DUE STORIE

Due segnalazioni dove si ride molto meno.
Annamaria Testa racconta una storia di giornalismo italiano: un’intervista che le viene chiesta sulla campagna pubblicitaria di Regione Calabria. E finisce così.
Giovanna Cosenza, invece, riflette sulla Barbie assassina di Greenpeace (se ne occupa anche Renata, qui)

24 pensieri su “DUE STORIE

  1. Bella segalazione, è vero.
    Sono assolutamente d’accordo con la critica generale mossa a Greenpeace – come non esserlo? – ma un po’ meno con l’analisi che ne fa Renata. O meglio: con alcune relazioni del suo intervento.
    Riporto il mio commento dal blog di Giovanna.
    Devo ammettere che su alcuni punti nutro dei dubbi.
    Ad esempio: quando Renata analizza gli stereotipi di cui lo spot è pieno zeppo, cita anche gli schizzi di sangue provocati da Barbie, associandoli al solito modello femminile della strega. Credo che sia inesatto.
    Lo stereotipo della strega, l’isterizzazione del femminile, deriva in gran parte dalla sua capacità riproduttiva, di generare, e non dalla sua capacità di essere violenza. Penso a Uma Thurman in Kill Bill, il perfetto esempio di donna-violenza, donna-carroarmato, donna-killer. Eppure, credo che la sua figura rappresenti il più alto esempio pop di donna che, restando donna e con piena personalità femminile, senza alcuna voglia né necessità di aderire ad un modello maschile, sfida le convenzioni e si afferma. Ama, a modo suo.
    Trovo, quindi, molto più pesante lo stereotipo dell’uomo gay – che, come notato da Renata, nello spot italiano è decisamente una checca – anche se qui c’è una contraddizione di fondo: è corretto dire che il bene si identifica nell’uomo, quando nel video c’è un uomo così effeminato che, sappiamo bene ahimè, quanto poco uomo sia percepito dalla società?
    In ogni caso grazie Renata, di fondo siamo s’accordo. 😉

  2. La pubblicità della regione calabria non la trovo graficamente così male, è un’idea, ma il tipo di dialogo e le voci… per carità, non so perchè abbiano fatto una scelta così!
    Per greenpeace non so che dire: dovrebbe essere spiritosa? Provocatoria? E’ possibile che la sensibilità dei creativi non sia stata in grado di notare che il risultato è un concentrato di stereotipi. Non so, Ken&Barbie potevano essere catapultati nella foresta indonesiana e rendersi conto che il loro packaging contribuiva alla deforestazione, e magari andare a dialogare con i loro ‘creatori’ per protestare, e roba del genere. Però, però: ho notato che una certa dose di violenza nella pubblicità è in aumento (maltrattamento di oggetti, distruzione di cose, pericoli in agguato), anche se il messaggio (e il prodotto) non ha nulla a che fare con l’aggressività. Ma è una impressione personale.

  3. In tutte queste critiche allo spot dei bronzi mi sorgono due domande:
    1) perchè tutto questo insistere sull’esibizione di “chiappe e quant’altro”?
    Dire che i Bronzi sono stati rappresentati come “giovanottoni da club nudista” quando sono proprio nudi così gli originali fa quasi quasi venire il sospetto che sia questa doppia chiappofania maschile a far realmente considerare lo spot volgare, o disturbante. Piuttosto che altre motivazioni adombrate qua e là, tipo lo scarso rispetto della filologia e dello status “alto” dei capolavori artistici: i bronzi sono attici (forse) e non calabri, in origine, è vero. Attendiamo gli strali sdegnati dei toscani che puntualizzino che ai tempi di Leonardo non c’erano i telefonini, Dante non scriveva sui rotoli di carta igienica e la Venere di Botticelli era (ed è) nuda e probabilmente la modella non beveva neanche l’espresso con Bonolis.
    2) (questa non è una domanda retorica) Su “giovanottoni volgarissimi e abbronzati”: va bè volgarissimi, ma come fa Settis a dire che i due dello spot sono “abbronzati”??

