La vostra eccetera è una delle poche persone al mondo capace di prendersi l’influenza con questo clima. Tant’è. Ho appena dovuto annullare un piccolo tour pugliese per il libro e spero di poter essere sabato alla serata finale del Premio Città di Bari.
Il post di oggi è, comunque, una mail che ho ricevuto nei giorni scorsi. Me l’ha inviata Stefania Di Mella e, con il suo permesso, la condivido volentieri con voi. State bene, voi che potete.
Cara Loredana,
ha presente Arisa? Ho appena avuto la sfortuna di imbattermi nel suo secondo singolo, quello che fa seguito al tormentone Sincerità. Si intitola Io sono ed è una specie di dichiarazione di intenti di una giovane donna tradizionalista, che riscopre gli antichi e sacrosanti valori della famiglia, della casa, dell’amore. Da un punto di vista, però, della ragazza di oggi, che “si sbatte” giorno dopo giorno, è piena di amici, continua a sperare nonostante faccia parte di una generazione per cui forse la pensione non arriverà mai. Ecco, le consiglio davvero di ascoltarla, se non l’ha già fatto: il testo è un concentrato di riflessioni conservatrici in un linguaggio giovanilistico ( Io sono una donna che crede all’amore che vuole il suo uomo soltanto per sè voglio essere mamma perchè la mia mamma è la cosa più bella che c’è mi piace il natale, domenica al mare, poi alzarsi da tavola verso le tre perchè la famiglia a me mi meraviglia, mi piglia, vorrei farne una da me), arrivando a toccare vette inesplorate di esaltazioni della vita piccolo-borghese (E quindi amici non si può mollare, io continuerò a sognare una casa che che abbia un balconcino con le piante e un angolo cottura bello grande.) Intendiamoci: sogni legittimi, ma come possono ispirare strofe di canzoni? Diventare motivo di identificazione, di autorappresentazione?
Naturalmente a condire il tutto c’è un’interpretazione leggera, sdrammatizzante, che non sai mai se ci fa o ci è (domanda che ad Arisa viene posta continuamente, come lei stessa ama sottolineare). Ora il punto è: sono solo canzonette? Io temo di no. Vedo con molta preoccupazione l’affermarsi di un modello alternativo al “velinismo” che però si colloca a mio parere sullo stesso asse valoriale. Arisa è bruttina, d’accordo, e ha un look apparentemente originale, poco conforme. Per contro, però, canta la semplicità, la vita di poche pretese (E quando si organizza la serata tra un bicchiere e una risata fatta in compagnia mi rendo conto che mi serve poco, che tutta questa vita è un grande gioco), il sogno della donna media (ebbene sì, anche nel 2009). Non ci sta forse dicendo, allineandosi totalmente al modello socioeconomico dominante nel nostro paese e ai messaggi – espliciti e no – che arrivano da una buona fetta dell’opinione pubblica, che forse, alla fin fine, è meglio accontentarsi, fare le brave, non cercare a tutti i costi di affermarci nel lavoro, con le nostre lauree che tanto non portano a niente, e mirare invece a un bell’angolo cottura e a un balconcino rigoglioso? Forse il fatto che non la vediamo in désabillé dovrebbe tenerci tranquille? Come pure il suo ottimismo incontrastato, le sue conclusioni sempre e comunque positive? Francamente temo la forza subdola e strisciante di messaggi e simboli simili, la presa che possono avere (e che, chiaramente, i produttori di Arisa hanno individuato con precisione chirugica) su tante, troppe ragazze che nel ritorno alla vita delle loro mamme hanno già ripreso a individuare una scappatoia esistenziale importante, in un momento in cui le strade alternative sembrano troppo impervie e poco popolari. E che se proprio belle non sono, se non possono aspirare a una vita di serie A, possono sempre rifarsi con Arisa: ex estetista, un italiano stentato, che fa tanto poco snob, misteriosa e intrigante sulle prime e sulla base del suo look, ma poi, quando la senti parlare, vicina e inoffensiva come un personaggio del grande fratello.
grande!!!!
abbasso il modello arisa
viva il modello simona ventura
Avevo copincollato il testo di “Io sono” in una discussione su questo blog qualche mese fa.
Non mi ripeto, naturalmente.
Concordo con la perplessità di Stefania e aggiungo questo. Il modello di Arisa, oltre a suggerire “se non sei bella, accontentati delle piccole cose”, propone una femminilità anni cinquanta (forme prosperose, fare materno, valori familiari tradizionali) come unica alternativa possibile per una donna che non si voglia “velina”. È come ci dicesse: vuoi ribellarti alla chirurgia estetica e alle veline? Torna alla mamma, che è sempre bella, pure col nasone.
Non ho nulla contro le mamme né contro i nasoni, intendiamoci. Anzi, inizialmente era molto incuriosita dallo scossone mediatico che la fisicità di Arisa sembrava dare, comparendo, tutta strana com’è, sul palcoscenico di Sanremo.
Dopo qualche minuto di osservazione, però, era chiaro che non c’era proprio nulla di nuovo, perché Arisa non faceva altro che mettere in scena, come periodicamente i media fanno, la NOSTALGIA. Soprattutto in tempi di crisi, la nostalgia funziona molto bene.
A questo proposito suggerisco il libro di Stephen Gundle “Figure del desiderio. Storia della bellezza femminile italiana” (Laterza 2007). Sostiene che la nostalgia sta un po’ in in tutte le bellezze italiane del cinema e della moda che riescono a imporsi a livello internazionale: dalla Loren alle più recenti Cucinotta e Bellucci. Senza nasone, ma pur sempre nostalgiche.
