128.STORIE DAI BORGHI. IL LAGO DI CACCAMO E L'UFFICIO RICOSTRUZIONE DA TRECENTOMILA EURO

C’è un luogo dove l’altra me, quella che scriveva con un nome non suo, portava il suo computer, i suoi appunti e una bottiglietta di tè freddo. E, appunto, scriveva le sue storie. E’ un tavolo di legno con una panca, sulla riva del lago di Caccamo: l’altra me ignorava i carpisti e le loro raffinate attrezzature di pesca, i bambini che correvano nel campeggio, guardava l’acqua, guardava la cava, sulla destra, arrossata dal tramonto, e si perdeva, felice.
Il lago di Caccamo è uno dei luoghi che mi sono cari. L’ho raccontato, in parte, in “Questo trenino a molla che si chiama il cuore”. Così:
“Le storie sono fatte di persone. Questa, dunque, è la storia di una donna senza nome, e il racconto è stato fatto in un tempo così breve che comprende solo la fine e i fatti che l’hanno preceduta. La donna aveva un negozio a Caccamo, dove c’è il lago. Quando costruirono la superstrada, intendo il tratto già esistente, la donna cominciò a temere che avrebbe perso i suoi clienti, e così avvenne. La donna, dunque, si gettò nel lago. Questo mi dice Fausto, che sul lago ha un bar con ristoro, nel senso che puoi mangiare i ciauscoli e le lonze che ha preparato durante l’inverno e se hai molta fame puoi chiedere salsicce alla brace o tagliatelle col tartufo. Davanti al ristoro di Fausto ci sono le tende dei carpisti che attendono la sera per pescare, e qualche camper di campeggiatori con pochi soldi e poco tempo. Fausto dice quel che mi hanno ripetuto tutti, ovvero che è un bene che i turisti possano andare più in fretta verso il mare perché questo porterà benessere, e io mi sorprendo a chiedere per la centesima volta da dove possa venire quel benessere, perché chi va più veloce verso il mare non si ferma né per mangiare i ciauscoli di Fausto né per entrare nei negozi, ed è per questo che la donna si è affogata. Ma posso dire solo questo, queste quattro parole, la donna si è affogata, e non so altro di lei, se fosse giovane e così pallida da non poter prendere mai il sole, o avesse passato di poco la mezza età fingendo sicurezza e nascondendo, e probabilmente era così in ogni caso, la tristezza che la faceva restare a letto ogni mattina un po’ di più. Non so se da bambina avesse giocato a campana o si fosse arrampicata sugli alberi, se da ragazza avesse camminato mano nella mano con il suo amore, magari sulle rive del lago, magari per guardare i fuochi d’artificio di Ferragosto. Non so se avesse dei figli, e se magari quei figli bambini l’avessero aspettata la sera a casa per correrle incontro o l’avessero chiamata al telefono ridendo o piangendo perché si era rotto un gioco o per una lite con un amico e se ora, adulti, conducessero vite distanti e sopportassero appena la sua voce. Nulla so, eppure provo a fermarla ora e per sempre qui, mentre cammina sui sassi della riva e aspetta che la prima onda, quella più fredda, le bagni le scarpe, e a quel punto, nel tempo che è quello della storia, rabbrividisce e si volta ed entra nel bar di Fausto a chiedere un amaro Sibilla, fatto con le erbe magiche della montagna, e poi torna a casa”.
Oggi, guarda un po’, Caccamo torna alla ribalta per ben altra vicenda. Questa qui. Oltre trecentomila euro per una sede dell’ufficio ricostruzione. E dove la mettono la sede? Ma guarda, nel vecchio negozio dove si acquistavano i mobili in conto vendita, e che ha prosperato negli anni post-terremoto 1997, con i terremotati che si disfacevano di letti e armadi, perché non sapevano dove metterli. I locali, peraltro, sono parzialmente inagibili. Che bravi. Che bello. Che tristezza.

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