  4. Ovviamente non mi riferisco al commento di Annamaria Testa, che usa argomentazioni ed espressioni ben diverse per criticare lo spot.

  5. Ha ragione francesca violi per me, a scindere la grafica dei due bronzi, rappresentati così come sono, e pure nel rispetto della loro rigidità di statue, dal resto: il dialogo e le voci, a me non sono proprio piaciuti. In effetti, perchè scandalo per le chiappe o per la provenienza dei bronzi? In fondo, per vedere la migliore arte classica del Mediterraneo si va al British Museum…

  6. Riguardo alla pubblicita’ anti-Mattel di Greenpeace, credo sia una delle poche volte che non mi trovo d’accordo con post e commentarium. Devo ammettere che a me ha divertito molto, piu’ che altro per via del ribaltamento del ‘glamour’ che normalmente si associa alla bambola Barbie. Dal mio ingresso nell’eta’ adulta, ho sempre associato a questo giocattolo quel senso di inquietudine che mi evocano le mogli di Stepford o i visi sorridenti che compaiono nel video Black Hole Sun dei Soundgarden. Gli accessori rosa, le pubblicita’ zuccherose e la piena accettazione degli stereotipi di genere di cui il marchio Barbie si serviva a piene mani, mi fanno pensare uno stile di vita fintamente felice – quello che evoca appunto Ken all’inizio dello spot Mattel: megavilla, vestiti firmati, relazione perfetta. Secondo me lo spot virale di Greenpeace cerca di mostrare in qualche modo il lato nascosto di questo mondo rosa e plastificato. Barbie non e’ poi un modello cosi’ accettabile per le bambine “per bene” visto che ha una doppia personalita’ da serial killer sterminatrice di oranghi e tigri, e visto che il fidanzamento con Ken e’, forse, solo una copertura. Il fatto che la negativita’/violenza sia associata a Barbie, credo, fosse una scelta inevitabile visto che il nome del brand e’ suo e che Ken altro non e’ che un accessorio. Non credo inoltre che Ken rappresenti il “bene” in quanto maschio, in questo contesto: ci viene presentato come un povero sprovveduto, che ha “scelto” di non vedere il marcio che gli genera profitti extra e che alla fine molla Barbie forse piu’ per evitare un danno di immagine che per convinzione. E non e’ l’effemminatezza di Ken che lo spettatore (o almeno io come spettatrice!) si trova a deridere, ma il suo (e di Barbie) goffo tentativo di aderire a uno status sociale di “vincente” falso e che segue criteri rigidamente etero-imposti.
    Personalmente, voterei a favore delle unioni civili per gli omosessuali anche ora, senza colpo ferire. Cionondimeno, non riesco ad accettare l’atteggiamento ipocrita di chi, pur essendo omosessuale, si sente migliore per il solo fatto di avere una donna di copertura e predicare il valore della famiglia, salvo poi vivere la propria sessualita’ di nascosto. Come mi da il mal di pancia una azienda che vende giocattoli e cerca di proiettare una immagine positiva, salvo poi scegliere politiche che danneggiano l’ambiente.
    E secondo me e’ proprio QUESTO concetto (l’incoerenza di fondo del brand Barbie e della Mattel) che lo spot Greenpeace cerca di far passare.

