Normale, giusto? Tornare da una tre giorni di tour e trovare tutto più complicato. Sarò lapidaria:
Uno.
“Qualcuno dirà, ancora una volta, che le elezioni si vincono dando risposte precise ai bisogni materiali, che oggi sono quelli dell´economia, del fisco, del lavoro, della crescita dei prezzi, della sicurezza. In tempi tanto difficili, i diritti civili vecchi e nuovi appartengono ad un «secondo tempo» della politica, sono un lusso che ci si può permettere solo dopo aver risolto le questioni davvero urgenti. «Prima la pancia, poi vien la morale» – canta alla fine del secondo atto dell´Opera da tre soldi di Bertolt Brecht «il re dei mendicanti», Mackie Messer. Ma può la politica vivere senza ideali, senza gettare il suo sguardo al di là delle contingenze, non per sfuggire ad esse, ma per coglierne il significato più profondo?”
(E’ Stefano Rodotà su La Repubblica di oggi)
Due
“In sintesi, Poincaré parla di creatività come della capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove, che siano utili, e dice che il criterio intuitivo per riconoscere l’utilità della combinazione nuova è “che sia bella”. Ovviamente non sta parlando di bellezza in senso strettamente estetico, ma di qualcosa che ha a che fare con l’eleganza così come la intendono i matematici: armonia, economia dei segni, rispondenza funzionale allo scopo”.
(E’ Annamaria Testa, su un nuovo e bellissimo sito sulla creatività che ha realizzato: qui, da linkare subito)
Ps. Sui bellissimi incontri fatti a Trieste (sia alla Feltrinelli, sia al liceo Galilei, sia a Recoaro Terme) dovrei scrivere un post lunghissimo. Prometto che prima o poi racconterò più diffusamente di questa avventura nel mondo reale: a me sta dando molto. Mi sta dando, soprattutto, una buona fetta dell’ottimismo che avevo perso. State bene.
Io la questione della panza e della morale la cito spesso, in genere per dimostrare il suo contrario. La questione della panza e della morale riguarda infatti posti dove la morale non c’è affatto ben per quello le panze sono vuote.
Che se invece uno la seguisse alla lettera, per il fatto che è la morale a dire cosa ci sinfila nelle panze, si sa che monnezza si finisce col mangiare.
oddio, speriamo che per non scappar di metafora non abbia scritto troppo in esperanto.
Cara Loredana, c’è discordanza tra l’uno e il due. Provo a dirti perché la penso così.
Se da un lato Rodotà dice che per cogliere il significato profondo dei bisogni materiali si deve per forza guardare oltre le contingenze, dall’altro Poincaré-Testa si soffermano sull’utilità della creatività, addirittura sulla “rispondenza funzionale allo scopo”…
Sono d’accordo con il primo perché mi pare voler sostenere la necessità che la politica si occupi delle esigenze della psiche umana, oltre che dei bisogni materiali del corpo, mentre dissento dai secondi perché penso che creatività, bellezza, eleganza facciano parte di queste esigenze e siano perciò “inutili” ma in senso buono. Cioè: dovrebbero essere agite e vissute per niente, per soddisfare una ricerca di benessere, non perché funzionali a un qualche scopo…
Cari saluti,
Paolo
Sono d’accordo con Rodotà e, ancor di più, con Luciano Gallino e ancor di più ancora con Serge Latouche
😉
Grazie a Loredana per la segnalazione. E grazie a Paolo per il commento. Ma… forse mi sono espressa male. Mettiamola così: dietro (o meglio: prima di) un romanzo, un quadro, una poesia. Dietro (o appena prima di) un amore, anche.
Dietro o prima di un progetto politico che abbia dignità. Di una ricerca scientifica. Dietro a qualsiasi impresa: non pensi che ci sia sempre una visione? Un sogno? Un obiettivo? Un desiderio? Uno scopo, appunto?
E che cosa c’è di male nello sfidare se stessi cercando di produrre con tutta la fatica necessaria, errori e frustrazione compresi, un risultato che raggiunga proprio quello scopo?
Mi sono andata convincendo che tutto ciò che chiamiamo creatività stia proprio lì. Nel gesto, istantaneo o maturato dopo anni di tentativi, che cambia realmente le cose perché centra con eleganza il bersaglio raggiungendo il proprio obiettivo. La soluzione che, secondo Poincaré, è “diversa da tutto quanto si era pensato prima”.
In questa logica, non penso che “funzionale” sia una parolaccia. Ne avessimo un po’ di più, di cose che nascono da una visione e rispondono funzionalmente allo scopo, in questo nostro stravagante paese.
la parola “creatività” l’hanno inventata i pubblicitari, per poi subito attribuirsene dosi massicce, che però non si vedono molto spesso nei prodotti del loro lavoro: dove saranno finite?
è una parola vuota, cioè priva di un referente attendibile.
gli studiosi seri dei fenomeni artistici se ne atsengono accuratamente e fanno bene.
come tutte le parole vuote, attizza molto i vuoti.
astengono
Anonimo…
A parte il fatto che il tono di disprezzo che si intuisce nell’uso del termine “pubblicitari” è desolante: dobbiamo per caso ricominciare a parlare del fatto che la narrazione non è necessariamente destinata a sfociare sulla carta? Ancora?
Onestamente, poi, vedo molto più vuoto fra alcuni dei cosiddetti studiosi seri (per non parlare dei sedicenti “artisti”) che nel mondo della pubblicità. Dove esistono storie orrende e storie belle: come ovunque.
Cara Annamaria,
dopo il tuo commento mi è più chiaro il senso della citazione che Loredana aveva estratto dal tuo sito, dove sono anche andato a fare un giro (complimenti!). Però trovo – perdonami se insisto – che ci sia ancora troppa eterogeneità negli accostamenti che proponi: sogno-desiderio, visione-obiettivo, amore-progetto politico, etc. Mettere tutti questi ingredienti nella stessa pentola rischia di far perdere il sapore delle cose… inutili. Terrei da una parte – insieme con la Ragione – la politica, gli obiettivi, il bersaglio, gli “anni di tentativi”, la stessa parola “funzionale”; dall’altra il sogno (che non è desiderio nel senso di aspirazione), il desiderio vero (ce n’è uno solo), l’amore, l’arte: questi, nella sfera dell’Irrazionale. Perché non sono comandati da niente, né hanno un fine preciso: “sgorgano” da un lasciarsi andare che è tipico degli esseri umani. Gli altri esseri viventi non ce l’hanno, l’irrazionale: perciò ogni cosa che fanno ha uno scopo. Perciò è più facile che il leone dopo ore di appostamento mangi la gazzella, piuttosto che l’innamorato si ricordi dove ha parcheggiato la macchina o dove il pittore abbia già visto l’immagine che ha dipinto sulla tela (forse in una visione notturna?).
La ricerca scientifica, forse, si trova nel mezzo; perché ha bisogno dell’una e dell’altra cosa: della creatività come del calcolo. Ma questa è un’altra storia.
Cari saluti e grazie a Loredana per l’ospitalità.