TIMEO PEPPA PIG (SUL PERCHE' VOLO E MASTERPIECE NON SIANO UN PROBLEMA)

Funziona così: ogni tanto gli elefanti rosa escono dal barile di birra dove trascorrono il letargo e tornano a marciare davanti ai nostri occhi. Ci sembra di averli già visti e di conoscere molto bene la fanfara, ma scacciamo la sensazione e ci godiamo lo spettacolo.
In queste settimane i rosei pachidermi sono stati evocati in due circostanze, che vanno a convergere nella stessa direzione: la prima è il debutto, ieri sera, di Masterpiece, la seconda è il debutto, ieri mattina, di Fabio Volo su La lettura, inserto culturale del Corriere della Sera.
E’ importante, miei piccoli lettori? Relativamente, occorrerebbe rispondere: perché, come bisognerebbe ormai sapere, il problema è un altro, e su questo altro, caso mai ce ne fosse bisogno, torniamo più avanti.
Invece, i cieli si sono aperti e la marcetta dei pachidermi si è svolta secondo copione. Quelli che Masterpiece profana la letteratura. Quelli che Masterpiece salva la letteratura. Quelli che sono contro quelli che sono contro Masterpiece.  Stessa solfa per quanto riguarda Fabio Volo. Quelli che è uno scandalo che Volo sia in classifica. Quelli che citano Gramsci. Quelli sono contro quelli che sono contro Volo. Quelli che aprono un tumblr su quelli che sono contro Volo.
Già visto e sentito, decine di volte.  Nei primi mesi di vita di questo blog, per dire, molto si scrisse e polemizzò sulla letteratura popolare (su Nazione Indiana trovate il primissimo scambio di opinioni fra la sottoscritta e Carla Benedetti, ma la faccenda andò avanti per settimane, trasferendosi dalla rete alla carta, e ritorno).
Ci sono state, però,  prese di posizione interessanti, come quella di Mario Fillioley, che risale a fine settembre. Leggetela, parla, fra l’altro, di linguaggi e contesti:
“Infatti se uno vuole uscire un poco fuori tema, in Rete si trovano articoli tipo quello di Nicola Lagioia che in pratica assume un’ottica un po’ veteromarxista per rimproverare a Maurizio Crozza di non essere Antonin Artaud. Cinque minuti di copertina a Ballarò che hanno il solo, evidente, unico scopo di farla un poco ridere a ‘sta gente che lavora e non ride mai, spingono Lagioia a prendersi cinque pagine per dirmi che Crozza «è troppo simile nell’alfabeto scenografico a ciò che intende aggredire». Dicendo che Crozza non parla un linguaggio “altro”, eversivo rispetto al regime che prende di mira, Lagioia solleva il problema dei problemi: quello dello stile. Ma ne vale la pena? Mica è il monumento alle Fosse Ardeatine: è Crozza a Ballarò. E allora mi sono immaginato di martedì sera, sul divano, mentre sono davanti a Ballarò, col vestaglione di flanella della zia, che rutto la familiare di Peroni gelata, e per introdurre il dibattito della serata mi compare Artaud che si produce in una danza balinese. Oh mamma mia, costui possiede un alfabeto scenografico molto dissimile da ciò che intende aggredire, penserei io mentre estrapolo per sempre il tasto 3 dal mio telecomando e lo butto fuori dal balcone”.
Leggete, se potete, anche l’articolo di Fabio Volo, non on line, sull’importanza dell’umiltà, contro gli snobissimi critici che disprezzano quello che piace alla gente semplice che cucina i broccoletti. Come detto, storia vecchia: anzi, il perno delle eterne polemiche fra apocalittici e integrati, fra élite e Carolina Invernizio.
Dove, a mio parere, sbagliano Fillioley e Volo (anzi, Fillioley e basta, perché Volo ha tutto il diritto di difendere il proprio lavoro, e La Lettura ha tutto il diritto di pubblicare articoli di chi vuole, e tra l’altro mi pare che fra il giovane-scrittore-che-vuole-fare-scandalo-parlando-di-shorts e Volo, sia trecento volte più interessante leggere gli articoli del secondo)? Sbagliano pensando che i termini della questione stiano ancora in una dicotomia: di qua il popolo che guarda Crozza, o Zalone, e legge Volo o Sveva Casati Modignani, di là quelli che sospirano sul romanzo straultraipersperimentalissimo e sognano Artaud.
Non è più così.  E, soprattutto, come detto infinite volte, fra le lame della forbice non c’è più spazio per la via mediana:  per la buona narrazione (buona linguisticamente, anche) che fino a un paio d’anni fa godeva di credito presso gli editori. Se non si fosse capito, è altro quel che si fa avanti: è l’autore-bot, sono le Peppa Pig, sono le riscritture delle riscritture, come si diceva venerdì sulla – ehm – nuova versione de La camera di sangue. Non è, per essere ancora più chiari, una questione di intrattenimento contro profondità.  Tutto questo verrà oscurato, con ogni probabilità, da un’unica entità:  il brand, ebbene sì, dell’autore che non è neanche un autore, ma un gruppo di ghost writer, come quelli che scrivono Peppa Pig e Geronimo Stilton, come quelle che, come da intervista di Donnini dell’epoca, erano state chiamate a scrivere la versione italiana delle Cinquanta sfumature, e che dal 2014 magari scriveranno sulla Grande Guerra, e così via.
Il problema va molto oltre Masterpiece e Fabio Volo e la lettura che ne viene data da detrattori e difensori. Un sistema sta cambiando, e quel sistema – l’editoria – va in cerca di soldi facili, visto che non ne ha più, e che il meccanismo delle rese si è rivelato suicida. Gli autori tradizionali, in questa chiave, non servono. Servono  scritture su cui si possa, che so, fare merchandising, altro che intrattenimento. Serve un’agenzia, un packaging, non uno scrittore, basso o alto che sia. Come mi ha scritto un intelligente amico ieri: ” Sostituire l’autore con un’agenzia é come eliminare l’artigiano e sostituirlo con le fabbriche in Cina o Pakistan; oppure, come eliminare le professioni e trasformare avvocati, medici – o tassisti, o architetti, in dipendenti di spa che vendono efficienti servizi legali, salute, trasporto. Senza “possedere i mezzi di produzione””.
La battaglia è questa. E’ possibile ignorarla, fare propria la vecchia  strofa di Eminem ( And fuck this battle I don’t wanna win, I’m outtie) e ritirarsi nella propria tana.  Oppure combatterla. Ma, almeno, conosciamola per quel che è.

