E, a proposito, qual è il progetto per i comuni marchigiani? Nomi che magari nessuno aveva sentito fin qui, nomi di luoghi poveri anche se ricchi di bellezza (paesaggistica e spesso artistica e sempre di coesione umana, se mi si passa il termine), nomi che rimandano a manciate di case di pietra che sembrano interessare a pochi. Ma che esistono.
Qual è il progetto? A leggere le dichiarazioni contro le casette di legno private (qui Mario Di Vito sul Manifesto, qui Terre in Moto), si immagina chissà quale cura ambientale che spinge a proibire a un privato di collocare nel proprio terreno una casetta da 35 metri quadri. Poi, però, i 5000 dello stabilimento di Della Valle vanno benissimo.
Qual è il progetto? Che idea di paesi si ha in mente? Durerà una decina di anni, se va bene, la fase delle casette di legno, quando arriveranno. E chi abita ancora in quei luoghi vuole capire. Vuole risposte sul lavoro per esempio. Che prospettiva si ha? E che cosa dice in proposito la Regione Marche, in altri casi (Quadrilatero) così fervida nel rilasciare dichiarazioni?
Nell’attesa, le storie. Questa viene da Agata, e parla di San Martino di Fiastra.
San Martino di Fiastra.
La mia serenità è annegata tra quelle pietre che invadono l’unica via del paese in cui una foto, conservata nel vecchio album, ritrae mia sorella bambina in calzoncini corti e maglietta a righe.
Guardo quel che resta delle case e guardo le montagne che le circondano, con i loro colori di ottobre che mi riportano al tempo in cui, giovanissima maestra, risalivo con la mia cinquecento verso Acquacanina, Bolognola e restavo senza fiato davanti alla bellezza del mondo.
La montagna faceva sentire di tanto in tanto la sua voce e il terremoto è venuto spesso a disturbare il nostro sonno come un gigante maldestro che fa rumore, ma non provoca alcun male.
Questa volta, la voce profonda si è trasformata nell’urlo del drago che nelle viscere della terra attende per anni, decenni, forse secoli, per ghermire la preda ignara e fiduciosa che da questi monti non verranno mai distruzione e morte.
Mio padre ha costruito la mia casa e ristrutturato altre in anni in cui nessuno parlava di criteri antisismici. Sono fiera della bravura di mio padre, testimoniata dalla forza con cui le sue case hanno lottato per resistere alla violenza del sisma e si sono arrese solo alla brutalità di un 6.5, della cui possibilità in quella zona nessun geologo e nessun sindaco mi hanno mai parlato.
Credo che la consapevolezza di oggi non aiuterà San Martino a rinascere.
Io non sono serena, bensì piena di rabbia e di dolore, il mio, quello di mia sorella, di mia madre che non ha bisogno di vedere le immagini dello scempio per sentirsi orfana inconsolabile di quelle pareti, tra le quali, per settantadue anni, ha curato con amore tenace il suo altare domestico.
Penso al tempo in cui, regina incontrastata della piccola corte, nuova Sibilla, iniziava frotte di bambini ai misteri del ciclo della vita.
Quei bimbi vocianti ammutolivano all’ingresso del pollaio, davanti alla cassettina di legno foderata di fieno, in cui la gallina, dal portamento altero e un po’ infastidita dall’intrusione nel suo momento di riservatezza, rapida li accontentava con un ovetto che il destinatario di turno esibiva come un trofeo, guidando la fila di tutti gli altri i quali apprendevano l’arte della pazienza nell’attesa del giorno successivo, latore certo di un nuovo ovetto.
Negli anni quei bimbi, diventati adulti, professionisti qualificati dispersi per il mondo, non hanno dimenticato e ogni estate, fino a quella appena trascorsa, sono venuti a trovarla, la mia mamma, a raccontarle la loro vita, consacrandola ogni volta vestale di quel piccolo borgo in cui lei ha saputo far incontrare le generazioni e le culture in un vivaio prezioso di relazioni umane fatte di solidarietà, accoglienza, dialogo.
Tutto questo non c’è più. Il terremoto non ha portato via solo case e ricordi; semmai la ricostruzione ci sarà, i tempi saranno troppo lunghi perché tutti possano avere la possibilità di recuperare i propri piccoli grandi tesori.
Tutto questo non c’è più; o meglio, rischia di essere messo a repentaglio da eventuali tempi lunghi di una ricostruzione. Allora, proprio per contrastare quel terremoto che portando via case rischia di demolire i ricordi, è compito primario coltivare la vita della memoria e la nostalgia del futuro, viatico essenziale a una meno remota ricostruzione materiale quando supportata da una ricostruzione morale.
Agata Turchetti