Scusate i refusi… vado di corsa. Ciao!
aspetto l’agnizione,incrociando le dita.Una pronta guarigione
Il post di Licia Troisi va letto: perchè è simile a molte reazioni che ho incontrato nelle donne intorno a trent’anni, che prendono un’analisi sui modelli come un attacco alla libertà personale di voler essere come si vuole. Libertà che nessuno mette in discussione. Ma, al solito, si tende a difendere la propria, singola, esistenza. Quando il problema è, ahi, di dimensioni più ampie.
Rispondo anch’io a Licia. Come ho scritto, non ho niente contro i sogni legittimi, di una vita fatta di amore, casa, pantofole e divano. Il problema è che quando si cantano, quando diventano le parole di una hit che è un inno pubblico a uno stile di vita, che si intitola “Io sono”, escono dalla sfera privata e, a mio parere, diventano modelli comportamentali, nonché possibili stereotipi non meno incisivi e pericolosi di altri.
A questo modello suggerito da Arisa e ben evidenziato nella lettera di Stefania, affianco un altro esempio assai simile: Benedetta Parodi INCINTA che compare tutti i giorni alle 12,45 nel servizio finale di Studio Aperto. La rubrica si chiama “Cotto e mangiato” ed è l’imprescindibile “angolo cottura” che oramai tutti i tg (rai o mediaset non fa differenza) hanno adottato.
Bene, la “nostra” Parodi (da annunciatrice/lettrice di notizie del medesimo tg ora è passata in cucina: ha fatto carriera…) accoglie quotidianamente -con pancia in evidenza- il telespettatore con un bel “Salve, benvenuti nella mia cucina!!”. Sorridente e precisa elargisce trucchi e ricette: manicaretti suggeriti dalla nonna o dall’amica di turno o, in alternativa, consigli culinari inviati in redazione dalle telespettatrici.
Tiè, beccatevi questa!
Quindi se uno ha sogni “piccoli”, magari oltre a quelli “grandi” (avrà voluto far la cantante, questa donna, suppongo) deve tenerseli per sé e magari anche vergognarsene un po’?
Mi sembra che secondo questo ragionamento, un cantante non possa cantare di nulla: tutto diventa modello e imposizione.
Perché invece non si può accettare che in una persona possono convivere diversi ordini di esigenze, da quella di lavorare, farsi una carriera, al piacere (che io personalmente non capisco) di lavare i panni nel fine settimana?
Semplicemente, non mi sembra che questa specifica canzone veicoli un modello così deteriore e diseducativo.
E’ vero però che una simile lettura vale solo se declinata al femminile. Al di là delle aspirazioni un po’ banali e sicuramente conservatrici del personaggio nella canzone di Arisa, l’aver ‘riallineato’ le aspettative sul lavoro è una nesessità comune anche al mondo maschile ormai alle prese con uno stabile precariato. Con questo di certo non nego le pesanti differenze di genere ancora presenti nel nostro Paese, soprattutto in ambito professionale.
Condivido sulla pochezza della canzone, ma che in tanti si sia iniziato (per fortuna, in un certo senso) a investire anche su qualcosa di diverso che il lavoro e la carriera è un dato di fatto. O, per lo meno, io l’ho fatto
Hai fatto centro, Luca… le donne SERVONO a casa in questo momento socioeconomico. Quindi eccoci servite di un’Arisa che ci faccia anche credere che fare la casalinga sia bello!
E’ che si fa fatica a distinguere i piani, e quando ci si confronta il piano intermedio il piano della riflessione sociologica rimane sempre un po’ schiacciato. Magari la Lipperilla si riferisce esclusivamente a quello, ma non sempre questa cosa è abbastanza esplicitata.
Io pure trovo la canzone un po’ devastante. E ne avevamo già scritto qui. E alla questione dei gerani e angolo cottura n’antro po’ schianto.
Ma ecco, due riflessioni.
1. C’è un sacco di maschi che lavora per campare ma prioritariamente pensa alla realizzazione di se nel privato. E’ un modo esistenziale diffuso – tra maschi e femmine, solo dei maschi non si dice mai. L’ideologia della realizzazione di se per tramite di carriera fica però è molto borghese e urbano, e forse un tantino alto borghese. Ci sono diversi impiegati der catasto che non è che proprio hanno cercato lavoro ar catasto perchè ah che fico. Ma hanno potuto accendere un mutuo. E quella casa per cui lo stanno pagando – orrore orrore! – è il correlato oggettivo di se, altrettanto della famosa realizzazione intellettuale. Concetto che mi chiedo – non sopravvaluteremo un tantino? noantri fichi de sinistra? Ma se campa solo solo solo per questo?
2. Non scriverei mai de angoli cottura. Ma ogni volta che ti trovi davanti a queste obiezioni Loredana ci dai delle brutte miopacce e anche un po’ egoiste! PPP ma noi trentenni, persino noi proprio spocchiose ntellettuali ce lo abbiamo questo problema in tema de femminismo: perchè ci troviamo a voler difendere dei valori, che le nostre madri hanno dovuto rifiutare, e che siccome sono sponsorizzati da una classe di stronzi non siamo libere di appropiarcene e usarli. Ti si attacca da due parti. Come la minigonna della Conchitona De Gregorio pora donna: a destra ti si da della troia perchè minigonna uguale donna troia. E a sinistra… idem con patate perchè sia mai che te vuoi riconoscerti anche nel tuo culo, e con la tua storia di emancipazione a proposito di culi. Così si sente questa foga e ci si chiede. Ma se io voglio anche questo che aggia a fa? Devo combattere per quello che ha combattuto la mia mamma? e le sue amiche? Non posso fare un passo avanti? Non posso chiedere qualcosa di più complesso e articolato? Tu dicevi l’altra volta a proposito dell’Infedele: che palle la dicotomia tra gnuda televisiva velina, e sciamannata disadorna – alludendo alla Huck. Ma alle volte noi ci troviamo in mezzo proprio a questo.