35 pensieri su “TIMEO PEPPA PIG (SUL PERCHE' VOLO E MASTERPIECE NON SIANO UN PROBLEMA)

  1. “Oh mamma mia, costui possiede un alfabeto scenografico molto dissimile da ciò che intende aggredire, penserei io mentre estrapolo per sempre il tasto 3 dal mio telecomando e lo butto fuori dal balcone” LOL 😀

  2. sono preoccupantemente d’accordo, accidenti….e sempre più maoista, che cento fiori sboccino… lo scrittore come brand: era da tempo che mancava una intuizione brillante nel dibattito secolare fra qualità e quantità. è cosi, è decisamente così. non ci piace (non mi) ma è maledettamente così. i più intelligenti lo hanno capito ed investono. in copie fatte acquistare da finanziatori, in comparsate televisive a pagamento, in recensioni idem e insomma tutto, pur di ottenere l’agognato”effetto valanga” dopo le prime notizie di buone vendite. fino al mito realizato del “passaparola”. che non esiste, temo

  3. Ciao, segnalo che l’articolo su nazione indiana (molto interessante, grazie) ha dei link non più rintracciabili agli articoli di wu ming1 e andrea e altri commenti.
    Grazie mille

  4. “La stessa specie di lavoro può essere produttiva o non produttiva. Milton, per esempio, che ha scritto il Paradiso perduto. era un lavoratore improduttivo. Invece lo scrittore, che fornisce lavoro al suo editore, è un lavoratore produttivo. Milton produsse il Paradiso perduto per lo stesso motivo per cui il baco da seta produce seta. Era una manifestazione della sua natura. Egli vendette poi il prodotto . Ma il letterato proletario di Lipsia, che sotto la direzione del suo editore produce libri (per esempio compendi di economia), è un lavoratore produttivo, poiché la sua produzione è a priori sottoposta al capitale, e ha luogo solo per farlo fruttare” C. Marx
    Mi pare che il futuro ci riserverà pochissimi Milton e molti lavoratori produttivi.

