112. STORIE DAI BORGHI. CRONACHE DAL SALONE E L'AMORE DI MATILDE PER CAMERINO

Così il terremoto è arrivato anche al Salone del Libro di Torino, grazie all’accoglienza e all’empatia di Nicola Lagioia, di Marco Pautasso, del Salone tutto. Hanno parlato editori e scrittori e poeti e studenti e ovviamente persone che dal terremoto venivano. Come Lidia Massari, che qui riferisce nelle sue Cronache Mesopotamiche. Cos’è cambiato? Niente. Ah, no, una piccola cosa che racconta Mario Di Vito su Twitter:”nove mesi dopo il terremoto, le Marche si sono dotate di un piano per smaltire le macerie. Meglio tardi che eccetera eccetera”.
E nel frattempo? Nel frattempo ricevo un bell’articolo di Matilde Ingrosso su Camerino, utile per tutti coloro – e ce ne sono – che pontificano sui testoni montanari che vogliono rimanere nelle loro terre.
(Nota per il commentarium: domani riparto per un piccolo tour di presentazioni che toccherà Bologna, Ravenna e Milano. Dunque il blog torna ad essere aggiornato mercoledì. Pazientate e scusatemi per le assenze).

COME CROLLANO I SOGNI
di Matilde Ingrosso

26.10.2016 ore 19.11
C’era un forte temporale quella notte, tuoni rimbombanti. Ad un tratto un boato. Poi movimento. Il pavimento che fa su e giù. Tutti in corsa verso i portoni delle case, giù per le scale, nudi, in pigiama, non importa come. “Fuori! Correte fuori!”. Qualche secondo di terrore. Poi la calma. La ripresa e un forte respiro in un solo pensiero “Ce l’abbiamo fatta”. Devo ammetterlo, una brutta scossa, ma niente in confronto a quella che non ci aspettiamo, quella che manderà in frantumi case, cose, sogni, progetti, sacrifici, vita. Ed eccolo, due ore dopo senza avvisare.
Ore 21.18. A parole provo a descriverlo, ma è impossibile farvelo capire davvero.
Un black-out ci ha reso ciechi. Buio totale. Questa volta il boato sembra un bombardamento, la terra trema, poi la polvere, le urla. Ho afferrato la mano della mia coinquilina e l’ho abbracciata come a farle sapere che se moriremo lo faremo insieme, come tutto quello che abbiamo fatto fino a quel momento e in quel posto, come a farle sapere di stare tranquilla perché la salverò io (ma non è vero), ho gridato il nome delle altre mie amiche, sperando che mi rispondessero e per fortuna ho sentito che erano lì, erano vive. La terra ha tremato veramente forte: ho avuto la sensazione che si stesse aprendo sotto i piedi. Tutti gli incubi che abbiamo fatto da bambini non sono serviti a renderci più coraggiosi. Il buio amplifica le paure. Ecco la luce, ma le nostre gambe tremano ancora. I crolli davanti ai nostri increduli occhi, immobili, impotenti. “Mamma, ti voglio bene! Sta crollando tutto, ma tu non ti preoccupare!”.
Sembra che io l’ abbia detto al telefono, ma non ne ho il minimo ricordo perché mentre lo dicevo davanti a me succedeva l’apocalisse, un incubo che non saprei neppure raccontare, ma in cui sei cosciente del fatto che stavolta non ti potrai risvegliare. I due minuti più lunghi e spaventosi della mia vita. Pausa.
Siamo vivi. Ma eccolo qua, il momento che ti tormenterà per tutta la vita e non dimenticherai mai, il momento che ti ha cambiata per sempre, quel momento in cui capisci che da lì è tutto da rifare, che non hai più nulla, neanche la serenità di stare tranquilla dentro casa. In quel momento capisci quanto valga quella vita che tanto vorremmo cambiare, quanto sia assurda la natura, quanto sia impotente l’uomo e quanto sia meraviglioso SENTIRSI VIVI. Oltre la paura, l’orribile scenario di Camerino distrutta. Quanto sia importante per noi quel posto, voi altri non potete immaginarlo.