Ho dormito poco, ma spero che un po’ me se capisce.
beh,però la Parodi a mio parere è un bell’esempio.Mi ricorda tanto la simpaticissima teutonica segretaria di produzione dell’unico film in cui ho fatto la comparsa che con “l’inquilino” quasi al nono piano si permetteva di impartire istruzioni alle maestranze fino alle 5 del mattino con un sorriso che forse avrebbe potuto farci sentire meno cinici .E l’indomani si andava nuovamente in scena(inoltre ho una sorella che a ragione dice che i mariti sono una mezza palla al piede.I figli piccoli mai)
Segnalo a Loredana, sul tema della giornata ma non solo, questo post. L’ho appena visto, anche se è di qualche giorno fa, e mi sembra adattissimo
http://blog.libero.it/lasciatiSEDURRE/7056949.html
Mi colpisce un’analogia, su un argomento apparentemente distantissimo:l’ultimo film di Star Trek.
Ecco un link su un blog molto interessante di una appassionata di fantascienza:
http://www.fantascienza.com/blog/la_tela_di_penelope/
Il film pare stia ricevendo consensi quasi unanimi e chi non lo definisce capolavoro viene subissato di proteste. Fra questi, una minoranza femminile si e’ permessa di criticare il ritornare indietro delle tematiche e della filosofia di base, rispetto alla stessa serie classica, con particolare riferimento alla visione filosofico-sociale- politica e al ruolo dei sessi.
Chi e’ che parlava di anni 50, a proposito di Arisa? Ecco, se il fascino della serie originale di Star Trek, pur nelle sue ingenuita’, stava nel presagire i fermenti degli anni 60, la minigonna come protesta e simbolo, non come velinismo, i movimenti hippy e pacifisti, la fantascienza sociale impegnata, la crescente importanza della donna (una ufficiale donna, e per di piu’ nera, sulla plancia di comando di una astronave per i tempi era rivoluzione!)…
se le serie successive di ST hanno proseguito ammodernando queste idee e seguendo i tempi, con l’eccezione dell’ultima, orribilmente bushista e non a caso pietra tombale del filone telefilm…
Ecco, l’idea e’ che con questo film osannato che strizza gli occhi ai “ggiovani” e a mtv, si voglia riproporre uno sfondo e uno scenario moderno solo negli effetti speciali, in realta’ rassicurante, ingessato e convenzionale come la mentalita’ anni 50.
Tutto il mondo e’ paese? certe tendenze si diffondono? Mi rimane solo una speranza, che come allora, a dispetto dell’immobilismo della societa’, i fermenti innovativi che bollono in pentola, che ci sono, prima o poi vengano fuori un’altra volta pe runa nuova stagione di cambiamento.
Ultima precisazione: ricordo che l’altra volta avevo espresso una posizione dubitativa sulla negativita’ di Arisa. Alla luce di varie considerazioni forse ero troppo ottimista.
In effetti, mi pare si tratti di trappola costruita a tavolino, proprio come Star Trek: diamo alle ragazze un ideale solo apparentemente alternativo alle veline, in realta’ ancora piu’ retro’, ancora piu’ ancorato alla vecchia figura e ai vecchi valori, moglie madre casalinga compagna dell’uomo.
Cosi’ come la Uhura perfettina e innamorata devota di Spock dell’ultimo film rappresenta un ulteriore passo indietro rispetto alla ‘T Pol dai labbroni a canotto e dai vestiti provocanti dell’ultimo disastroso telefilm.
Devo confessare che la serata con gli amici in casa a bevucchiare e parlare di cazzate mi si adatta perfettamente.
Non credo che la canzone di Arisa abbia avuto successo perché ispira valori anni ’50 e questo diciamo sta bene ai pubblicitari.
La canzone ha avuto successo sulla scia del brano che a Sanremo ha spopolato. Oltretutto i testi di Arisa li scrive il suo ragazzo, quindi teoricamente rappresentano l’ideale suo (di lui) e non di lei.
E concordo con Zaub sul fatto che a mancare siano proprio le scale di grigi. Ammesso e non concesso che Arisa e Alba Parietti rappresentino il bianco e il nero della questione.
Il punto quindi diventa: come mai diventa spesso difficile la rappresentazione di questi modelli intermedi?
Una ragazza senza bellezza sembra impossibilitata a fare carriera (in tv, e in minor specie al Cinema). Se è bruttina, che almeno sia rassicurante. Ma questo non è uno dei Comandamenti. E’ una delle leggi non scritte in cui credono fermamente gli autori, i creativi. Finché non si va a trapanare il loro cervello per farci entrare nuove idee, beh la vedo ardua…
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Interessante la questione della “nostalgia” della bellezza delle attrici italiane. Poiché non credo che la bellezza possa essere nostalgica (come si fa a dire che Stefania Sandrelli o Claudia Cardinale siano bellezze nostalgiche), questo dipende dai ruoli che hanno interpretato. Dai quei ruoli si è creato l’immaginario di una femmina un po’ mélo.
Non hanno mai avuto ruoli brillanti, comici, se non molto raramente (lo furono la Vitti e la Fenech – anche se lei in versione softcore).
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Loredana dati i 30 gradi Celsius o hai fatto scarsa dieta di arance e mandarini durante l’inverno, oppure io vedo l’ombra degli accidenti su di te!
Oppure l’influenza suina ha colpito ancora e alla Lippa sta per spuntare una coda a cavatappi ;-))
Coda? Quale coda?
Scherzi a parte, mi rendo conto che è un discorso scivoloso: ho dato un’occhiata ai commenti da Licia e sono piuttosto timorosa nell’intervenire di nuovo da lei. Non sono una moralista bigotta e non ho nessuna voglia di giocare a questo gioco. Chi ha letto il libro, chi ogni tanto passa di qui, lo sa. Per gli altri, pazienza.
