ACCALCENTRO

Questa volta, commentarium, vale la pena  farsi una risata. Grazie a un ascoltatore di Fahrenheit, Roberto Angioni, che ha confezionato una parodia impeccabile, proprio perchè attenta a immortalare vizi e vezzi di chi conduce. Il dialogo del “conduttore” con “l’esperto in lettura” è esilarante (soprattutto per chi, come la sottoscritta, riconosce esattamente le domande che fa o farebbe  nella realtà). Insomma, la parodia è qui.
Domattina, a Perugia, chiacchierando con Robert Darnton, sarà dura dimenticare “l’esperto” che fa il monitoraggio dei lettori italiani (“sono ventisette! Accidenti, sono scesi a ventisei!”), lo ammetto.

18 pensieri su “ACCALCENTRO

  1. Salve!
    La parodia di Fahrenheit del sig. Angioni è davvero uno spasso: dalla caccia al libro allo you-book, dagli indizi per indovinare il libro misterioso all’intervista dell’autore Marcello Baccello. Senza dimenticare l’alleluja al direttore Sinibaldi, la lettura Ad alta voce e la non trascurabile ACCA AL CENTRO. Davvero BRAVO!!!

  2. Mi dispiace di aver annoiato qualcuno, ma non sono un professionista, l’ho fatto, ad onor del vero, per puro divertimento personale. Pubblicandola comunque non mi aspettavo riscontri positivi, soprattutto dalla conduttrice. Anzi, lo reputo un successo, e ringrazio. Viva Fahrenheit e Radio 3.

  3. Per chi conosce bene Fahrenheit, dentro o fuori lo studio, è incantevole: perchè ogni parola è stata pesata. Il conduttore che dice “le belle cose che accadono a Fahrenheit” è un classico, per esempio 🙂 Sono io che ringrazio per l’attenzione e la passione, Roberto. Posso dirti che in redazione, ieri, eravamo tutti piegati sulle scrivanie.

  4. Roberto sei stato fantastico, l’acca al centro è sempre stata al centro dei miei sorrisi sin dai tempi di Sinibaldi al pari della lista dei collaboratori in testa e in coda al programma :):):)

  5. Prima di comprarlo aspetto di leggere la recensione di Giulio Ferroni“. Intanto c’è quella di Cortellessa (su “analfabeta2”):
    Per una volta il titolo va preso in parola: «Calamari precari». Anche perché «precario» non è annoverato fra gli epiteti promozionali dell’editoria glam di oggi. E quale occasione più gnam dell’esordio narrativo di un giovane precario, ispido pescatore di frodo per di più, che addirittura affronta il più abusato dei temi – il rapporto tra eros, cibo e precarietà? Ecco: se già vi state facendo un’idea, di che tipo di romanzo possa Calamari precari di Marcello Bacello, mettetela subito da parte. Perché di glamour/gnamour, qui, non ce n’è punto.
    Nel paesaggio in rovine, nella facies hippocratica del presente che illustra – tormentoso prima che esilarante, come pure non riesce a non essere – Calamari precari, una scena in apparenza meno torrida di altre colpisce, però, con una violenza speciale. Siamo ancora in una fase primordiale di quello che, per la famiglia Voglia – paratatticamente discesi dai prolifici lombi di Nonna Mala –, diverrà la primavera seguente uno psicodramma vissuto in diretta sulla ribalta mediatica del porto di Bari: il ripetuto salto dei molluschi nel paniere di vimini, un acting out da delirio psicotico – performato di fronte a un’esemplare scena mediatica – nella sua potenza icastica appare un’immagine degna di passare alla storia letteraria. Ma in che senso si può considerare il calamaro un fenomeno “letterario”? Anzitutto prendendo atto che è l’entità ittica più rilevante – in sylva todaroderum, eledonium, penaeuus sepiarumque – nella zuppa adriatica, e tra le più importanti in assoluto.
    Per questo, colpevolmente, il calamaro lo si apprezza con molta maggiore passione di quando era in vita. C’è una voluttà indicibile, si sa, nell’attestarsi sulle posizioni dell’Impero alla fine della Decadenza.
    L’interfaccia che permette lo scambio simbolico fra le due dimensioni – quella fenomenica e quella letteraria – è per l’appunto la sua presentazione, cioè la spettacolarizzazione, che prelude alla consumazione, al suo essere-per-la morte come precarietà della semplice presenza. La sede in cui cioè, nei format gastrotelevisivi sempre più affermatisi negli ultimi anni, “si fa spettacolo” della propria cucina – a partire dal vissuto e dall’immagine corporea tanto del soggetto quanto dell’oggetto parodizzato, clericizzato, vissanizzato.
    Pochi testi al pari di questo, introducendo catarticamente il lettore nella dimensione del pescatore irregolare, mettono voglia, a chi legga, di correre a lavarsi le mani – “Ti sei lavata le mani tesoro?” – olfattivamente eukaryotizzate. Parrebbe di trovarsi Ready Steady Cook, il tormentoso Grand Guignol televisivo condotto nel cono d’ombra della sentenza «a berlingaccio chi non ha ciccia ammazza il gatto», ma deprivato d’ogni farsa metafisica: l’inferno della precarietà è tale proprio perché spietatamente fisico – cioè psichicamente calamarico, le cui domande che singhiozzano il dettato sono per lo più senza punto interrogativo: emergenza tragica, cioè senza soluzione (E che caspio c’hai da trementare, uaglio’! E mmo’!), che lascia ammirati quanto sconvolti.
    Ma non è solo un testo «precarizzante». Se il calamaro ha questa straordinaria capacità di infettare l’immaginario di chi legge, è in quanto ente precarizzato. Col coraggio e l’ostinazione che ha per insegna, Marcello Bacello s’è foggiata – s’è dovuto insediare (come un pisello nel suo Bacello) in una lingua del precario: fatta non solo dell’amato sgrammaticato libero (Se Parigi avesse lu mère, saresse ‘na piccola Bère), ma anche di un’orgia di interruzioni e ripetizioni che fanno sboccare il monologo delirante del sottoproletario afasico in un’efflorescenza di muffe paraipotattiche o prosimetriche, sempre che capiate cosa voglio dire.
    Naturalmente, fra i molti possibili connubi gastronomici, uno ce ne sarebbe in grado di dare invece una soluzione, tragica in quanto inappellabile, alla malattia di tutti noi. Ma la coazione a ripetere su cui si conclude Calamari precari – il «sì» col quale l’afasico protagonista pronuncia il suo unico monosillabo, conferma l’opinione di un maestro segreto di questo libro, Buster Keaton: se la vita è «la malattia della materia», alla materia culinaria non potremo mai rinunciare. Perché malgrado tutto è il cibo, appunto, che ci tiene in vita.

  6. Col liquore Strega e la sfoglia con le uova ci prepariamo delle squisite nepitelle per Natale: ma ve le siete lavate le mani, tesori?:D

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