo e contrarieta’ dei nonni e del pediatra, che a ogni minimo raffreddorino non esitavano a rinfacciarmi la mia scelta snaturata.
    Per il pediatra ho risolto cambiandolo, per i nonni, ovviamente, non potevo.
    Nel giro di poco tempo, pero’, alla prova dei fatti loro stessi sono diventati i piu’ accaniti sostenitori del nido.
    Mia figlia, unica e con tanti parenti e con una certa tendenza al protagonismo, rischiava di diventare una insopportabile viziata.
    Invece, e’ cresciuta serena, equilibrata, bene inserita fra i coetanei, precocemente indipendente, abituata a farsi le sue ragioni senza soccombere ne’ prevaricare, resistente alle malattie, senza drammi affettivi.
    E soprattutto, si e’ divertita davvero tanto.
    Puo’ essere benissimo, come effetto collaterale, che abbia ricevuto piu’ stimoli e quindi si sia trovata avvantaggiata nello studio. Ma non ne faccio una questione di competitivita’ .
    Non le ho mai fatto pressioni, mai chiesto di essere perfetta, ne’ a scuola, ne’ nello sport, ne’ in altre attivita’.
    La vorrei solo responsabile, in possesso di un bagaglio di valori che oggi sembrano scarseggiare, capace di ragionare con la sua testa e di avere un certo orgoglio e dignita’ di persona, affettivamente equilibrata. E il piu’ possibile appagata e felice.
    Al momento (ha ventun’anni) continuo ad essere molto contenta della mia scelta e della persona che e’ diventata, continuo a pensare che in generale sia assolutamente preferibile rispetto all’affidare il bambino ai nonni, sotto tutti i punti di vista, e naturalmente, se tornassi indietro, ripeterei l’esperienza tal quale.

  15. “Se ti permetti di ribattere che il bambino arriva in classe già alle 8:30 incazzato con il mondo intero sei una maestra di merda che non sa riconoscere la radice del problema.”
    E per quale ragione una bambina/o che già a pochi mesi dalla nascita subisce la “reclusione” in una struttura, dove gli vengono imposti tempi e modi non dovrebbe essere incazzata/o con il mondo intero? (Se poi consideriamo che questa reclusione, in forme diverse, dura tutta la vita peggio mi sento). Non è una questione di maestra di merda o di mamma/papà cattivi: per come è organizzata la nostra società non ci sono scelte, o si è mamme sacrificali o si sceglie il nido. Così i genitori possono essere internati dentro un ufficio e i figli dentro le scuole.
    Siamo proprio sicuri che questo modello sia il migliore possibile (anche per noi adulti)?

  16. vista. una mezz’ora piacevole. sul punto citato io ascoltando il medico ho tratto conclusioni diverse. Lui parlava di una condizione naturale della donna, che “ha resistenze maggiori allo stress” ( cita un ormone, è un terreno su cui non posso inoltrarmi” ). Questo “vantaggio” viene ridotto o annullato ( ma il medico dice “potrebbe” ) solo in altri contesti che non sono quelli per cui il corpo è già predisposto. La confusione per me si genera quando si parla di ruoli; non è che la donna abbia il ruolo di madre, è che solo lei può partorire, in questo caso è l’unico specifico che la riguarda. Infatti secondo me sbaglia Bignardi a chiedere “quali sono i ruoli femminili?”. Dunque non sovraccaricarle di fatiche.