Ribadisco che per me, l’attenzione ai dettagli non è mai secondaria. E, ripeto per la novecentesima volta, ognuno può scegliere la vita che desidera: purchè la scelta sia consapevole. E purchè i modelli proposti ci lascino davvero liberi di scegliere (sì, certo, ognuno deve scrivere quello che vuole: ma come mai esistono scrittori che si interrogano sul femminile che esprimono e scrittori che invece sono felici e tranquilli nel tratteggiare il personaggio della bella gnocca cretina? Libero lo scrittore di descrivere la gnocca. Libera io di preferire i primi, per esempio).
mi dispiace ma non son affatto d’accordo con questa critica ad arisa
il velinismo è uno schifo, siamo d’accordo! ma perchè andare contro la semplicità di arisa? sembra che il vostro unico modello di donna sia quello della donna in carriera ultra-progressista e ultra-femminista! se si propone questo unico modello e si rigetta la parte più tradizionale e umana della donna, come un boomerang la società maschile ricalcherà sempre di più il modello velina per reazione.
secondo me per combattere la mercificazione del corpo delle donne e il velinismo bisogna, almeno in parte, accogliere alcuni degli ideali proposti da arisa per sanare lo sbilanciamento che c’è tra i modelli donna-velina e donna-in-carriera
Anche a rischio di sembrare molto snob, devo confessare che non ho mai visto Arisa, né ascoltato le sue canzoni. Fortunamente non sono una sociologa e posso dribblare a cuor leggero certi comportamenti. Almeno io lo faccio a cuor leggero, poi magari non dovrei.
Non so perché ma spesso mi trovo ad essere d’accordo con Zauberei.
Capisco e condivido assolutamente la preoccuparzion per il rischio che si individua nei modelli di comportamento, ma mi verrebbe da dire, in modo terra terra: purché ce ne siano tanti, che male c’è? Oltretutto mi paiono ineliminabili.
Il problema è del marketing che oggi ha strumenti molto più sofisticati per intervenire in modo chirurgico su target ben selezionati?
Forse è questo che rende i modelli più minacciosi?
Eppure cercare di ‘individuarsi’, da che mondo è mondo, è sempre stata una faticaccia terribile.
Una frase di Gide, ascoltata per caso alla radio da bambina, per me è stata quasi un talismano: “Niente è più stancante nella vita che realizzare la propria dissimiglianza”.
E’ stancante, ed è stancante soprattutto nei confronti dei ‘buoni modelli’. Io non conosco scorciatoie, so solo che bisogna continuamente segnalare il pericolo. Ma proporre modelli ‘positivi’ mi sembra un ossimoro.
mentre scrivevo, non avevo letto il post di Loredana. Sì, allora sì, mi pare di essere d’accordo.
Gigi scusa, ma tu cosa intendi con “donna in carriera ultra-progressista e ultra-femminista” e “si rigetta la parte più tradizionale e umana della donna” ?
sono una ragazzina che frequenta il liceo, non so chi sono e chi voglio essere.
A questo punto mi devo guardare attorno e decidere basandomi sui modelli che mi si presentano e…cosa vedo?? Vedo gente più grande e, si suppone, più matura di me che, come un venditore ambulante, cerca di propinarmi la scelta migliore: fai la velina! metti in mostra le tue forme, è facile, non devi neanche pensare, devi solo umiliarti;
fai la mammina casalinga! con il balcone pieno di fiori, è una vita semplice, non ti richiede di essere bella ma neanche emancipata;
noooo! fai la donna in carriera, sii indipendente, diventa importante, fregetene della famiglia, tu sei più importante!!
Credo possiate capirmi se sono un tantino smarrita… però credo che non ci sia una scelta giusta e una sbagliata, intendo: che problema c’è se divento una showgirl? se mi piace? E’ forse troppo poco sognare di avere un famiglia, un marito, dei figli, qualcuno che mi ama e mi darà sempre conforto? qualcuno da amare così tanto da dedicargli la mia vita? amare è poco? E sfruttare le mie capacità intellettive per fare carriera? E rinunciare a tutto il resto per veder realizzata solo me stessa? è sbagliato?
Voi adulti che razza di mondo ingarbugliato mi lasciate?!?!?!?
Povera Arisa!! ok mi sta antipatica (solo xkè non mi piace la sua voce) ma chi ha scritto quella lettera è crudele!
“Non ci sta forse dicendo, allineandosi totalmente al modello socioeconomico dominante nel nostro paese che forse, alla fin fine, è meglio accontentarsi, fare le brave, non cercare a tutti i costi di affermarci nel lavoro, con le nostre lauree che tanto non portano a niente, e mirare invece a un bell’angolo cottura e a un balconcino rigoglioso?”
ma dove sta il problema??? cosa c’è di male nel volere una vita del genere? non riesco a capire cosa preoccupa l’autore…
“Francamente temo la forza subdola e strisciante di messaggi e simboli simili, la presa che possono avere su tante, troppe ragazze che nel ritorno alla vita delle loro mamme hanno già ripreso a individuare una scappatoia esistenziale importante”
forza subdola e strisciante…mah…dove?? come se l’intenzione della canzone fosse convincere ragazze come me a metter su famiglia e a “scappare”, scappare da cosa? una grave minaccia all’orizzonte? poi che c’è di male ad ispirarsi alla mamma?? la mia mamma è fantastica e sarebbe il massimo poter essere come lei ( ed è una casalinga!)
non so, sono confusa… ^-^
Sempre per fare quello del bicchiere mezzo pieno: un piccolo urrah per Samantha Cristoforetti, non ce lo vogliamo mettere? Loredana, intervistala tu!
Ma è possibile far crescere una “persona” con l’idea che l’unico modo per realizzarsi sia quello di fare la show girl? e se quella povera non ci riesce che fa? sarà una frustrata a vita?
A parte questo, credo che il problema stia nei valori che vengono trasmessi: mai e poi mai sino ad oggi, si sono proposti/scelti come modelli, quelli che permettono la realizzazione in cambio di “fatica” (anche intellettuale) e pochi soldi (= scarso prestigio sociale).