  5. Nei suoi recenti spettacoli Paolo Rossi ha messo in scena la differenza tra la comicità di un tempo – quella di Walter Chiari, per capirci: che non era Artaud, non era neanche di sinistra, anzi – basata su una formidabile tecnica, su una padronanza assoluta dei tempi, sul controllo della mimica e del corpo, che facesse parodia sulla politica o su Lucio Battisti o raccontasse una barzelletta, e la comicità con i tormentoni, le risate sovraregistrate che partono a comando, la battuta ogni due minuti ed entro due minuti, e l’immancabile tetta d’accompagnamento inquadrata dalla telecamera – insomma, il modello Drive In che è dilagato fino a diventare l’unica forma di “comicità” possibile, salvo pochissime eccezioni. Quel modello di comicità dal quale viene Paolo Rossi era fatta per sbarcare il lunario, certo, ma era teatro, recitazione: e sì, era capace di far ridere senza diventare la mimesi linguistica di ciò che si prendeva in giro. Perché lo sfottò che prende il posto della satira è autoconsolatorio e autoassolutorio: non si fa niente per cambiare lo stato di cose di cui si dice che “sono tutti uguali” e “sono tutti ladri”, però ci si scarica Crozza sull’i-Phone o l’-Pad e ce lo si guarda e riguarda e lo si fa guardare a chi non l’ha ancora visto convinti che sia l’equivalente di passare la notte in bianco ad incollare manifesti o svegliarsi all’alba per andare a volantinare davanti alle fabbriche e alle scuole. Non ce l’ho con Crozza: ma con una comicità prodotta da agenzie, scritta sempre dagli stessi autori, che invece di spiazzare il pubblico propone al pubblico ciò che il pubblico si aspetta – una battuta cotta e mangiata, tra le cui pause ci si può alzare dal divano per andare a stapparsi la peroni gelata: che è la stessa cosa che è accaduta, accade, sta accadendo, accadrà alla letteratura, al cinema…

  6. Cambierei volentieri il contegnoso pensionato, filatelico dilettante, che dopo una presentazione mi avvicina per biasimare le mie frasi troppo lunghe e ampollose e i miei personaggi intollerabilmente amorali con una diciannovenne strafatta di cocaina che, senza troppi preamboli, mi apre la patta dei pantaloni. Si vede che ognuno ha quel che merita
    (Alessandro Piperno)

  7. Ho letto Artaud ed ho letto anche i primi 2 libri di Volo per sapere di che pensare.Non mi piace Volo,non mi piace Zalone non mi piacciono i desideri indotti di tanti giovani non mi piace il ke invece del che…..ma d’accordo con te sulla libertà di poter farsi 4 risate senza troppe “dietro-ideologie”…ciò non toglie che se a mia figlia lascio la libertà di appassionarsi alla liala del 21° secolo io mi prendo la libertà di proporle la lettura dei libri che amo io.O no?Se poi il discorso è come sempre le scelte economiche ,in questo caso delle case editrici,penso che non possa bastare il prenderne atto ma piuttosto contrastare queste scelte anche proponendo e diffondendo letture diverse.
    In quanto a masterpiece sono rimasta delusa perchà contavo su un programma più profondo ed approfondito,vista la presenza di De Cataldo che io stimo.Non è stato così e mi dispiace.Mi mancano le letture di Baricco che mi incantavano.
    Buona lettura a tutti

