UNA SERA NELLA MIA PERIFERIA, E IL PARADIGMA DI MALERBA

Ieri sera, per festeggiare, sono andata a mangiare al Pork’n’Roll, in zona Tiburtina. Periferia, attenzione. Le famigerate periferie di cui in tanti si sono riempiti la bocca nelle ultime settimane, e anche prima. Molto spesso, senza sapere di cosa parlano e senza averci mai messo piede.
Il Pork’n’Roll è aperto da sette anni: è un pub ma anche un punto vendita di carne di maiale. “Farm food, Craft Beer, Rock Music”. Significa che le carni vengono dall’allevamento di famiglia dei gestori, in Puglia, e che le birre sono fatte da loro. La carne è buonissima, le birre anche, la musica ottima e a livello che non impedisce di chiacchierare, il locale è sempre pieno, e bisogna prenotare obbligatoriamente.
Perché ne parlo? Perché nelle famigerate periferie romane, zona Est, sta accadendo qualcosa: a giugno sono andata a mangiare un sushi squisito e non “di catena” a Centocelle, in un locale aperto da un gruppo di ragazzi. E sto parlando di ristorazione, fin qui: giovani che decidono di investire nella parte della città definita “periferia”, pericolosa periferia, oh che paura, Che aprono locali. Che aprono librerie.
Non si parla già più della Pecora elettrica, perché, com’è normale, siamo tutti distratti da altro, e anche a ragione: c’è Venezia in pericolo (maledizione), c’è Salvini a Bologna, c’è il mondo di cui occuparsi (e lo sanno bene gli abitanti dei luoghi terremotati del 2016, quanto è facile e veloce dimenticare. Quanto è facile e veloce che gli altri dimentichino, almeno).
Però da chi si professa intellettuale militante un minimo di attenzione e memoria in più sulle cosiddette periferie me lo aspetterei: a Roma, Christian Raimo continua a fare un enorme lavoro con Grande come una città, ma a fronte di questo ci sono anche quelli che con candore dicono che, ehi, è proprio l’ora di prendere un mezzo pubblico per capire cosa accade nelle zone “brutte” di Roma. A sessant’anni suonatissimi.
C’è un vizio antico, in questa faccenda. Ricorda quanto avvenne in tempi lontani, il 1991, sulle pagine di Repubblica. Pietro Citati scrisse un articolo dove plaudiva l’arrivo dei “borgatari” nel centro storico grazie alla metropolitana e Luigi Malerba, ecco, gli rispondeva così.
“So bene che non possono essere oggetto di rettifica le sensazioni, le impressioni, le opinioni altrui. Quando poi vengono da uno scrittore come Pietro Citati, queste sensazioni impressioni e opinioni sono vere, appartengono alla verità di Citati e sono fuori discussione. La mia quindi è soltanto una opinione aggiunta, e diversa, di chi si sente chiamato in causa insieme agli avvocati, ai deputati, ai commercianti e agli scrittori che abitano il centro di Roma e che in varie occasioni e in vario modo hanno esternato i loro lamenti sulla invasione festiva dei borgatari. Faccio il mestiere di scrittore e da molti anni abito in centro, proprio nella zona battuta dai ragazzi delle borgate, e desidero dare ai lettori di questo giornale anche la mia verità su un fenomeno che ho spesso sotto gli occhi, anche se l’ argomento mi pare un po’ scontato e mi induce a qualche amarezza. Voglio spiegare perché quei ragazzi delle borgate che per una sera hanno deliziato Pietro Citati e i suoi innocenti amici americani, a me non sono simpatici. Prima di tutto vorrei invitare Citati ad avvicinarsi almeno una volta a questi divoratori di gelati giganti e ad ascoltare come parlano e di che cosa parlano. No, non assomigliano per nientissimo affatto ai ragazzi scamiciati del Quartiere Latino e tanto meno ai fieri contestatori dei decenni passati, non parlano di Platone e nemmeno di Woody Allen: parlano del cantante ascoltato la sera prima in TV, parlano dei negozi di jeans di via del Corso, delle macchine fuoristrada e delle moto giapponesi di grossa cilindrata che i loro amici borgatari più fortunati, e forse non tanto innocenti, cavalcano la sera del sabato e della domenica per raggiungere il centro, sdegnando la metropolitana. L’ estate romana che li ha portati nelle splendide piazze e strade del centro storico aveva l’ obiettivo di abituare gli abitanti delle lontane e orride periferie ad alzare lo sguardo su Palazzo Farnese, sui monumenti di Bernini e Borromini di Piazza Navona, sui palazzi di Via Giulia, sulla Scalinata di Trinità dei Monti e su altre meraviglie della Capitale. Possiamo affermare oggi senza timore di smentite che quell’obiettivo è fallito miseramente. Questi ragazzi non si sono adeguati al centro storico, è il centro storico che si sta adeguando a loro. Il risultato è il Mc Donald’ s di Piazza di Spagna e le innumerevoli paninerie spaghetterie pizzerie e birrerie che hanno scacciato dal centro storico gli artigiani, maestri di antica e preziosa manualità. Per me non è un bello spettacolo vedere questi ragazzi in fila come formiche per conquistare il loro gelato gigante e troppo carico di coloranti. Non è consolante notare che i loro sguardi non si alzano mai per guardare una facciata barocca e non è un bello spettacolo vederli lanciare le lattine della birra o le bottigliette della Coca Cola nella fontana del Bernini. Pietro Citati non può non aver visto in quale stato sono le strade e le piazze frequentate da questi ragazzi la mattina del giorno dopo: un mare di cartacce unte, di bottigliette, di barattoli, di bicchierini di plastica. E ha mai assistito alla partenza verso l’ una o le due di notte delle loro moto rombanti o delle loro macchine con le canzonette al massimo volume? Tutta colpa della periferia dove abitano? Tutta colpa della speculazione edilizia che li ha privati dei più elementari servizi ricreativi e culturali? Sarà sempre colpa della società? Certamente questo è il nodo che va sciolto, ma amarli così come sono mi sembra un grave errore politico. Sarò forse prevenuto, ma penso come Giulio Carlo Argan che, nonostante tutto, oggi l’educazione, l’ informazione e la cultura siano beni di facile acquisto almeno quanto i jeans in via del Corso o i dischi di Madonna. Non posso credere che i figli di Citati si vestano come questi ragazzi delle borgate e non riesco proprio ad assimilare le loro voci al fruscio e ai cinguettii dei passeri sugli alberi di Piazza Indipendenza o di Villa Borghese. A me  sembrano piuttosto squallidi emittenti di rumori e muggiti selvaggi. Se i miei figli parlassero come loro, se vestissero come loro, ne sarei molto dispiaciuto. Ho una certa dimestichezza e frequentazione con i loro compagni, che hanno la stessa età dei borgatari che muggiscono sotto le mie finestre e spesso non si possono permettere nemmeno il privilegio di un motorino, ma giuro che sono molto diversi. Mi si dirà che questi ragazzi sono figli di operai e non frequentano l’ università come i miei.
D’ accordo, non pretendo che parlino di Platone o di Woody Allen, non pretendo che vengano in centro con un libro sotto il braccio, ma da quando sono arrivati loro il centro storico ha cambiato faccia, e non è una bella faccia. So bene che non sono loro gli unici responsabili e che si è messa in moto la speculazione più infame per sfruttare la loro ingenuità, la loro ignoranza e i loro desideri indotti dalla pubblicità e dalle vetrine luccicanti. Sono proprio il loro entusiasmo e la loro sicurezza che mi rattristano perché non scorgo nei loro sguardi l’ ombra di un dubbio, il sospetto di essere delle vittime e non dei protagonisti. I loro occhi si accendono di eccitazione solo alla vista di una Honda o di una Land Rover perché c’ è sempre una Honda o una Land Rover nei loro sogni. I sogni dei giovani mi commuovono e mi preoccupano quando intuisco lo smarrimento di fronte a un futuro incerto, ai problemi della disoccupazione o della casa, ma non mi piacciono quando sono intrisi di pubblicità televisiva o quando vedo uno di questi ragazzi estrarre dalla tasca il telefonino cellulare per comunicare a un altro borgataro i suoi sogni consumistici fuori tempo. Capisco Citati, e in un certo senso lo invidio. Arrivare in centro una sera senza pioggia in questa primavera troppo fredda e troppo piovosa, osservare lo spettacolo di questa folla di ragazzi, può apparire un bello spettacolo, e uno scrittore ha il diritto di raccontarlo. Ma chi abita in centro e questi ragazzi li vede più spesso e più da vicino ha di loro una immagine un po’ diversa. E’ questa immagine che ho voluto aggiungere a quella di Citati, con l’ amarezza e la malinconia che accompagna ogni mia delusione”.
Quanto ci vuole, ancora, per capire, e dunque per difendere e proteggere le nuove realtà che esistono e prosperano (o prosperavano) nelle vituperate periferie?