Il problema è che l’idea della realizzazione passa soprattutto attraverso l’dentificazione con ciò che si ha.
Ecco perciò la rivalutazione del modello “casalinga”. E’ a mio avviso interessante che si riproponga oggi: infatti se le condizioni socioeconomiche abbassano il livello delle condizioni di vita, meglio, molto meglio, puntare al balconcino fiorito… almeno quello si vede da lontano e sai che soddisfazione!
Quanto poi questo sia effettivamente “vera realizzazione” ognuno potrà dire… io intanto vado ad innaffiare le petunie…a presto.
Il punto secondo me non è tanto il testo della canzone in sé, quanto il fatto che i produttori/ideatori del “prodotto” in questione fossero convinti che avrebbe fatto successo. Questa convinzione , e la relativa conferma, dimostrano che evidentemente nel senso comune attecchisce ancora lo stereotipo di cui si è parlato.
Quindi, non trovo giusti i commenti in cui si chiede “ma che male c’è, ora non si può neanche scrivere un testo” ecc ecc perché qui si discute sullo stereotipo: sul fatto che è comune e diffuso, e questa canzone col suo successo ne è un’espressione.
Si ripresenta così il problema dei modelli, come scriveva qualcuno è importante riflettere oltre che sulla bontà e qualità del modello in sé come stiamo facendo adesso, anche e soprattutto sulla necessità di un pluralismo dei modelli. Questo agognato pluralismo è ridotto ad una semplificante e discriminante dicotomia, quella di cui si parla più sopra…
ma davvero siamo al punto che stiamo discutendo se modelli di vita da proporre alle ragazzine devono o no comprendere l’esposizione del corpo nudo a scopo di lucro o la mortificazione a vita dell’intelligenza nella pulizia dei water lordati da altri e nell’insaponamento delle mutande altrui? e se l’uno sia o no superiore all’altro?
ma veramente siamo tornati al punto che esistono i modelli femminili che in quanto tali debbano essere qualcosa di altro e diverso rispetto all’elementare buon senso che è studiare il più possibile (in qualunque forma consentita dalle proprie possibilità) per raggiungere un minimo di libertà interiore e consapevolezza e cercare di affermarsi come essere sociale attivo, in grado di automantenersi? sono vittima di una allucinazione?
forse gli unici modelli di riferimento che voi donne dovete seguire almeno per i prossimi vent’anni sono la Dora di Central do Brasil e la Gena Rowlands di Gloria(pensavo che fosse il caso di dirvelo)
Ilse, nel tuo blog citi Il contagio.
Viviamo nel paese che racconta Siti.
Il paese intero è vittima di un’allucinazione.
Ma il tuo ottimismo mi piace!
Virginia si parla appunto di possibilità di scelta.
Il che per carità fa sempre bene alla salute. Ma si può e si deve commentare\giudicare le scelte che fanno gli altri.
Io ancora mi domando come le teenagers italiche (quindi tue coetanee) abbiano potuto decretare il successo nazionale del film “Come tu mi vuoi”. Mi domando come sia stato possibile che regista, sceneggiatori, produttori, distributori non abbiano potuto\voluto opporre resistenza all’ideologia maschiofascista marcia che c’è dentro.
Il fatto che ad interpretarlo non sia stata una ragazza presa per strada, alla prima esperienza e magari bisognosa di soldi, ma Cristiana Capotondi che andò ad “Amici” e venne presentata come un modello di recitazione e di ragazza, e che di soldi ovviamente non aveva bisogno; beh tutto questo giustamente deve porci delle domande.
Io parlo del Cinema che mi tange più da vicino, ma di esempi ne esistono di altrettanti e peggiori nella nostra sorellona minore.
Si’, sono sempre piu’ convinta, dal tono dei discorsi che leggo sui vari blog (anche a proposito di Star Trek che citavo prima) che siamo regrediti agli anni 50 sotto molti punti di vista e senza accorgercene.
Siamo in situazione alla Mona Lisa smile o giu’ di li’. Irrigiditi e inamidati da ruoli e convenzioni.
Personalmente rinuncio spesso a condividere le mie visioni del mondo perche’ mi sento del tutto isolata. Anche solo sentir dire voi donne, voi uomini, quel noi e voi, quel differenziare e separare a tutti i costi, come in politica, e come li’ per parlare di simboli e di stereotipi anziche’ di contenuti, mi ha stufata.
Da femminista di vecchia data, dico che quando certe correnti cercavano l’emancipazione attraverso il raggiungimento di uno status simile a quello degli uomini, copiandone atteggiamenti e modi di essere, lo trovavo sbagliato: era come ammettere, che quello, il modello aggressivo e ambizioso, era il vincente. Era come darsi delle inferiori da sole.
Ma la soluzione non e’ , per me, “tornare a fare emergere la parte piu’ tradizionale e umana” della donna, come dice gigi, ma che la parte sensibile, le doti empatiche e le qualita’ “femminili” che sono in tutti noi vengano riabilitate e considerate al pari del lato “maschile” della personalita’, nella mentalita’ comune.
E questo, in tutti noi. Donne e uomini. Solo persone, complesse quanto basta, sensibili o decise quanto basta, spazzando via il macho, il guerriero, la casalinga sottomessa, la velina, il/la manager aggressivo eccetera.
Ma siamo lontanissimi anche solo dal prendere in considerazione simili obiettivi come accettabili.
@ Lipperini
Proprio oggi ho incominciato una “battaglia” contro un articolo di giornale che pensa di dissacrare gli stereotipi femminili reiterandoli.
Ovviamente, la risposta è che sono una bigotta.
E ritorna il solito problema, è sempre colpa di un altro…
Il politically correct è noioso, il soggetto dell’articolo è riferito ad un’artista che gioca in modo volgarissimo con la sessualità e quindi è normale parlare di quello, stiamo solo dissacrando i nostri idioli e bla bla bla.