  8. Perfettamente d’accordo, specie con le considerazioni finali, giuste e documentate. Mi permetto solo di dissentire sulla citazione del noto trattato di Umberto Eco. Certo, gli apocalittici e gli integrati sembrano – ancora una volta – esemplificare la dicotomia, ma qui la questione della cosiddetta narrativa popolare travalica di parecchie spanne l’idea di una letteratura “di genere”. Qui siamo nel campo della mediocrità, una mediocrità di cui Fabio Volo è rappresentante peraltro molto garbato e dignitoso. Insomma, il Forrest Gump della situazione, il ragazzo tenero “media pesata di tutti i teneri ragazzi dello stivale” e nulla più.
    Il “problema”, se così vogliamo chiamare una questione la cui natura “problematica” non è a ben vedere definita neppure a grandi linee, potrebbe altrettanto a grandi linee essere espresso in questi termini: le polemiche su Fabio Volo e Masterpiece non alludono tanto a un villaggio globale in cui “tutti vogliono essere artisti e scrittori” (vedi fenomenologie alla X-Factor, tanto per sfondare porte aperte), quanto piuttosto a un villaggio globale dove il concetto di arte e scrittura incuneato nelle menti di questi “tutti vogliosi” è, di per sé stesso, incompatibile con il mercato vigente. In altre parole sarebbe ottima cosa se fossero in tanti a voler fare arte e scrittura, ma in un mondo fatto di gente attenta, curiosa e virtuosa. Un mondo all’antica, per intenderci. Un mondo capace di eccitarsi davanti a un seno appena intravisto dietro una timida trasparenza. Ma questa non è evidentemente la configurazione attuale. Anzi, vale il contrario: oggi la massima visibilità spetta a chi rilancia con rinnovato vigore l’essere, appunto, mediocre, perché solo la mediocrità può essere universalmente riconosciuta. La questione è sempre la stessa, solo più radicale: da un lato i colti professori precari della scuola, dall’altro i vari Trota, Razzi e Carfagna in Parlamento.

  9. Luca: Peppa Pig, come Geronimo Stilton, sono “marchi”. Non si vende il testo ma il marchio medesimo (con il corredo di abiti, zaini, magliette e tutto il merchandising). Non sono frutto di un unico autore, se non forse nella parte iniziale, ma di persone che vengono contrattualizzate per scrivere.
    Filippo: abbassare il livello dei testi per venderne di più è quanto perseguito negli ultimi anni.

  10. Una volta nella vetrina di un negozio di abbigliamento per neonati ho visto una camicia da notte per mamme forgiata grottescamente sul tema di winnie the pooh.vogliono trasfigurare gli imprinting.la questione e` grave

  11. Ho impiegato sette minuti a leggere questo articolo. Cinque dei quali li ho passati a decifrare e leggere correttamente la parola “straultraipersperimentalissimo”

  12. Io non riesco a vedere la distopia di cui parli. Libri come le “sfumature” non ha importanza che siano scritti da un’autrice o da un’agenzia, né possiamo dolerci più di tanto se hanno successo. Il processo che dovrebbe portare alla scomparsa dell’autore tradizionale non può essere governato da scelte editoriali, dipende come sempre dalla richiesta, e non mi pare di vedere una situazione diversa da quella passata, semmai ci sono molte più persone che hanno voglia di leggere e di leggere bei libri, e se questi bei libri li faranno gli autori tradizionali o le agenzie poco cambia, a meno che non si creda alla sostanza magica della letteratura. Dal momento che non credo che nessuna agenzia sia in grado di scrivere come DFW o come Fabio Stassi o come chi ci pare e piace, non vedo come possa avvenire ciò che paventi. Se poi le agenzie di scrittura avranno più successo degli autori tradizionali sarà perché avranno intercettato meglio i gusti dei lettori. Per me il vero problema è che ci sono troppi bravi scrittori e scrittrici in giro per le mie tasche e per il bacino d’utenza e il tempo disponibile, ma questa è la vita.

  13. Però Lagioia dice una cosa molto semplice e molto vera che forse l’amico del Sole non ha capito o ha fatto finta di non capire: se parli la stessa lingua del tuo nemico hai già perso.