  17. ho appena terminato di leggere un libro sulla sincronicità ,con cui è stato facile trovarsi d’accordo,che spiega quanto statisticamente sia facile farsi beffe delle aspettative in campo educativo quando ci si pone un obbiettivo che non lascia spazio alla coltivazione del dubbio(W. Allen sullo stesso tema fece un film,non tra i suoi più riusciti,La dea dell’amore).E più in generale,per dirla magari col mio amico C.,”non c’è storia:chi si fa arbitro in materia di conoscenza,è destinato a naufragare nella risata degli Dei”.Salut
    http://gabbyattic.com/music/big%20yellow%20taxi.mp3

  18. Le donne sono viste come sacre vestali e quando sono in gravidanza hanno il potere di avere tutt’intorno aiuti e consensi maschili che trentanni fa te li scordavi, come se avessero perso la propria individualità.
    Quindi un’enfasi pazzesca su un evento del tutto naturale. Questa enfasi nasconde, però, da un po’ di tempo a questa parte un sentimento infido: il disprezzo. Hai avuto la fortuna di essere diventata madre, non ci devi rompere, non ci devi fare richieste, non devi fare alcuni lavori, dovresti anche tacere. La gravidanza come pretesto per ridurre le donne a mere riproduttrici sociali. Gli uomini si baloccano con donne incinte diventate bambole di pezza e questo accade a quelle ragazze che hanno pensato ad un figlio per trovare tenerezza da un partner che che le marchia del suo possesso. A parte le classi alte, le donne che provengono da ceti operai e piccola borghesia ritornano a fare le mogli, magari con un contratto a tempo, cui non danno più importanza. La donna spezzata. La moglie solo la moglie.

  19. La centralità del bambino deve fare i conti con alcuni scopi cruciali dell’educazione. I genitori, fra l’altro, devono preparare il bambino ad affrontare un mondo in cui non sarà più il centro. D.

  20. il medico che avevi di fronte alle Invasioni Barbariche sosteneva che alle donne fa male lo stress lavorativo, mentre lo stress da accudimento no. Bella teoria. Io senza alcuna base scientifica ho sempre pensato il contrario: che stressandomi al lavoro, riesco a relativizzare i problemi con i figli. C’è sempre qualcuno che sulla base di un ipotetico ritorno alla natura, cerca di ricacciarci indietro, a casa, con il grembiule e il battipanni.

  21. @elenaelle: le mamme tuttologhe se intervengono in modo positivo possono fare belle cose ma se sono direzionate solo all’interesse/ protezione del figlio allora in quel caso dio ci salvi. Non per le mamme in questione ma per i bambini che poi crescendo si troveranno a fare i conti con un mondo davvero molto difficile. Questo forse è lo scopo educativo più importante dove le famiglie e la scuola dovrebbero collaborare. Fornirli di strumenti adeguati che li possano rendere sicuri al di fuori di qualsiasi contesto. La scuola da piccoli, il lavoro da grandi per rispondere ad Alessandra, che ne parlava in termini di reclusione, è vero in taluni casi possono diventare delle gabbie pesantissime ma c’è la possibilità di rompere questi schemi. Di scegliere quello che meglio si modella al nostro essere. Il problema maggiore è trovare quella scintilla per aprire un varco tra tutti i muri che gli vengono costruiti intorno dalle paure, costanti paure nelle quali questi poveri genitori sono lasciati soli. Vedo bambini talmente immobili che fanno paura, vengono poco abituati allo scambio, al dialogo e quando si trovano di fronte a qualcosa che non conoscono passano oltre oppure girano e rigirano sulla strada che gli hanno preparato.
    Riguardo al tema “Ancora dalla parte delle bambine”
    1) Qualche giorno fa un bambino di 7 anni alla maestra in un momento di tranquillità e chiacchere in classe: sai maestra vado al MotorShow con mio padre perchè ci sono belle fighe. Bravo! e da chi l’hai sentita questa parola? non si dice lo bacchetta la maestra.
    Il bambino spazientito: maestra ma è vero me lo ha detto il papà che ci è stato anche l’anno scorso.
    Riflessione: fare attenzione ai termini che si usano in base al sesso, ascoltando i bambini escono fuori delle perle.
    2) Ore 7:40 bambino di 7 anni in lacrime davanti all’aula del pre-orario scolastico, non vuole entrare piange e non si stacca dalla gamba del papà. Questo prima lo accarezza, poi lo invoglia ad entrare mentre intorno a loro si crea il silenzio. Due educatrici cercano di convincere il bambino, il papà seccato lo stacca e allontanandolo gli dice: non fare come le bambinette, non frignare. La classe del pre naturalmente è gremita di bambine.
    Riflessione: ripeto, fare attenzione alle parole che si usano in base al sesso.