I mass media si devono dare una regolata perchè anche loro hanno la loro porzione di colpa.
Se vuole fare una full immersion sulla mia battaglia mi scriva alla mail che dovrebbe comparirle col messaggio.
@ Virginia
L’unico consiglio che ti posso dare è “sii forte e fai le tue autonomissime scelte”. Fai solo quello che senti che è giusto per te, indipendentemente dai modelli etc etc….
Piacere a tutti è impossibile, ci sarà sempre qualcuno pronto a denigrarti anche se tu aderissi perfettamente ad un modello “vincente”.
Perciò, parafrasando l’ateobus inglese “STOP WORRYING AND ENJOY YOUR LIFE” casalinga, manager, santa o vampira che sia…
Non vorrei andare O.T. ma proprio qualche giorno fa parlavamo dell’antologia curata da Vasta, Anteprima nazionale. Nove visioni del nostro futuro invisibile (Minimum Fax), ci sono stati alcuni interventi, tra cui il mio, in cui è stato posta questa domanda: perché non è stata scelta neppure una donna tra gli scrittori?
Poi la discussione si è arenata tra qualche fraintendimento e malumore, secondo me inopportuno.
Poi oggi, a FahrenheitFahrenheit sento (poco e male) una intervista a Scurati e Wu Ming 1 che parlavano dal convegno di Officina Italia, il cui tema quest’anno è ‘Il coraggio del futuro’, tra i partecipanti anche alcuni degli scrittori presenti nell’antologia, anche Sergio Vasta.
E quello che ascoltavo mi ha confermato nell’idea che la domanda che ponevamo era più che legittima e non per un fatto di rivendicazione di genere né tanto meno per impiantare una querelle letteraria, di cui non me ne può importare di meno, ma perché la questione che si pone nell’antologia e nel convegno è fondamentale: quale futuro possiamo immaginare oggi, in Italia, “in un tempo nel quale il presente è il vero regime sotto il quale è dato vivere – un presente pressante e pervasivo, dotato di un’estensione che appare illimitata, nonchè di una specie di appetito famelico, un presente che mangia se stesso e che ininterrotamente si riproduce e replica se stesso, la nostra capacità, nostra di noi italiani , di immaginare il futuro sembra essere del tutto compromesso” (ho copiato dalla prefazione di Giorgio Vasta all’antologia).
Scusate ma non è di questo che stiamo parlando qui, di un impantanamento in un presente cronachistico eternamente contingente? Così, più o meno, mi pare si esprimesse oggi Scurati alla radio.
Siamo cadute, anche come donne, e in quanto donne, in questo incantamento e non riusciamo a uscirne. Non esiste un modello femminile soltanto, lo diciamo, ma non sembriamo crederci.
Milena propone un altro modo di essere donne e uomini, e poi questo modello lo dà subito per spacciato. Ma perché?
Io non sono una che si occupa di letteratura, per cui non ho partecipato alle oceaniche discussioni su New Italian Epic, però secondo me quel libro pone delle questioni fondamentali, come per esempio quella della mitopoiesi, che sembra una parolaccia, però è quella cosa attraverso cui si immaginano nuove narrazioni e nuovi modelli. “Io penso che dobbiamo essere fondativi” ho sentito che diceva oggi Wu Ming 1 alla radio. E ha ragione.
Solo che a me ancora mi brucia il fatto che Dio e Adamo dettero il nome a tutte le cose prima di avere Eva tra i piedi. Ecco, non so se mi sono spiegata, lo dico senza un briciolo di polemica, e nessuno riprenda d’aceto per favore, non è proprio il caso. O forse sì. Fate come meglio vi pare.
Accidenti l’ho fatto ancora, la prossima volta lo chiamo Lucifero, giuro.
Beh Valeria, a proposito di mitopoiesi, l’importante è sempre avere una scelta.
E persino i non propriamente femministi ebrei d’antan l’avevano messa: per Adamo intendo. Prima di Eva, c’era Lilith. Pensa che io ho scoperto l’esistenza di Lilith solo dopo aver visto Evanghelion…
@Michela e quindi a Virginia
“sii forte e fai le tue autonomissime scelte”
Pensi che uno riesca a prescindere dai modelli (soprattutto quando si è un formazione)? Si riescono davvero a vedere le proprie esigenze in questo marasma di informazioni che deglutiamo ogniddì? E il testo di Arisa casca a fagiolo, le mie vere esigenze, ecco quali sono: fare la mamma. Facile facile facile.
Io sono un ragazzo ed ho onestamente difficoltà, voi donne davvero ce la potete fare?
@Valeria
Io quel modello non lo do’ per spacciato. E’ il mio modello di una vita. Anzi, e’ la MIA vita.
E’ l’ispirazione di quello che scrivo. Ma da tanti, troppi anni sono abituata a sentirlo attaccare nelle discussioni, percio’ istintivamente prevengo le obiezioni.
Dagli uomini, che lo rifiutano semplicemente in nome del “vive le difference”, quasi che essere piu’ completi come esseri umani ci sminuisse sessualmente, riducesse l’appeal provocato dall’esagerare le differenze di genere.
Dalle donne che tantano di realizzarsi, che se gli parli di rivalutare le virtu’ “femminili” ti attaccano quel femminili come se gli proponessi solo la scuola di macrame’.
In genere vedo che le discussioni danno per ovvie premesse che per me ovvie non sono.
Ma intanto continuo felicemente la mia vita concreta, come quell’anitra che secondo tutte le leggi scientifiche non potrebbe volare, eppure, chissa’ perche’, vola.
@Ekerot. Sì, ma sul menu delle opzioni Lilith ed Eva mi pare che non fossero presenti contemporaneamente. Rimane da appurare poi che scelta abbia avuto Lilith, di cui so molto poco, vagamente emerge un titolo o uno slogan ‘la prima è stata Lilith’, però poi la nebbia.