  14. I privilegiati di oggi non hanno denaro, ma tempo e silenzio; così possono anche permettersi un addestramento graduale alla lettura. Quando mi sono laureato i programmi d’esame comprendevano anche una decina di libri e non c’erano limiti di pagine. Poi ci fu la riforma del 3 più 2; le università italiane dovettero aumentare il numero annuo di lauree abbassando il livello culturale e montando un allarme su pagina mille. Meno studiate, più è facile giungere al traguardo; eccoci qua Europa, anche noi abbiamo il nostro bottino di dottori. Esci dottore e ti ritrovi in un mondo che ti chiede che quel documento si trasfiguri in trofeo sociale, in invenzione tecnica che illumini il paese, in rivoluzione da esportare, in teletrasporto tangibile o spendibile. In questa provincia nazionale arretrata ed oscura, in caduta precipitante da cinque secoli, c’è ancora chi riempie la cornice e la espone, seguace di un culto ormai estinto. Un intero sistema scolastico poggia su questa finzione; accumula nozioni e competenze che poi dopo ti paghiamo, vedrai che ti serviranno teoremi, congiuntivi, aoristi, tavole e grafici. La stessa letteratura viene presentata ed insegnata come un’istituzione non convenzionale; c’è, come il sole, come lo stato, come il matrimonio; i ragazzi credono che il passaggio sia obbligato, che non si possa eludere, che si diventi grandi solo ripetendo le formule di questa ideologia: libri, edonismo in forma di narrazioni, diploma, laurea, liturgia lavorativa del capitale divinizzato. Abbassiamo l’asta e facciamo saltare tutti dall’altra parte, in democrazia il numero degli avventori s’ingrassa e così anche lo stomaco dei populisti che vogliono solo fotografare e rispecchiare ed evitare le costose traversate nel deserto. Perchè figurarsi l’orrore? Che siano le agenzie di scrittori, i Volo, i Checco Zalone, i Renzi, i Tornatore e Muccino, i Giovanni Allevi e Ludovico Einaudi, i Justin Bieber e Lady Gaga avranno sempre le fauci spalancate e pronte ad appagare l’inerme fame di stereotipi delle folle. Il liceo classico sparirà presto, la scuola pubblica più tardi, forse la letteratura, cartacea o digitale, continuerà ad essere un passatempo per le aristocrazie del pensiero.

  15. Perche` poi il brand lavora sui futuri lettori…
    Mannaggia…il mio livello di ansia sale vertiginosamente. Ho una figlia lettrice accanita e vorace di quasi tredici anni. Mi sono adoperata come una matta per cercare di iniziarla alla lettura da piccolina e lei ha soddisfatto tutte le aspettative.
    Ho sempre la preoccuapzione che legga opere belle importanti stimolanti e soprattutto consone alla sua eta` (anche anagrarfica perche` no) e adesso per Natale mi ha chiesto tutta la saga di Twilight. Sarebbe la prima volta che si avvicina a quel genere, porta in se ancora l’innocenza di chi crede che dietro un filone di planetario successo ci sia un autore che esprime se stesso ed i suoi valori. Sono tentata di andare a leggermi in biblioteca la saga per vedere che roba e` (senza per altro nutrire alcuna speranza in merito) perche` so gia` che prima o poi ci arrivera` da sola. Pero` di sicuro le regalero` “nel paese dei fiori di ciliegio”.
    Io non ce la faccio a comprarle Twilight…
    Dalle preoccupazioni una lettrice divenuta madre.

  16. @ (**) il fulcro del post, se ho ben compreso, è cosa rischia di divenire (o è in parte già diventata) la letteratura: una prosecuzione del merchandising con altri mezzi. Di conseguenza, la qualità della produzione letteraria si abbassa perché è ritenuta del tutto superflua.

  17. Anna Luisa, sì, il punto è questo. Scake, faglielo leggere invece. Il problema non è proibire, è fornire alternative, anche, o fargliele trovare. Tutti leggiamo o abbiamo letto schifezze. E al confronto di quel che viene proposto oggi Twilight è un capolavoro, credimi.

  18. L’editoria è più ampia della letteratura, è editoria anche la saggistica, la manualistica tecnica, i libri di cucina, i bignami, … è come il settore bevande non è solo vino o birra artigianale, c’è anche l’acqua e la coca-cola, che vendono molto di più,
    comunque volevo dire che Checco Zalone è (diventerà) una Maschera, come lo è Fantozzi.