  22. Mi preme sottolineare il rischio di un cortocircuito, dovuto alla strumentalizzazione della ricerca psicologica ai fini del discorso culturale.
    Un conto è la centralità del bambino in psicologia, un conto è la santificazione che ne fa una cultura dove non si fanno più bambini per cui i piccoli diventano il totem della gioventù perduta. Ma la psicologia non può fare a meno di assumere il bambino come centrale – per una necessità scientifica: prima si pensava al bambino come un adulto in piccolo, si aveva un bambino psicoanalitico ricostruito dai ricordi degli adulti, e questo bambino era falso: con un bambino falso si fanno diagnosi false, prognosi false, false pedagogie e carrellate di cazzate che ora non ci ricordiamo più ma si facevano. Il problema è il tono di voce con cui si usa la ricerca e ci si rivolge ai genitori – ma la resposanbilizzazione verso l’infanzia è una gran cosa.
    Certo è che ora nasce una patologia simmetrica e contraria – che è la tirannia dell’infanzia: genitori che non sanno allearsi con gli insegnanti davanti a un figlio maleducato svogliato etc: questo però non so bene in che misura sia collegato alla questione nido. Un po’ – ma in maniera decisamente inferiore rispetto alla questione scuola elementare e media – anche per lo sviluppo cognitivo dei piccoli a quell’età.

  23. Io sono scettica sull’asilo per un semplice motivo: sento troppo spesso le canzoni che si fanno cantare all’asilo o le storie che si raccontano o le cose che dicono ai bambini. Le maestre sono le prime a volte a veicolare il sessismo e le discriminazioni di genere…

  24. PS A sei mesi il bambino dovrebbe cominciare a essere svezzato… come si fa a metterlo in un nido? Mi rendo conto che non tutte possono permettersi di stare a casa, però credo anche che bisognerebbe lottare per ottenere lavori part-time o che permettano cmq di continuare a occuparsi del proprio bambino… A 6 mesi ha ancora bisogno della mamma.

  25. A sei mesi io portavo sulle spalle (con lo zaino-seggiolino) mia figlia Laura al nido. Dato che quel simpaticone del mio ex sindaco aveva creato le macrozone avevamo trovato posto in un asilo pubblico a 4 fermate metropolitane. Così ogni mattina si viaggiava insieme ai pendolari e lavoratori.
    (con Sara, la seconda, trovammo posto in un nido pubblico più vicino, fortunatamente. Con lei mi bastava il passeggino.)
    Le mie figlie, non hanno mai sofferto di abbandono, non sono diventate due serial killer, hanno un sacco di amichetti e io e mia moglie siamo felicissimi di aver fatto questa scelta.

  26. Sono diventata un’assidua lettrice di http://congedoparentale.blogspot.com/ e credo che la Svezia sia l’esempio di come possa esistere una terza via alle due canoniche: asilo-nido, famiglia (che poi in Italia significa madre o nonni).
    Riporto direttamente dal blog:
    “Stamattina, dopo aver lasciato Eleonora all’asilo, io e Sofia siamo andati al cosidetto “asilo aperto”. È un asilo gestito dal comune dove ogni genitore rimane con i propri bimbi, aperto a tutti, basta presentarsi alle 9 del mattino. Il comune ci mette i locali e due responsabili delle attività. L’infrastruttura è molto pulita, tantissimi libri e giocattoli, una bella cucina ed un locale “fasciatoio” dove i genitori fanno a gara a chi cambia il pannolino più velocemente. Secondo me fra poco si creeranno categorie tipo “freestyle”, cambio con una mano sola e cambio ad occhi bendati. (5 ottobre 2010)”
    Perché dover scegliere fra asilo e genitore? Teniamoli entrambi. C’è un modello alternativo interessante che dà al bambino sia un ambiente in cui socializzare e imparare ad essere autonomo, sia l’affetto e la vicinanza del genitore; viceversa il padre e la madre avendo entrambi il congedo parentale possono a loro volta godersi il bimbo evitare lo stress da conciliazione impossibile dei tempi per lavoro e prole. In questo modo diventa centrale la genitorialità stessa non solo il suo frutto. Ottimale no?
    Ah in Svezia il 50% del costo della baby sitter è deducibile dalle tasse.
    Qui sono utopia i nidi figuriamoci gli asili nido aperti e i congedi parentali, ma se proprio devo sognare meglio farlo in grande.
    P.S. Massimo Lolli a Le invasioni barbariche sosteneva che sarebbe un bene poter sfruttare la capacità di multitasking delle neo-mamme che addestrate dal pargolo a seguire tremila cose si rivelano eccezionali anche sul lavoro. Confesso che mi ha fatto rabbia… Molta rabbia e non solo per questa sparata, ma anche per le altre perle, ormai “l’uomo in mutandoni” è il mio incubo!
    Un saluto a tutti