@Milena. Mi rendo conto di essere stata un po’ brusca con la mia affermazione, ma quella dello scommettere sul futuro è una mia fissazione.
Mi sono resa conto che io e te abbiamo percezioni diverse: io vedo coagularsi piccoli grumi di nuovo, e mi piacerebbe zappettarci attorno. Se qualcuno mi dice: guarda che tanto gela mi arrabbio.
Stavolta ci sei capitata tu, ma è stato un caso.
p.s.Michela Murgiasul suo sito segnala due pubblicità piuttosto disgustose.
notate bene: io quel nome stavolta non l’ho fatto.
vediamo che succede.
Ragazzi, atterrati, dispersi, schiantati da una canzonetta! E sì che lo diceva anche Bennato:”sono solo…” Non se n’esce…veline o casalinghe, angeli o demoni, sante o puttane, la solita minestra (o altrimenti dicotomia) riproposta all’infinito come nota argutamente Ilse…ma insomma una povera donna che ha da fa’, come si chiede giustissimamente Virginia…
E immancabile la teoria del complotto: c’è una Spectre di autori di canzoni che risponde direttamente al Grande Vecchio e propina sottili veleni alle giovani generazioni per inibirne il potenziale di anticonformismo(!) o pacificarle prima che sballino per non aver ottenuto la parte di velina… la Spectre poi si scopre che si materializza nel fidanzato di questa Arisa, ma non conta, sicuramente i discografici asserviti al potere hanno colto al volo la grande occasione per indirizzare le masse sprovvedute nella direzione voluta:”Le donne alla ‘onca!”, si semplifica dalle mie parti. Insomma a lava’.
Riassumendo: velina no, casalinga no, cosa rimane? Gabbanelli o la Hack? E’ un po’ po’ino.
Altra questione: ma poi quante ragazze sognano DAVVERO di diventar veline? 1 su 100 è già tanto, se non altro perchè non ne hanno i mezzi fisici. E allora, come va di moda dire oggi: “di che stiamo parlando?”. E le altre 99? Sognano come tutti di far cose normali e, in questi tempi dove tutto è precario, non solo il lavoro ma anche l’amore, il matrimonio e la casa, niente di strano che possa aver successo un sogno piccolo-borghese fatto di piccole cose concrete, che per tantissime persone costituiscono pur sempre l’alfa e l’omega. Dov’è il disvalore d’un balcone fiorito? Certo, se uno si accontenta solo di quello…ma, e se anche fosse? La grande maggioranza di questo vive…
Piuttosto, sta canzonetta mi pare, più che alle veline, contrapporsi alla teoria della “vita spericolata” e dello sballo da discoteca che oggi son rimasti l’unico misero equivalente del ribellismo giovanile del ‘900. Se è vera questa interpretazione, la canzone in questione, banale e irritante quanto si vuole non mi pare nemmeno censurabile.
@Valeria: se la più grande scrittrice nazionale è la Mazzantini allora magari si capisce l’esclusione…(scherzo, ovviamente)
Avevo deciso di starmene un po’ zitta, perchè oltretutto non ho tanto tempo.
L’articolo di Fuentes postato oggi da Loredana può essere d’aiuto.
C’è differenza tra un mito che emerge da un abisso di un inespresso che chiede di essere detto e un modello costruito a tavolino attraverso le intercettazioni del marketing. Magari il materiale di partenza può essere uguale e pure le esigenze, i bisogni, i desideri, ma il risultato è molto diverso.
Laddove il mito è fecondo e potenzialmente liberatorio, il modello costruito a tavolino è rigido e impositivo.
p.s. riguardo ai modelli mi è venuto in mente un libro letto qualche tempo fa, e che consiglio a Virginia Disobbedienza di Naomi Alderman (Nottetempo)
@Nautilus. Non di solo Mazzantini vive la donna.
Letto ‘Tu non sei lei’?
(sparisco)
Comunque ricordo che anche nella letteratura italiana della Garzanti (non mi chiedete il volume, sono passati troppi anni) c’è già un’analisi dell’etica e morale fascista interpretate dalle canzonette del tempo, con, tra l’altro, “Oh campagnola bella” come simbolo della fisicità femminile gradita dal regime, ovvero prosperosa, fianchi larghi per partorire i famigerati 13 figli e beccarsi la medaglia alle famiglie numerose, che ama stare nei campi a faticare come una bestia e non si mette in mente di diventare modista, badante o tranviera in città che vuoi mettere l’aria buona? Sintetizzo a cavolo, ma è un bell’articolo, chi può lo legga.
Quindi rispondo a chi si chiede se le canzonette possono poi tanto: certo che si, e fingere di non vederlo è nel migliore dei casi da ingenui.
Sui modelli che proponiamo e ci propongono, credo che alla fine ognuno, come Virginia, si fa le sue domande, si guarda intorno e si regola da sé in base alle proprie inclinazioni e quello che la vita ci mette davanti e i rischi che decidiamo di prenderci.
Io nei periodi in cui non lavoravo perché lavoro non ne trovavo neanche ad inventarmelo, andavo in depressione e dormivo 18 ore al giorno. Adesso che faccio cose che mi piacciono lavoro 18 ore al giorno.
Per dire, quando non ci arriviamo con il cervello ci pensa tanto il corpo a ricordarci di metterci una pezza. L’importante è arrivare (e ci si arriva con il tempo, la paglia e le cose che ti capitano nel frattempo) a capire che tutte le scelte che fai le paghi in prima persona. Maschio o femmina, velina o intellettuale. Inutile mettersi anche a pagare i conti degli altri.
Quanto possono le canzonette? E chi può saperlo, comunque per i riflessi che hanno avuto sulla mia vita, tenderei a pensare che qualcosa fanno.
