A CHIUSURA DI SETTIMANA

Sul Corriere della Sera, Pierluigi Battista scrive un articolo molto interessante (lo trovate qui). Sono osservazioni da cui mi piacerebbe ripartire: proprio perché dai tempi della parolaccia libera a Radio Radicale (che anche Battista cita, perché quell’episodio fu, effettivamente, uno spartiacque) sono passati non pochi lustri. Certo, il paese non è cambiato molto, da quel 1986: non la mentalità, almeno, e il “tornatene in Congo” lanciato appena ieri alla ministra Kyenge ne è un esempio perfetto.
Alla fine di una settimana che ha visto delinearsi – come prevedibile – uno schieramento che appare terribilmente netto e dentro il quale si riversano altri infiniti stati d’animo (risentimenti generazionali e di classe, delusione politica, astute ricerche di visibilità, in alcuni casi), mi sembra che bisogna tornare a concentrarsi sul problema, cercando un po’ di lucidità in più. E il problema,  più che legislativo, è nella benedetta testolina di molti signori: che quando devono contestare qualcosa a una donna, invece di ricorrere ad argomenti più o meno validi, non trovano di meglio che ricorrere allo scherno sessuale. Anche perché partecipare a quello scherno, o approvarlo anche solo con un “mi piace”, che è l’equivalente web della strizzata d’occhio o della gomitata complice, significa quasi automaticamente mettersi al riparo: c’è un modo molto semplice per non venire attaccati nella rete, ed è quello di mettersi dalla parte dello schernitore, di mostrarsi simpatico, pronto “all’ironia”, meglio se di gruppo. Dinamica antica quanto gli esseri umani, peraltro.
Però. Mi piacerebbe che venisse presa in considerazione, per quanto riguarda il sessismo, una faccenda che non ha nulla a che vedere con il “moralismo” (ma che noia), bensì con un atteggiamento che non si vuole approfondire (comprensibilmente, perché è scomodo assai). Molto spesso, si prende parte a quello scherno anche perché viene condiviso, nel profondo di se stessi. Federico Faloppa, nell’introduzione al rapporto Naga sul razzismo dei colti, quello che traspare in molti articoli di giornale, scrive:
“Si prenda ad esempio il discorso riportato – riportato spesso senza dichiarare la fonte – che veicola non solo lo stereotipo più trito, ma che diventa – in mancanza di confini chiari, specie in presenza di un discorso indiretto – pure il punto di vista del giornalista: un modo semplice ma brillante per far dire ad altri ciò che si vorrebbe (ma non si potrebbe) dire in proprio”.
Riassumendo, dunque: quello che provo a dire da giorni, nella complicata via mediana, è che
questa è la questione centrale, e che di questa nessun cavaliere del web parla, o se lo fa la minimizza. Inoltre,  che non è con una stretta di vite legislativa o un’azione giudiziaria, salvo eccezioni, che si risolve la vicenda. Parole, temo, inutili, visto che ormai siamo in piena crociata, e la crociata è stata posta nei termini “tecnofobici versus tecnolibertari”, “paladini del futuro versus neodemocristiani censuratori” e il resto, par di capire, viene considerato tragicamente ininfluente.
Invece, è il cuore del problema. In altri termini: se siamo un paese tendenzialmente razzista, sessista e omofobo, un paese che appena trova la possibilità di far sentire la propria voce lo fa con le parole del ventre, che si fa? Non si tratta di gridare “aiuto, vogliono educare la rete”. Si tratta di chiedersi: “ma che caspita sto facendo, dicendo, scrivendo?”
Buon week end.

10 pensieri su “A CHIUSURA DI SETTIMANA

  1. il problema(uno dei problemi)è che se non si parte dal basso applicando le sanzioni previste per gli sconfinamenti poi è difficile rendere effettive tutte le altre leggi.E sto pensando per esempio al fatto che guidare,spesso pure da cani,adoperando il telefonino(e di solito per comunicare il nulla di cui è pervasa l’incultura che si può respirare in questa entità storico politica per cui si è versato molto sangue),comporterebbe una multa salata e la confisca dei punti della patente.Sappiamo tutti quanto è operativa questa norma.E poi però ogni tanto ci ricordiamo di lamentarci se l’apologia del fascismo,la diffusione,più o meno mascherata dell’omofobia,e la segreta istigazione alla violenza maschista siano prese in considerazione alla stragua di una boutade