  19. E’ notte e riesco solo a scrivere di essere in perfetto accordo con una delle cinque donne più intelligenti d’Europa. (però Checco Zalone non fa parte di questo gioco… per ora.)

  20. @ Anna Luisa
    Però cerchiamo di non generalizzare. Che il marketing abbia invaso anche il campo letterario è un conto ( e d’altronde perché mai si sarebbe dovuto fermare sulla porta d’ingresso ), che questo abbia conseguenze sulla letteratura è un altro. Ciò che comporta è la produzione di libri vendibili. Faccio un esempio: ho un amico appassionato di calcio che colleziona libri sui calciatori ( già al tempo di Rivera c’erano questi libri, magari lui si è scelto un autore al suo livello, ma tanto per dire, i libri su Pirlo e Ibrahimovic sono molto diversi per stile ). Non mi pare che legga altro e se non ci fossero libri sui calciatori non credo che leggerebbe altro, di sicuro non i libri che noi consideriamo di qualità. Quindi se tu metti tutto assieme e tracci una linea immaginaria della qualità letteraria è anche possibile che mediamente si possa abbassare, ma a noi non vedo cosa importi della qualità media, oltretutto parecchio astratta come concetto e come misurazione perché di fatto stiamo parlando del nulla, dal momento che nessuno può leggere tutto il materiale pubblicato. L’esistenza di questi libri comporta l’assenza di altri tipi di libri? A me non sembra. Io leggo opere del passato e del presente e non mi pare che oggi manchino scrittori e scrittrici di talento. C’è molta più concorrenza, ma ci sono anche molti più lettori e lettrici. Conosci persone che un tempo leggevano Joyce e poi si sono date alla pazza gioia con Volo? Anche i libri sono un prodotto commerciale, facciamocene una ragione. Non tutti: alcuni, molti, quelli che sono, mica possiamo impedire a qualcuno di scriverli e di pubblicarli ( e tanto meno di leggerli ). Ma finché ci sono persone che hanno voglia di leggere libri “di qualità” ci sarà chi li pubblicherà, non è i miei soldi valgono di meno.

  21. Non ho niente contro Fabio Volo: l’avrò visto non so quanti minuti non so quanti anni fa e mi ricordo che mi sembrava tanto simpatico quanto tremendamente sia banale che innocuo, la quintessenza stessa dell’innocuità fatta personaggio (masterpiece non ho la più pallida idea di chi sia). Non l’ho però mai letto e non vedo perché dovrei, nonostante tutto questo parlarne male. Di sicuro però sarebbe meno noioso di qualunque parola spesa su di lui: e questi che lo criticano e quelli che lo difendono per motivi visti, rivisti e svisti. Confesso per la prima volta di aver ceduto alla tentazione di leggere qualcosa in proposito, questo articolo, dati i pregiudizi positivi, e cosa leggo di nuovo? Benaltrismo! Il problema non è sviluppo verticale vs sviluppo orizzontale vs quadratura del cerchio e catalogazioni volumetriche: il problema è che il capitalismo si sta mangiando ormai fette di coda che un tempo erano parti d’elite, grazie alla sempre più pervasiva inutilità di produttori umani (in genere) magari d’intrinseca valenza e dunque in grado di ritagliarsi qualche fettina saporita del potere magari onestamente e aspramente contrastato. Ohibo!
    Beninteso, sono d’accordissimo e non da ieri. Idealmente dagli anni ’40 dell’800: quantomeno da allora direi che la sostanza è incontrovertibilmente chiara. Ma è anche chiaro da molto tempo (anche se è divenuta credenza diffusa da più o meno un ventennio e per ragioni come spesso almeno in parte sbagliate) che la ricetta individuata, più correttamente a mala pena abbozzata, da chi aveva diagnosticato il male era sbagliata: inapplicabile, inadeguata, insufficiente, un’altra manifestazione o veicolo del medesimo male… se ne può e se ne dovrebbe discutere, forse anche più che dei premi nobel. Ma nemmeno questo basterebbe!
    Quello che non sopporto di tanti discorsi che partono bene è che si fermano alle premesse: ah sì? E’ questa la battaglia? Benissimo. Possiamo pensare che si possa vincere e convincerci che di vittoria si tratti con Renzi o con Vendola, con Cuba o la Cina, con la rivolta senza sosta di Sisifo o l’insurrezione armata, con l’assemblea di condominio permanente o con la democrazia che sarebbe dal basso se Grillo fosse basso, con il commercio equosolidale e la banca etica? Forse che no?
    E allora perché qualcuno fra i molti intellettuali ben provvisti del ben dell’intelletto, invece che a approfittare pure di Volo e Peppa Pig per ricordare a chi lo sa già o non ne vuol sapere qual è il problema, non pensa a trovare delle soluzioni vincenti? Militare o meno, è una battaglia? Contro forze soverchianti? Perché non cercare una strategia applicabile che possa vincere? Senz0altro in fieri, criticabile, mai dogmatica, certo, ma con dei punti fermi per quanto modificabili belli solidi per dar spunto all’azione. Mica la devono agire gli intellettuali (intendo i non pochi allergici all’azione), basta che sappiano spiegare a chi è in grado e ha voglia di capire e indurre chi non lo è (prima di tutto a diventarlo, in grado e desideroso di capire).
    Cioè, se non siamo sicuri a priori che la suddetta battaglia sia persa in partenza, caso nel quale pur propendendo personalmente per l’azione disperata, lo posso pure capire chi preferisce la beata ignoranza alla costernata paralisi, perché non cercare di capire se si può vincere? Poi magari lo si spiega a Fabio Volo, facendogli capire che gli conviene, così poi lo spiega lui alla gente e così diventa molto più interessante e ricco di contenuti profondi. Sai mai.

