78. ANTONELLA TORNA A CAMERINO, O DELLA CHIAVE INUTILE

Ci sono molti articoli, giustissimi, che raccontano i tentativi di sciacallaggio nelle zone terremotate, e come evitare casi di truffa e corruzione. Sacrosanti. Però quanto sarebbero importanti anche gli articoli che raccontino come tutto sia fermo, nelle Marche non casualmente non citate da Errani nella sua intervista a Repubblica. Fermo significa fermo. Niente casette, niente stalle, eccetera eccetera come qui si ripete da 78 puntate. Fermo significa che poi hanno buonissimo gioco i Salvini e le Meloni e i loro scherani a dire “buuuu, ai migranti tutto e ai terremotati niente”. Fermo significa fermo. Maledizione.
Intanto Antonella Chiucchiuini torna a Camerino. Ed ecco quel che vede.

Camerino: la chiave della casa in zona rossa, l’attesa e la speranza.
Dopo circa due mesi sono ritornata a Camerino, la città sulla collina è ancora sospesa con qualche brutta ferita in più: la Chiesa di Santa Maria in Via non ce l’ha fatta. La volta è crollata…nulla era stato fatto per impedirlo.
Ho passato quattro giorni tra Camerino e la costa per aiutare la mia famiglia a completare il recupero dei beni. Mentre mi accingo a preparare la valigia per tornare dove abito, a centinaia di chilometri di distanza, mi ritrovo tra le mani la chiave del portone della casa in zona rossa. Mi soffermo a guardarla, ciondolante, attaccata al portachiavi che mi accompagna da una vita.
Ormai è una chiave inutile, penso dubbiosa su cosa fare di essa. E’ la chiave di una casa incastrata in un vicolo stretto che nonostante il terremoto ha ancora dall’aspetto familiare, sospesa tra le tante in una regione ferita. Chiave che non interessa più neppure ai ladri, perché chiude un portone che non serve a limitare gli ingressi, ma solo a nascondere pudicamente allo sguardo altrui le pareti lamate per le quali al momento non possiamo far nulla. Dobbiamo attendere…che cosa? Non lo sappiamo. Attendiamo che qualcosa di non ben definito si muova, che finalmente venga qualcuno che ci chieda quella chiave per andare a vedere cosa c’è dietro quella porta e per confermarci (ma lo sappiamo già) che non c’è niente da fare, la casa non è più abitabile. E poi? Cosa altro attendiamo?
Penso allora a quante chiavi inutili ci siano a Camerino, tra queste le chiavi dei negozi della zona rossa.
Una cinquantina di commercianti che non possono più accedere ai loro negozi si sono riuniti a formare una sorta di centro commerciale, il City Park, in una bella tensostruttura riscaldata. Rispetto a due mesi fa, quando erano ancora nel Christmas Park, li ho trovati più rilassati e sorridenti, orgogliosi di essere ancora attivi e di aver contribuito con la loro tenacia a creare il nuovo punto di ritrovo di Camerino. La gente passa tra la merce, saluta, chiacchiera…
Potrebbe sembrare una situazione vicina alla normalità, ma poi, parlando con i negozianti, scopro che c’è chi ha dovuto trovare un’attività complementare per andare avanti e chi tra mutui non sospesi e merce da pagare non sa come andrà a finire. Eppure sono lì e si danno da fare per resistere ed andare avanti; tutti insieme hanno creato qualcosa che è diventato il cuore pulsante di Camerino contribuendo, insieme al Comune e all’Univerisità, a mantenere in vita la città.
Mentre passeggio tra i negozi sento molta gratitudine nei confronti dei commercianti e mi chiedo cosa si possa fare per sostenerli e per fare in modo che non siano costretti ad andarsene. Senza di loro Camerino resterebbe senza vita. Ma cosa si può fare concretamente? Non ho risposta, so solo che non si può aspettare troppo.
Tra negozi e bar incontro amici e conoscenti che non vedevo da prima del terremoto, le lacrime rigonfiano i loro occhi, ma poi vengono rimandate indietro mentre mi raccontano come sono scampati al pericolo e mostrano sul cellulare le foto di camere da letto ridotte in macerie e di case sventrate come trofei di eroi consci di avercela fatta, ma rassegnati all’attesa di quello che dovrà accadere…attesa di ricevere il permesso per fare qualcosa per salvare quel rifugio che è diventato trappola, per evitarne la caduta definitiva, attesa di nuove ordinanze, di esperti che dicano cosa si possa fare per ricostruire le case con metodi nuovi, in modo che alla prossima scossa non subiscano danni, perché nessuno crede più che questo sarà l’ultimo terremoto.
All’ora di pranzo al ristorante e nei bar affollati oltre che dai clienti abituali anche dai camerinesi che hanno dovuto cambiare le loro abitudini (non potendo più ritornare a casa per pranzo) osservo il fermento di luoghi diventati loro malgrado fucine di idee dove professori universitari, studenti e ricercatori, impiegati e lavoratori di tutti i tipi si trovano a parlare, a confrontarsi, a farsi coraggio di fronte alla prospettiva di una ricostruzione estremamente problematica, senza precedenti.
Però ho notato che nessuno osa fare previsioni sul futuro di Camerino. Ognuno è combattutto tra l’attaccamento e l’affetto per quello che è rimasto della vita precedente ed il desiderio di costruire qualcosa di nuovo e sicuro. L’unica certezza: nessuno vuole andarsene per sempre, tutti vogliono tornare a Camerino.
Osservo come, nell’attesa che si possa fare qualcosa di concreto per la ricostruzione, le persone usino le loro energie per creare occasioni di incontro e svago per soddisfare il forte desiderio di aggregazione e per sopportare meglio la nostalgia per la bellezza di Camerino, che è molto forte, come testimoniato dalle foto e dai messaggi che circolano in internet.
Sto per partire, ma non mi sento addosso la tristezza che mi aspettavo, considerata la situazione. Sento piuttosto l’influenza positiva del vigore dei commercianti tenaci, dell’entusiasmo delle amiche che, pur avendo perso quasi tutto, sono ancora capaci di sognare cose belle per Camerino e si danno da fare per realizzarle, dell’affetto degli studenti che nonostante i disagi non se ne vanno, perché si sentono ancora a casa loro, della generosità di professionisti che mettono le loro competenza a disposizione dei cittadini.
Ho come l’impressione che in queste circostanze stiamo tutti sperimentando l’origine profonda della nostra consistenza, che non ha nulla a che fare con i beni materiali posseduti, ma che è costituita da una forza interiore sostenuta da valori, amicizie, presenze e, per molti, anche dalla fede.
Decido di portare via con me la chiave inutile e resto in attesa che qualcuno mi chiami per chiedermi di aprire il portone della mia casa in zona rossa.

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