3. STORIE DAI BORGHI: VISSO

Ma come, parliamo ancora di borghi marchigiani, con quel che è successo? Con Trump presidente? Con tutte le analisi che ci sono da fare, e come mai il disprezzo per la democrazia, e come mai la voglia di sangue (metaforica, dai), e come mai il razzismo, e uh, e che è successo? E’ successo che c’è una convinzione globale ormai non scalfibile: le parole non hanno più peso, chi le sa usare è  da abbattere, conta solo essere rassicurati sul fatto che si possa tornare indietro, in un mondo arcaico dove vince il più ricco e i poveri vengono calciati via, e chi difende altre strade è un babbione snob e politicamente corretto e buonista e, e, e. Ma proprio per questo, soprattutto per questo, sono altre storie quelle che vanno raccontate. Sì, le vostre, le nostre. Oggi e ancora, e ancora. Leggete Ilaria Scarpiello su Visso.
La prima immagine che ricordo è il viale alberato, le punte degli alberi che proiettavano la loro ombra sull’Alfa Romeo e i giochi di luce sul viso, sul bellissimo viso, del ragazzo alla guida al mio fianco, un ragazzo conosciuto da poco e che ancora non potevo sapere sarebbe diventato il mio grande amore. Oggi andiamo a Visso, mi disse quel giorno, la mia famiglia ha una casa lì. E così, appena arrivata a Foligno con un treno da Roma, ci rimettemmo in viaggio per le Marche, me lo ricordo come fosse ieri.
Il parcheggio davanti all’albergo Elena, la piccola pompa di benzina dove c’era sempre qualcuno in fila, il Caffè Sibilla con i tavolini all’aperto rivolti verso la piazza della chiesa, il pub che faceva anche le pizze. Dopo quella prima volta ci siamo tornati spesso e ogni volta mi innamoravo un po’ di più sia del ragazzo che di quel posto magico. La passeggiata sul fiume limpido e freddissimo, il parco dei Monti Sibillini, le Heineken in bottiglia da 33 al bar del parchetto pieno di adolescenti in libera uscita, il negozio di articoli sportivi troppo caro per le nostre tasche e i manoscritti di Leopardi su quell’Infinito che mi sembrava potesse esistere davvero.
Quanto ci siamo amati in quella casa con le travi a vista e il camino enorme, a mangiare bruschette colme di tartufo nero e olio, a far la pipì nel bagno gelido, a restar svegli fino a quando il fuoco non fosse completamente spento, senza tv e senza libri, la dirimpettaia contenta perché abbassavamo l’età media dei residenti nella via. L’unico cinema nelle vicinanze era ad Ussita e ci andavamo passando davanti all’allevamento di trote, un amaro Sibilla al bar di fronte prima che iniziasse il film, io preoccupatissima che potessimo perderci l’inizio e il mio ragazzo che mi prendeva in giro e mi diceva che lì le cose si fanno con calma, che il film inizia quando è il momento giusto.
Anche quando, cinque anni dopo, abbiamo passato un momento di alti e bassi, siamo tornati a Visso per rimettere insieme i pezzi, perché poteva essere solo quello il posto in cui prendere decisioni importanti, lì è dove è veramente iniziata la nostra famiglia, anche se, successivamente, quella bellissima casa è stata venduta.
Non riesco ancora a capire realmente ciò che abbiamo perduto, il dolore è coperto dal frastuono, dal rammarico. C’era una pista di pattinaggio sul ghiaccio, non so se c’è ancora dopo quello che è successo, e non ci sono mai andata, nonostante le insistenze di mio marito. All’inizio avevo vergogna, non ci andavo per paura di finire con le chiappe per terra davanti a un bel ragazzo conosciuto da poco, poi con il tempo mi sono impigrita e mi dicevo che sarei potuta andare un’altra volta, che c’era tempo. Mi sbagliavo, si sbaglia sempre quando si ha l’arroganza di appropriarsi del tempo, si rischia seriamente di perdere le persone o i luoghi, si rischia di perdere tutto.
Ilaria Scarpiello

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