  27. Precisazione:
    quando si parla di “centralità del bambino” nel nido si intende una cosa molto semplice: un nido è fatto di attività (educative e ludiche, ma anche il pasto, l’igiene, il sonno); mettere il bambino al “centro” vuol dire, ad esempio, che la scansione oraria di queste attività segue i ritmi biologici e le “inclinazioni” del bimbo; oppure vuol dire che la metodologia dell’équipe educativa si basa sui gradi di sviluppo dell’età infantile. Niente di trascendentale, quindi. E niente di pericoloso o di ossessivo. Possiamo discutere se ha senso inserire un bimbo al nido prima dei 12 mesi (anche se, a rigore, gli studi di settore dimostrano inequivocabilmente che non ci sono controindicazioni: il distacco può essere gestito, anche con la sinergia tra educatrici e genitori; sullo “svezzamento”: per l’inserimento al nido è norma chiedere che il bimbo sia gia svezzato); dubito però che sia sensato non considerare positivamente gli esiti della ricerca linkata. I quali esiti non dovrebbero far paura, anzi: considerare i bambini SOGGETTI autonomi e aperti è una conquista di civiltà, e questo è proprio uno dei grandi meriti della pedagogia basata sulla “centralità” (tralascio i commenti relativi al “gioco di squadra” tra adulti e bambini: riferito a bambini in età compresa tra i 0 e i 3 anni fanno ridere). I bambini che frequentano il nido acquisiscono autonomia e apertura mentale molto meglio che non i loro omologhi che stanno a casa con un genitore o con i nonni. Su ciò sarebbe opportuno non basarsi sulle proprie “impressioni”, quanto piuttosto sulla “storia” e sulle realtà di fatto. Quella ricerca, in fondo, non fa che confermare cose che si sanno da tempo: i bambini hanno più opportunità di sviluppo uscendo dalle mura ristrette della famiglia. Anche questa non è un’ossessione. È il frutto d’una buona prassi. Tra l’altro, a me sembra una conquista di non poco conto quella di permettere alle madri di uscire dal vincolo con i figli a favore del proprio lavoro e del proprio tempo. Gli asili hanno anche questa funzione, non dimentichiamolo. Solo che, come ho già detto, mentre un tempo erano mero “parcheggio”, ora sono diventati qualcosa di diverso e di più rispettoso della “natura” dei bimbi stessi.
    Ha ragione Biondillo: nidi e scuole materne. Aggiungo: per tutti. Non dimentichiamoci che oggi, in Italia, il nido è ancora considerato un “privilegio” (e difatti le rette sono altissime).
    Fabio A.