  22. Sinceramente quando guardo Peppa Pig con il mio nipotino Jonathan non mi chiedo chi abbia scritto la storia o fatto i disegni.

  23. @ (**) Sì, su una cosa concordo con te, chi legge abitualmente Clausewitz non passerà di sicuro ai “saggi” di Bruno Vespa, ma stiamo parlando di un lettore che ha sviluppato nel tempo capacità critiche robuste, solide. I lettori in erba cui si fa allusione nel post (parliamo di narrativa per bambini, ma il discorso è valido anche per gli adulti), soggetti a questo genere di pressioni, che tipo di fruitori saranno in futuro? Non possiamo ovviamente saperlo, ma essere informati aiuta. Non si tratta di generalizzare, ma di registrare una tendenza, più o meno sotterranea, che è in atto, un orientamento che, visti i tempi, potrebbe subire un’accelerazione. In sintesi: stiamo parlando di un indirizzo editoriale da tenere sotto osservazione.
    Aggiungo un’altra riflessione che si discosta dall’argomento principale: sino a qualche tempo fa, un post come questo, avrebbe generato nelle prime ore dalla pubblicazione un flusso di commenti più numeroso, una conversazione più articolata, un’interessante moltiplicazione dei punti di vista tale da tenere vivo, anche per alcuni giorni consecutivi il “fuoco” della conversazione. In passato è accaduto spesso. L’arrivo dei social con le loro specificità linguistiche (modalità più diffusa: cazzeggio costante) per me ha portato a dei cambiamenti anche qui dentro: l’entità numerica dei commenti è diminuita e le conversazioni si svolgono con tempi più ristretti. I post invecchiano prima. L’intervento di “G” che bacchetta la Lipperini è indicativo. Qualche giorno fa su “Giap!” una medesima situazione: qualcuno ha criticato i tenutari del blog perché sul loro sito è impossibile commentare con un semplice “I Like”.
    Posso sbagliarmi, ma a parer mio anche questa è una tendenza in atto (di tipo degenerativo) da tenere sotto osservazione e, se è possibile, da contrastare. Ma forse sono andata OT.

  24. Due brevi pensieri:
    1- sì è vero, 5 pagine di critica a croza (bellissimo suono) saranno pure troppe, ma finché molti quotidiani pubblicano articoli che commentano la sua performance a ballarò come fosse l’omelia del Santo Padre o l’Oracolo di Delfi, ci possono anche stare. Anche se per ricordare che, come dici tu, è solo croza a balarò ne bastano meno.
    2-sono solo io che penso che ghost writer + brand è quasi uguale a collettivo di scrittori?