2 pensieri su “UNA SERA NELLA MIA PERIFERIA, E IL PARADIGMA DI MALERBA

  1. Ieri sera alla passeggiata per la difesa del quartiere di Centocelle, Christian Ramo c’era; l’ho visto, nonostante penso che abbia non pochi impegni come Assessore alla Cultura.
    C’era anche Tano D’Amico, il fotografo delle lotte delle periferie e dei Movimenti.
    Sono andata ieri per la prima volta e devo dire che mi piacerebbe che solo per il benessere di stare insieme, facessimo una passeggiata tutte le settimane.
    Ma certo non dimentico i motivi per cui eravamo per strada per riprenderci il quartiere. Sono stati dati alle fiamme tre locali non propriamente ed esattamente solo commerciali. La nostra socialità, la nostra possibilità di stare bene insieme agli altri è minacciata. La nostra sensazione di tranquillità di stare di notte per strada è stata presa di mira.
    Tra dieci giorni nascerà il figlio di Danilo e ieri c’erano tanti, tanti bambini con le loro famiglie a sfilare per le strade di Centocelle.
    Per Danilo, per la Pecora Elettrica di cui voi a Radio3 continuate a parlare tutti i giorni, siamo molto tristi.
    Ma le relazioni che si stanno costruendo tra noi persone del quartiere è un regalo prezioso che questi attentati hanno involontariamente determinato.
    Per chi si è sempre sentito vivo nella partecipazione, ieri è stata una bellissima serata.
    Siamo senz’altro un po’ periferici ma abbiamo anche la volontà di essere una comunità e non so quanto altri quartieri borghesi si possano permettere di dire altrettanto.

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