  2. L’articolo di Battista è interessante e condivisibile quasi per intero. Dico “quasi” perché omette di richiamare, secondo me, un fatto importante ai fini della spiegazione dello sdoganamento dell’insulto. C’è un pezzo di Italia, che da un certo punto in poi si è identificato in una parte politica, che di questa malintesa “schiettezza” e “autenticità” popolare ha fatto una bandiera. Ce li siamo dimenticati, i “marescialli panzoni” dello stesso Brunetta, il celodurismo di Bossi, il “mostro bavoso” di Berlusconi a Prodi, lo stupefacente ” ah froci” di Storace quando gli chiesero di dire qualcosa di destra, il dito medio ormai ordinariamente ostentato da Gasparri e da mezzo centro destra, le accuse di fiancheggiamento a Cofferati dopo l’omicidio del professor Biagi, e mi taccio subito per non invadere l’intero commentarium? Certo, qui l’obiezione è facile: l’esperienza di radio parolaccia è anteriore, di molto anteriore, al berlusconismo e al leghismo; però c’era, in quell’epoca, una posizione pressoché univoca – certamente ipocrita, ma c’era – di tutte le forze politiche nel condannare queste vomitate. Il (noioisissimo) linguaggio della politica e del discorso pubblico doveva essere paludato, prudente, mai sopra le righe. Poi, senza passare per alcuna età dell’oro dei rapporti umani e della lingua, il pendolo ha oscillato direttamente nel campo opposto: dal ’94 in poi l’urlo e l’insulto sono diventati norma di rapporto con l’avversario, e non solo. Tanto che il “politically correct” è diventato un’etichetta spregiativa da appiccicare agli adepti della gauche caviar, intellettualoidi con la puzza sotto il naso incapaci (e indegni) di condividere i sani umori popolari. I quali, a giudicare da quello che “il popolo” (categoria che, non si sa perché, sembrerebbe non includere gli abitanti civili di questo paese) spande attorno a sé ormai da vent’anni, devono essere un robusto cocktail di afrori, flatulenze e aliti pesanti post abboffata veicolati da poderosi rutti. Verrebbe quindi da dire, quando si sentono gli alti lai dei Brunetta, dei Ferrara, dello stesso Berlusconi, delle Carfagna, Rosi Mauro, Brambilla e reggicoda/amazzoni varie, che chi semina vento raccoglie tempesta; poi, ovviamente, capita che molte persone corrette e consapevoli non siano in grado di astenersi dal difendere anche questi figuri, quando finiscono sotto – mi stava scappando “meritato” – attacco; da parte mia, confesso di non riuscire ad essere così ecumenico, e di non essermi granché appassionato alla levata di scudi in difesa di Rosi Mauro o di Mara Carfagna quando finirono nel tritacarne. Intendiamoci: riconosco il principio della giustezza di quella difesa, e forse anche la sua necessità, se concordiamo nel voler porre un argine a chi volentieri trasformerebbe questo paese in una lunga teoria di forche, dalle Alpi al canale di Sicilia; però è difficile, tanto difficile, e sfiora direi la santità, quest’esercizio di neutralità e com-passione, nel senso etimologico del termine, verso chi neutro non è e anziché compassione ha sempre dispensato odio e disprezzo proprio contro chi si è poi speso a difenderlo. Infine, vorrei sottolineare il sottilissimo confine che passa tra illazione e puro e semplice diritto di cronaca: ai tempi delle intercettazioni venne fuori anche roba molto piccante che in Italia non fu pubblicata, ma uscì, per dire, sul Clarin di Buenos Aires e su altri giornali esteri. Documentavano, potremmo dire, “dal vivo” come fossero stati ottenuti certi incarichi. Anche allora ci fu chi si indignò. A torto, direi, dato che, a quanto ne so, quelle intercettazioni non furono smentite; perché il particolare a luci rosse, in quel caso, rivestiva un evidente interesse pubblico, non essendo consentito dalla legge e dal buon senso barattare favori sessuali con cariche prestigiose e soprattutto remunerate con denaro pubblico. Mi rendo conto di quanto diventi difficile, in una situazione del genere, condannare l’esponente politico con la dovuta severità e al tempo stesso ricacciare indietro il voyeurismo, rintuzzare gli haters, difendere la donna; però è uno sforzo che va fatto, perché certe difese tout court, che in nome dell’antica e giusta delegittimazione della distinzione tra “ragazze per bene” e “ragazze per male” tendevano a non condannare i mezzi usati da certe signore per fare carriera, le ho trovate davvero fastidiose. Concludendo, e chiedo scusa per la lunghezza, ma il discorso mi interessa molto, io concordo con la tesi di Loredana: si tratta innanzitutto di un problema culturale e ben poco possono le leggi e le punizioni, in questo campo; aggiungerei però che una chiara indicazione di responsabilità a carico di chi questo fondo vergognoso del modo di essere degli italiani lo ha coltivato e sfruttato cinicamente anziché prenderne le distanze è necessaria quanto gli interventi in campo educativo e culturale. E’ sempre bene sapere da che parte si sta, e da che parte sta chi ha torto marcio.

  3. Maurizio, Carfagna ha preso 50mila preferenze in Campania. Avranno fatto davvero fatica quelli del Clarin a pubblicare 50mila intercettazioni. Non trovi?

  4. Non si tratta di “parolacce” o di “maleducazione”, ma dell’espressione di posizioni chiaramente fasciste.
    Personalmente, penso che chi considera un valore la prepotenza e la sopraffazione non meriti i benefici della Libertà.
    Tanto più che alle parole seguono spesso i fatti: dalle aggressioni di gruppo, spesso con accoltellamenti, ad omosessuali e/o presunti Comunisti, alle quali, forse per un malinteso senso della responsabilità, viene dato poco o punto rilievo dai mezzi d’informazione, alla violenza solo implicitamente fascista come quella, generalmente, contro le donne.
    E non mi si venga a dire che in tutto questo c’è una reciprocità da parte di centri sociali e formazioni di estrema sinistra perché non è vero: oggi, la violenza di destra è nettamente preponderante.

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