  25. @ Anna Luisa
    ma la mia obiezione non è sulla tendenza in atto, ma sui suoi effetti. Tu immagini la situazione per cui lettori in erba cresciuti a libri fasulli saranno i perfetti consumatori per libri del genere. Ora, intanto ciò non è mai successo, e già Edgar Allan Poe sbraitava contro gli editori americani che si bevevano qualsiasi cosa provenisse dall’Inghilterra. Ma soprattutto le case editrici non hanno il potere di influenzare i gusti dei lettori. Cercano nuovi mercati, cercano di vendere libri a chi di solito non li compra, da qui il marketing. La tua riflessione apparentemente OT si collega, perché mi pare che leghi due cose valide in sé, ma senza porre a verifica il legame. Se un tempo c’erano più commentatori e discussioni più articolate e oggi non ci sono più e ciò dipendesse dai social staresti dicendo che quei commentatori oggi stanno sui social a cazzeggiare oppure che oggi non sono più capaci di articolare pensieri perché usano i social. I social non hanno questo effetto, si può cazzeggiare al bar o sui blog e si può essere seri su fb o su twitter. Chiaro che uno non ha tempo per tutto e che un blog letterario spinge di più alla riflessione, ma uno potrebbe anche dire che il blog letterario, con la sua modalità a commento ha spinto le persone a frequentarsi di meno. è possibile, ma non dipende dalle caratteristiche linguistiche del mezzo.

  26. @ (**) “Tu immagini la situazione per cui lettori in erba cresciuti a libri fasulli saranno i perfetti consumatori per libri del genere.” No, sarebbe un modo semplicistico di ragionare, una previsione puntellata da un pensiero lineare e banale. Se torni al mio commento precedente, puoi leggere questo passaggio: “I lettori in erba cui si fa allusione nel post […] soggetti a questo genere di pressioni, che tipo di fruitori saranno in futuro? Non possiamo ovviamente saperlo…”
    Non ho azzardato alcuna proiezione, ho solo espresso la necessità di non abbassare la guardia.
    Su FB: come nel caso dei libri di Volo, non si tratta di vietare nulla, neppure il cazzeggio, ci mancherebbe. Hai ragione, i registri linguistici o i contenuti possono essere molteplici, ma l’impostazione di quel social, la sua struttura, favorisce maggiormente l’approccio ridanciano, il narcisismo, la riflessione ombelicale. Un discorso più articolato e serio all’interno di quel contenitore sarà illeggibile dopo pochi mesi (vista l’assenza di un archivio o di un motore di ricerca) e sempre depotenziato dalla foto di un gatto o dalla ricetta di una torta di mele postata in calce. E un po’ sì, lo penso, molti ex frequentatori di blog sono diventati più silenziosi perché si sono trasferiti su FB e, per come la vedo io, è un peccato. Comunque grazie per lo scambio. Fine OT.

  27. Noi qui su theincipit.com tentiamo di dare uno spazio libero agli scrittori, dove sperimentare anche linguaggi diversi da quelli del nemico

  28. Sto in questo settore da molto, un piede dentro e uno fuori, pronta alla fuga.
    Concordo pienamente con il post della Lipperini: la falsa dialettica tra alto\basso, nazionalpopolare\raffinatoavanguardistico etc ha reso artritici i dibattiti culturali per un decennio. Nel frattempo in editoria, gli addetti ai lavori hanno perso totalmente il polso dei lettori, ritarando le linee editoriali sui consigli di un marketing invadente e spesso (sempre) impreparato.
    Quel che vedo, quel che ho visto è una marcia acefala, guidata da manager che si scambiano di posto come in un ministero.
    Addetti ai lavori che presumono e coltivano l’imbecillità del lettore. E una cultura sedicente alta, e volontaristicamente meritoria, che cerca di promuovere la lettura come si trattasse di una purga: una cena macrobiotica dopo un’abbuffata da Mc Donald.
    Ho visto tariffe editoriali ridursi a livelli indegni.
    Capisco che si deve lottare.
    Ma come?
    Perché non trovarsi fisicamente? da qualche parte.

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