  7. @ Amedeo. In Kill Bill il personaggio di Uma Thurman, se ben ricordo, assume il suo spessore “epico” non in quanto assassina, ma in quanto vendicatrice di un massacro a cui è scampata per miracolo. In un certo senso un po’ primitivo, Beatrix ristabilisce una giustizia. Un po’ come Erik Draven ne Il corvo. Qui si tratta di trasformare il personaggio di Barbie (già insopportabile di suo, per carità) in una «serial killer», una «pazza», una «str—-» che abbatte gli alberi e ammazza le bestie per far soldi.
    @ Barbara F. Sono in molti ad avermi risposto “Ma Barbie qui sta per “simbolo” della Mattel, non come figura femminile”, e come giustamente noti in realtà Ken è sempre stato un comprimario – quasi un accessorio di Barbie. Però pensa un attimo a questo: se Greenpeace avesse impostato la campagna utilizzando il SOLO personaggio di Barbie, rappresentandola ESATTAMENTE come l’ha rappresentata qui, effettivamente Barbie avrebbe simboleggiato soltanto un marchio registrato della Mattel. Il simbolo dell’azienda, la parte per il tutto.
    Nel momento però in cui la pubblicità decide di prelevare 2 personaggi di sesso diverso e di connotare uno come il “buono” e l’altro come la “cattiva” (andando oltre, dunque, gli stereotipi che già di per sé i due personaggi si portano addosso), ecco che Barbie non può essere letta solo come “simbolo” della Mattel, ma deve essere letta per forza anche in riferimento all’altro personaggio. Anch’esso appartenente a quel mondo zuccheroso e soprattutto prodotto dalla Mattel. Voglio dire non è come la pubblicità della Apple “I’m a Mac, I’m a Pc”, non so se l’hai presente (e infatti il video virale di Linux che cosa fa? Gioca a rialzo su quello spot e fa impersonare Linux a una donna, che attrae gli altri due).
    C’è un altro aspetto della questione Greenpeace però.
    Ken è preso in giro sulla base dello stereotipo che incarna: belloccio, vanesio e, stando all’interpretazione di Ugo (v. commenti sul blog Giovanna Cosenza), “icona gay”. Barbie non è colpita per quello che è, ma per quello che FA, o meglio per quello che la Mattel (produttrice di entrambi i personaggi) fa. E ho spiegato prima come la vedo in proposito. Tant’è vero che alla fine, malgrado tutti gli stereotipi, Ken ne esce positivamente e di fatto diventa il TESTIMONIAL della campagna, che infatti recita “Join Ken”. Allora che senso ha?

  8. Barbara F, non ci avevo pensato, ho capito, è possibile…ma mi rimane il dubbio sulla ‘lettura’ di questo spot da parte del pubblico.

  9. Riguardo la pubblicità dei bronzi di Riace, così su due piedi mi sento di condividere quanto scritto da Francesca Violi e da Paola di Giulio. Ma magari ci sono altri aspetti della questione che forse mi sfuggono.

  10. In merito ai bronzi mi sembra che la polemica sul gradimento sia più dannosa del video.
    Trovo, invece, terribile il resoconto dell’intervista taroccata.
    Il video è carino ma leggerino, e piuttosto, realizzato da cani, i calabresi dovrebbero chiedere quanto è costato.
    Sembra una demo interna alla produzione, uno storyboard animato in bassa qualità, di un video da realizzare.
    Visualmente è sotto lo standard di qualunque produzione professionale e rovina il poco che c’è di passabile nell’idea.
    Il culo dei bronzi, la loro nuda disinvoltura, mi sembra il vero elemento di rottura di questo spot.
    Vogliamo mettere con quello di Gattuso che si batte sul cuore?
    Siamo comunque lontani anni luce da qualcosa che possa minimamente rappresentare il livello dei beni culturali che abbiamo e che possa aiutare lo sviluppo di una regione a sovranità limitata e tragedia continua come la calabria.