  28. @ Lucia
    i nidi aperti e i concedi parentali (fino agli otto anni!) esistono anche da noi. Perché cercare sempre da altre parti? Nella ricerca si parla del nido della Ferrero: i “nidi aziendali” (realizzati all’interno di grandi aziende) funzionano così, ovvero i genitori possono entrare quando ritengono opportuno farlo, partecipando ad alcuni momenti della giornata; ma esistono anche altri servizi “aperti” per genitori e figli insieme (Legge 285, parecchie Leggi regionali). E tieni conto che non tutti i genitori possono frequentare nidi aperti: se lavorano, come potrebbero?
    Ribadisco che i nostri asili nido non hanno pari al mondo. Esaltiamo ciò che abbiamo in casa e puntiamo, piuttosto, alla loro estensione nei territori.
    Fabio

  29. Fabio. Esistono anche da noi. Quanti? Quanti nidi aziendali raffrontati a quelli esistenti negli altri paesi?
    Al di là della difesa del proprio settore, ci sono cifre che dicono che per moltissime donne italiane il nido è un sogno impossibile.
    Secondo. Il congedo parentale esiste, certo. E’ richiesto da una percentuale minima di padri.
    In Svezia (sì, guardiamo agli altri paesi) il congedo parentale è obbligatorio anche per i padri. Al novanta per cento dello stipendio.

  30. @Fabio: Perché dobbiamo dire che i nostri asili non hanno pari al mondo e difendere a oltranza un modello invece di provare a pensare che lo si potrebbe integrare con altro?
    Sono contenta che esistano le realtà di cui mi parla, in primis perché personalmente non ne conosco di analoghe e mi conforta quanto scrive, ma numericamente quante sono queste “oasi felici”?
    Per rispondere alla sua domanda “E tieni conto che non tutti i genitori possono frequentare nidi aperti: se lavorano, come potrebbero?” Potrebbero se avessero entrambi il congedo parentale, retribuito con almeno l’80% dello stipendio garantito dallo stato, sempre per tornare al modello svedese.
    Poi non sono un esperta e mi baso su quanto letto qui.
    http://congedoparentale.blogspot.com/2010/10/faccio-laccento-svedese.html
    Ripeto a me sembra una gran bella opportunità sia per il genitore sia per il bimbo, poi non sono un’esperta vero, ma almeno un’idea potrò averla, no?

  31. @ Loredana (e Lucia)
    io ho scritto, infatti, della necessità di estendere ciò che esiste e che è di qualità elevata. Sono il primo che dice che l’esistente va migliorato. Allo stesso tempo, però, ritengo che non abbia senso fare paragoni con la Svezia (o con qualsiasi altro paese) perché è tutto l’impianto del welfare che è diverso. È come paragonare – mi si permetta l’ironia – King a Faletti. Gli asili aziendali esistono da pochi anni; vedrete come, in poco tempo, diverranno pratica comune (ci sono già le linee di tendenza). Così come gli altri servizi “innovativi” genitori-figli. Il problema a monte è la società italiana: se il nido è “un sogno impossibile” (ma l’avevo scritto anch’io) è perché l’ambito politico – qui senza sostanziali differenze tra destra e sinistra – ha scelto la strada del “risparmio” anziché quella della “qualità” (con la sinistra, nelle amministrazioni locali, sono aumentate a dismisura, da una parte, le rette, dall’altra le esternalizzazioni alle cooperative, con l’aggiunta dei finanziamenti agli asili gestiti da enti religiosi; con la destra idem con patate). Sul congedo parentale: se pochi padri lo chiedono di chi è la colpa?
    Fabio A.

  32. Fabio, non ci capiamo. Mi sembra che tu stia difendendo semplicemente il tuo lavoro o la qualità di “alcuni” nidi (non mi sento di generalizzare perchè ragiono sui dati, e al momento non ne ho per quanto riguardano la qualità di tutto il paese, e non solo dei nidi di alcune regioni eccellenti). Nessuno contesta che ci siano dei picchi. Ma non si può continuare a guardare alle proprie quattro pareti e non alla situazione tutta.
    E, per favore, basta con la faccenda che il modello svedese non è esportabile: non è questione di colpe, non fingiamo di non capire. Congedo parentale obbligatorio a retribuzione massima. Questo è il modello a cui aspira l’Unione Europea, questa – per gli esperti di Welfare, non avventori del bar sport – è l’unica soluzione anche per incentivare l’occupazione femminile.
    Inoltre, se mi è permesso, questa dovrebbe essere una conquista per gli uomini: i padri svedesi hanno rivendicato di non voler essere più valutati solo come lavoratori, ma come esseri umani completi. Dunque, come padri.
    Ps. http://www.corriere.it/cronache/10_dicembre_14/mamme-precarie-travaglio-vanguard-current_ad6ec6cc-0771-11e0-a25e-00144f02aabc.shtml

