Ne ho visti morire molti, dopo il terremoto del 1997. Anche se avevano una casa provvisoria (un container, ma lo avevano, ed erano vicini ai vicini di un tempo, alle amiche e agli amici, ai parenti), che oggi è stata loro negata. Ci sono morti che non ricordiamo: non quelli del terremoto, quelli li ricordiamo perché sono stati consegnati alle cronache. Non ricordiamo gli altri, quelli che svaniscono in modo meno clamoroso, lontani dalla ribalta, mesi e addirittura anni dopo; che si lasciano svanire, anzi, perché non hanno più la casa e neanche le cose che erano dentro la casa.
Sta accadendo di nuovo.
E sta accadendo altro. Le parole di Silvia Sorana sono quelle che descrivono lo scivolamento meglio di altre. Sono queste:
“Quanto la “situazione” contingente può far perdere di vista la rilevanza morale delle proprie azioni? Il terremoto, con la sua conseguente e necessaria organizzazione e gestione dell’emergenza, rappresenta una “situazione” in grado di modificare le relazioni tra gruppi sociali, tra amministratori, funzionari e cittadini, tra la politica e la società civile.
Gli individui (amministratori, funzionari pubblici, etc.) chiamati a gestire la “situazione” di emergenza si trovano spesso a sperimentare uno stato psicologico e relazionale differente rispetto alla situazione pre-emergenza, soprattutto a livello locale.
Prendendo in prestito gli studi di psicologia sociale sull’obbedienza all’autorità (Arendt, 1964; Milgram, 1974; Todorov, 1999) mi sono chiesta: quali sono le ulteriori conseguenze che il terremoto determina nei contesti locali? Quali le distorsioni create dall’asimmetria di potere? Quali i costi individuali per le comunità colpite di fronte allo stato di eteronomia dei funzionari demandati all’esecuzione delle regole?
I funzionari, gli esecutori delle regole, sono soggetti a quella che Milgram identifica come “burocrazia della mente”, alla sospensione della capacità di percepire le proprie azioni, sostituendo la responsabilità del “contenuto” con la responsabilità verso “l’autorità”, con la volontà di mostrarsi conformi, i più conformi. In un contesto emergenziale, come quello determinato dal terremoto, compiere il proprio dovere, far rispettare le regole, rispettare la gerarchia e gli obblighi situazionali (imposti dalle circostanze), in assenza di un vaglio critico, interrompe quel rapporto di prossimità e condivisione che rappresenta una risorsa preziosa per ridurre le disuguaglianze e correggere le distorsioni dei provvedimenti emanati dell’autorità legittima. Quanto le amministrazioni locali e i loro dipendenti potrebbero contribuire a sanare le lacune dei provvedimenti messi in atto facendo ricorso alle informazioni personali, alle biografie individuali dei propri concittadini? Quanto l’ascolto delle comunità locali potrebbe rappresentare una ulteriore risorsa per soddisfare i bisogni e compensare le perdite? A distanza di 9 mesi dal terremoto che ha colpito le Marche nessuna autorità di ordine e grado ha ancora sentito l’esigenza di interpellare la società civile, le comunità locali per coinvolgerle nella progettazione della fase transitoria delle SAE né per la fase della ricostruzione”.