Camerino è quel posto dal quale vorresti sempre andare via, ma poi ritornarci subito, perché non riesci a farne a meno. Camerino è la nostra Università, ma è soprattutto la nostra vita, i nostri amici, le nostre abitudini, non c’è nulla ormai che non fosse lì. Camerino è il caffè alle 8 di mattina subito dopo quella sveglia che ti mette l’ansia appena suona. Camerino è la mia coinquilina, che per quanto a volte non sopportassi, è la parte migliore di me, perché è quella persona con cui sono diventata adulta, con cui ho diviso la mia vita, le mie cose, le mie vittorie e le mie sconfitte. Camerino è le mie amiche, così diverse quanto in fondo uguali. Camerino è il Giovedì universitario, i locali e le strade piene di gente, almeno un giorno alla settimana. Camerino è le corse all’Università perché non c’era una volta che fossi in anticipo, è l’ansia per l’esame e gli aperitivi per festeggiare di averlo passato, è i colleghi in crisi come te per il poco tempo e i troppi esami da fare, è i laboratori pericolosi, ma così interessanti da farti venire la voglia di starci dentro per ore. Camerino è la biblioteca dove non c’è mai posto e il caffè alla macchinetta per poi prenderne subito dopo un altro nel bar di fronte al Duomo, ma tanto due non bastano! Camerino è i quindici giorni di Festa della Spada, con cortei meravigliosi e “tamburini” che suonano a tutte le ore per le strade del paese. Camerino è la Rocca con i suoi paesaggi suggestivi, è lì che ho conosciuto le stagioni, ho visto la neve d’inverno e le foglie riempire le strade durante l’autunno.
Camerino è qualsiasi cosa ci appartenesse, lì non abbiamo lasciato solo le nostre cose, ma una parte di cuore che mai più potremo riprenderci.
Dopo qualche giorno sono tornata nella mia casa. Non oso descriverla quella sensazione. Devasta il cuore, l’anima, la mente, perché porta a ricordare tutto ciò che di bello e spensierato hai vissuto lì e che non potrai più rivivere. Mi hanno concesso dieci minuti per mettere tutta la mia vita in dei bustoni neri.
Libri, vestiti, scarpe, foto, ricordi. Ci sono attimi ancora oggi in cui mi immagino nella mia stanza, così disordinata, così universitaria, così mia. Mi vedo seduta alla scrivania e ripetere a voce alta. Quante cose avevi imparato con me, mia cara stanza. Mi vedo sul divano con la mia coinquilina. Mi vedo in bagno a truccarmi e in cucina a lavare i piatti. Prima di andar via mi sono voltata e, guardandola ancora, ho pensato che avrei dovuto lasciarla una volta laureata, avrei dovuto piangerla perché la lasciavo io e non perché mi lasciava lei. Avrei dovuto avere il tempo di salutarla per bene, con calma, fotografarla nella mia mente perfetta com’era e magari prometterle che sarei ritornata un giorno per vedere com’era diventata. Ora però credo che sarà quello l’ultimo ricordo che avrò di lei, così imponente eppure così fragile. Ho pensato e ripensato più volte a cosa avrei dato per rivivere solo un briciolo di quella quotidianità così semplice, ma soprattutto “normale”.
La mia vita si è fermata per un po’. E’ crollato tutto oltre alle nostre case. Tutti i progetti e i sacrifici sono svaniti in un istante. È cambiato tutto, è cambiato il modo di vedere e di affrontare le cose, perché è solo quando ti accorgi di essere sul punto di morire che capisci quanto sia imprevedibile e preziosa la vita.
Camerino mia, chissà tra quanti anni ti rivedremo splendente e bella com’eri. Nel frattempo ti porto con me, nei miei ricordi più belli e più puri. Mi hai dato l’opportunità di sentirmi figlia tua, mi hai cullato. Mi hai reso quella che sono. Mi hai dato l’opportunità di fare dei progetti per il futuro e di cominciare a realizzarli. Non ti dimentico né ti abbandono. Te lo devo, è un patto.

3 pensieri su “112. STORIE DAI BORGHI. CRONACHE DAL SALONE E L'AMORE DI MATILDE PER CAMERINO

  1. Camerino era la città di mio padre. L’unico accesso consentito al centro è una minuscola stradina che va al Cimitero. Le altre presenze vive sono i militari che presidiano gli accessi. Altro da aggiungere?

  2. P.S.: ora che sono costretto a vivere sulla costa, sono fiero di essere un “testone montanaro”; ogni volta che posso torno al borghetto sopra Fiastra, a 940 M di altezza.

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