  33. Il problema è che qui in Italia semplicemente noi non abbiamo scelta: la parola famiglia serve solo a riempire la bocca del politico di turno.
    Ho la fortuna di aver ottenuto il posto al nido per mio figlio. Il nido (comunale) sta chiuso per Natale dal 23 dicembre al 9 gennaio. Per Pasqua una settimana. Dal 1 luglio al 20 settembre non esiste nemmeno l’idea di tenerli aperti i nidi (in totale si tratta di 14 SETTIMANE all’anno!!!).
    Cosa ne consegue? Che si arruolano nonne settantenni, si cercano disperatamente baby sitter affidabili e poco costose, ci si mette in coda per un posto in un pessimo nido privato gestito dalle suore, si bruciano tutte le ferie e i congedi del mondo.
    Questa è la realtà italiana.

  34. @Fabio
    Quanti possono permettersi un congedo parentale se questo prevede un’indennità pari al 30% della retribuzione?
    Basterebbe questo a renderlo insostenibile senza dover poi citare quanto siano numerose le famiglie monoreddito (del padre) o che hanno lo stipendio paterno molto più consistente rispetto a quello della madre. Ecco di chi è la colpa. Non si va in congedo per fare la fame, lo si sceglie se è un’alternativa fattibile, in Italia non lo è o lo è per pochissimi.
    Tutti concordi che sia un problema di welfare, ma perché non desiderare che venga migliorato?
    Paghiamo le tasse e non riceviamo servizi adeguati, questo non lo accetto, non mi consola che la per colpa sia tanto della destra quanto della sinistra.
    Il problema non sono gli asili nido (o non solo), se estendiamo un po’ il campo, ma senza allontanarci troppo, potremmo parlare della stupenda 104 che permette al lavoratore/genitore di un bambino con disabilità grave di prendere un congedo fino a un massimo di tre anni. Bella. Bellissima.
    Peccato che poi se si ha un bambino con, ad esempio, l’Atrofia muscolo spinale di tipo 1 (SMA1) è statisticamente più facile che il genitore debba lasciare il lavoro (e anche qui sono le mamme a farlo), piuttosto che riesca a usufruire della legge, negata dalle aziende e motivo di infinite cause che a loro volta comportano spese per le famiglie, che non se le possono permettere dato che il welfare è insufficiente anche nelle altre tipologie di assistenza.
    Il nostro welfare è carente e pesa sulle spalle di tutti, ma soprattutto delle donne, le garantisco che è un macigno con cui è difficile condividere tutte le proprie giornate.
    Non posso rassegnarmi al fatto che tutto debba rimanere immutato perché: “tanto le leggi ci sono”, “tanto è un problema di mancata applicazione”, “eh è l’Italia”, “siamo così e così sarà”. No grazie, non ci sto. Ci sono dei problemi, riconosciamoli per cortesia e cerchiamo di cambiare le cose.
    Scusate la veemenza.

  35. è vero realtà forti di amministrazioni che esternalizzano i servizi alle cooperative che a loro volta retribuiscono le educatrici con stipendi da fame… nonne arruolate coercitivamente che magari i genitori farebbero a meno di chiamare, per metodi educativi non proprio in linea con la famiglia (e ce ne sono di famiglie con queste problematiche) baby sitter che fanno questo lavoro solo per arrotondare etc etc.. ovvio che le famiglie si arrangiano come possono ma sarebbe bello poter contare su strutture valide con metodi educativi validi e non come parcheggi vestiti a scuola.