Ma solo se, come si dice, “colgono lo spirito del tempo”. Senza andar tanto lontano, proprio “Vita spericolata” può essere considerato il manifesto dell’attuale gioventù, come “Blowin’ in the wind” o “La canzone di Piero” lo sono state per quella del ’68. Fuori da quel momento storico avrebbero detto poco.
Quindi per me certe (poche) canzoni ci dicono il clima in cui stiamo vivendo, che possano crearlo dal nulla non ci credo.
Certo, le canzoni-propaganda possono esser create a tavolino, dubito che possano però avere qualche effetto se veicolano un messaggio che già non è nell’aria e proprio il marketing bada bene a tener conto (intercettazione) del mercato potenziale, no?
Che poi il “prodotto” venga dall’ispirazione dell’artista o dall’applicazione meccanica di un artigiano, beh Valeria, siamo d’accordo che i risultati sono ben diversi, ma secondo me avranno più o meno successo nel formare le tendenze se capitano al momento giusto. Al successo dell’imposizione non credo, ma è una mia opinione.
Semmai a quello della reiterazione, una volta individuato il “mito” vincente in quel dato momento.
“Quindi rispondo a chi si chiede se le canzonette possono poi tanto: certo che si, e fingere di non vederlo è nel migliore dei casi da ingenui.”
Sono perfettamente d’accordo con mammamsterdam, anche le canzonette possono suggerire e imporre modelli.
Un esempio: lo studioso J.A. Hobson usò il termine *Gingoismo* (1890) per definire “la degenerazione del patriottismo che trasforma l’amore per il proprio paese in odio per un altro fino a desiderarne ferocemente la completa distruzione”.
In pratica, una forma esasperata di nazionalismo mista a xenofobia veicolata proprio (ma non solo, ovviamente) da canzonette popolari in voga sul finire dell’Ottocento: il termine nasce dall’espressione “by jingo” cioè “Per Giove” inserita in uno dei testi che andavano per la maggiore in quel periodo.
Per saperne di più, basta leggere qui la scheda di colore grigio (titolo: Gingoismo e razzismo).
http://books.google.it/books?id=D6E9RrALMcsC&pg=PA52&lpg=PA52&dq=gingoismo&source=bl&ots=D3xesMdHCy&sig=ENii5xNENG5Hr7sihi5vOuCTagg&hl=it&ei=hIoWSsnWBcy0sgaF3KiRAg&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=5#PPA52,M1
Benissimo Anna Luisa, l’ho letto, dice:”La xenofobia…era un riflesso del nazionalismo esasperato di quei tempi.”
Quindi il gingoismo, espressione di questa xenofobia, era generato dal nazionalismo dilagante fra gli stati occidentali nel fine ottocento (che sarebbe culminato nella guerra mondiale) e non viceversa.
Questo nazionalismo esasperato ha preso anche la forma di canzonette razziste e xenofobe, che ne sono l’effetto e non la causa. Che poi ne aumentino la virulenza è ovvio. Così mi par di capire.
Sarei poi curioso di sapere “Campagnola bella” quante contadine ha convinto a rimanere sui campi…Comunque, chiaro che il fascismo commissionava le canzoni e le considerava parte della propaganda quotidiana da somministrare agli italiani, ma quella era una dittatura, lì il Grande vecchio c’era davvero, fare il paragone con il potere disperso della società di oggi e le sue esigenze commerciali mi sembra improprio.
Una curiosità: sapete qual’è la parola più ripetuta negli inni fascisti, da All’armi siam fascisti a Faccetta nera a Battaglioni della morte ecc.(sono molte decine)? Non patria o nazione, non eroe, non fascismo e nemmeno Roma, la parola più ripetuta è “libertà”.
@Nautilus:”Benissimo Anna Luisa, l’ho letto, dice:”La xenofobia…era un riflesso del nazionalismo esasperato di quei tempi.”
Infatti nel mio commento ho messo tra parentesi la breve frase ” MA NON SOLO, OVVIAMENTE”. Le canzonette riproducono lo spirito dei tempi e lo amplificano, lo diffondono.
Quando tu dici “[…] che poi ne aumentino la virulenza è ovvio” … e beh, ti sembra poco?
Cazzarola Nautilus quella roba di libertà m’ha sdrumato.
Perchè lo constato spesso anche adesso che li fascisti moderni alternano svariate nefandezze alla parola libertà. Cioè una volta sono liberi di avercela coi neri, un antra di scavalcare la costituzione… è un paradosso inquietante. Anche Berlusconi deve usarla con dovizia.
A parte questo.
C’è una zona di cortocircuito secondo me in questa canzone, e credo che non trattarla con cautela e con le dovute esplicitazioni renda la discussione scivolosa.
Scusatemi eh, posso dire una cosa?
L’amore Dio caro è una cosa importante. Il godimento sentimentale della vita, la figliolanza, si porca troia sono cosarelle che contano. Oh se contano. Ci arriva anche da femmine intellettuali cazzuterrime che sono cose che contano, al pari della propria realizzazione intellettuale – se non di più (mo me linciate) E’ grandissima sola realizzarsi per il verso intellettuale e quello emotivo no. E’ grandissima sola per l’umanità tutta. Ma il problema è che se lo dice un uomo tradisce uno stereotipo se lo dice una donna lo conferma. Lo stereotipo ci impedisce quindi di ragionare in maniera completa intorno al nostro benessere individuale. E spingere solo su una parte della nostra realizzazione. Oh cazzo ma non c’erano già passate le nostre mamme? Noi non dovremmo mettere le cose in un altro modo?
La canzone di Arisa la doveva cantare un uomo – cosa che ha fatto mutatis mutandis Cofferati quando si ritirò da sindaco con la motivazione del pupo e apriti cielo.
Niente siamo costretti alla dicotomia e non riusciamo a uscirne.