  36. Scusate, ma siete completamente fuori strada; e vi inviterei a rileggere quanto ho scritto, dove ci sono anche le cose che dite voi. Non mi pare di aver scritto cose tanto diverse.
    @ Loredana
    ma sono proprio i dati che ci dicono che i nidi PUBBLICI sono tutti (o quasi) d’accellenza. Non è questione di difendere il proprio lavoro, ma di esaltare il patrimonio che abbiamo a disposizione, e proprio per tentare di “collettivizzarlo”. Scrivere ciò non vuol dire nascondere i problemi che rilevi tu.
    Allo stesso modo, @ Lucia
    scrivere che esistono delle buone leggi non vuol dire che il welfare è ottimo o adeguato alle necessità.
    Fabio A.

  37. Io spezzo una lancia in favore di Fabio: mi sembra molto evidente che è d’accordo con la maggioranza delle cose che dicono Lucia e Loredana, solo che ha espresso delle puntualizzazioni sulla ricerca. Lo ha fatto in virtù delle sue competenze – e mi sembra naturale che una persona competente su un argomento esprima un parere senza dover essere attaccato perchè difende il suo settore. Immagino che questo non implichi necessariamente che le altre prospettive siano inutili o poco rilevanti – come lo stato dell’occupazione in Italia. Non ha esattamente detto che il modello non è esportabile, ha dato il suo parere sul perchè non è stato ancora esportato.
    Insomma Loredà a leggerti pare che je fai un processo alle intenzioni – stabilendo che ha intenzioni diverse dalle tue. Da parte di uno che è maschio – faccio notare a proposito di stereotipo di genere – e si occupa di pedagogia, non lo darei così tanto per scontato.
    Insomma mancano poche parole e vedete che siete d’accordo.

  38. Macché processo alle intenzioni, Zaub. E diamine.
    Rileggo e riposto:
    “i nidi aperti e i concedi parentali (fino agli otto anni!) esistono anche da noi. Perché cercare sempre da altre parti? ”
    Perchè da altre parti quelle possibilità sono offerte alla massima potenzialità possibile. Perchè il congedo parentale italiano e quello di altri paesi non sono paragonabili.
    Nessuno ha mai parlato qui, MAI, di scarsa qualità dei nidi pubblici. Semmai, di altri due concetti: della bassissima possibilità di accedere a quei nidi e dei toni con cui i giornali hanno parlato della ricerca, che sembrano spingere sul “devi avere un figlio geniale” più che sull’importanza – ovvia, e fondamentale – della socializzazione.

  39. @ Loredana
    che senso ha fermarsi su una frase? Non è più corretto cogliere tutto il discorso?
    Anch’io vorrei “esportare” altre esperienze qui da noi. Ma allo stato – e intendo allo stato della nostra politica – questa è un’utopia.
    Non capisco il “livore” delle tue puntualizzazioni …
    E poi, a voler fare il pignolo, nell’articolo sulla ricerca che hai linkato non c’è nulla che spinga nella direzione “devi avere un figlio più geniale”: niente! È una tua interpretazione, del tutto arbitraria.
    Fabio A.

  40. Fabio, nessun livore. Ma puntualizzazioni sì, eccome. Le parole pesano, e il senso generale del tuo discorso è stato colto molto bene anche da altre donne che sono intervenute qui: suona come “noi funzioniamo, il resto pazienza”. E questo, perdonami, non mi piace.
    Mi prendo l’arbitrarietà delle mie interpretazioni: già il “più intelligente”, a me, non piace. Posso?
    E posso permettermi di rivendicare l’utopia?

  41. @ Loredana
    anche il “noi funzioniamo, il resto pazienza” è una tua interpretazione del tutto arbitraria, senza alcun appiglio linguistico. Le mie frasi sono lì, a disposizione di chi ne voglia cogliere il senso reale. Mi ritiro in buon ordine …
    Fabio A.

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