  11. Su barbie e ken attenzione,
    non mi sembra di vedere sessismo.
    Si ironizza su due icone dell’immaginario infantile degli adulti a cui è indirizzato lo spot.
    Visto che si vuole rivelare la doppia faccia di Mattel si crea una doppia faccia ai personaggi, il rappresentare Ken come un gay e la barbie come una serial killer è come rivelare cosa c’è dietro la maschera, dietro l’apparenza.
    Non mi sembra che ci sia sessismo perché non è che si ridicolizza ken in quanto gay, si ridicolizza l’ipocrisia della mattel nel rappresentare un personaggio gay come uomo di barbie, e per traslazione il comportamento ambiguo della mattel verso l’ambiente.
    Andiamo, tutti crescendo abbiamo pensato che ken fosse un personaggio gay, anche la Pixar in toy story3 l’ha fatto gay se pure affrontando l’ambiguità dell’essere gay o meno (ken che porta barbie a casa sua per mostrargli il defilee).
    D.

  12. @renata
    Sono perfettamente d’accordo su tutto. Ciò per cui ho mosso una critica alla tua analisi è stato il mettere in relazione gli schizzi di sangue, simbolo della spietatezza della donna, e le accuse ancestrali di stregoneria rivolte alle donne. Queste ultime hanno radici ben più profonde. Come dicevi tu: Barbie se lo sogna di essere una strega – è una criminale!
    Tutto qui.
    Grazie, comunque, di tuoi contributi. 🙂

  13. @ Renata – io credo che la tua interpretazione dello spot sia una delle possibili letture. Quel che aggiungo pero’ e’ che la mia e’ differente. Penso che i pubblicitari di Greenpeace non abbiano pensato, ne’ consciamente ne’ inconsciamente di utilizzare gli archetipi femminili della strega o gli stereotipi sessisti per creare una contrapposizione femmina cattiva/maschio buono. Secondo la mia interpretazione, Barbie resta rappresentante del suo marchio e della Mattel, non del genere femminile (come, se mi perdoni il paragone politico, Letizia Moratti rappresenta piu’ il suo partito che il suo genere, per quel che mi riguarda; per questo mai sognerei di votarla in quanto “donna che difende le donne” – ne’ credo lei vorrebbe proporsi come tale).
    Ken, invece, e’ un famoso comprimario che si vede costretto a lasciarla a piedi per questioni che non sono necessariamente nobili: quando l’intervistatore lo incalza sembra piu’ disgustato/infastidito per la pessima figura che sta facendo che attraversato da un sentimento di genuina fedelta’ alla kantiana legge morale dentro di lui – la sua reazione stizzita non ha di fatto nulla di tragico o drammatico. Se si fosse trattato del packaging del pupazzo di Batman, la campagna avrebbe potuto intitolasi “Follow Robin” (parlando dell’ex sindaco Moratti, un pensiero a Batman era inevitabile).
    Credo che l’effetto ricercato sia meramente comico e che il “Segui Ken” significhi “Se persino il (finto) fidanzato di Barbie la molla, vuol dire proprio che l’ha combinata grossa”. Ken ci fa un po’ la figura del vicino di casa del serial killer che dice “Sembrava una cosi’ brava persona…”, e se risulta piu’ simpatico e’ solo perche’ gioca facile – CHIUNQUE risulterebbe piu’ simpatico di una che sventra cuccioli di orango per divertimento.
    Questo ovviamente, in my humble opinion (e aggiungo anche che, secondo me, i pubblicitari che hanno creato la campagna hanno analizzato il loro lavoro molto meno di quanto stiamo facendo noi adesso).

  14. Concordo molto con Barbara F. Personalmente mi è piaciuto lo spot, anche perchè ho letto che nell’originale la voce di Ken non è così effemminata: come personaggio Ken mi ha ricordato Azzurrro, il principe vanesio e bamboccione di Shrek.
    Mi sembra divertente l’idea di mostrare il lato oscuro della superstar dando voce al punto di vista dell’eterno comprimario, che in questo caso è maschio mentre la star è femmina… Ma se Greenpeace avesse voluto prendere di mira la Disney, con lo stesso concept io credo che avrebbero fatto l’intervista a Minnie, con Topolino divenuto killer sanguinario.

  15. Questa tecnica di intervista l’ho riscontrata, purtroppo, anche nel programma di RAI3 “Report”. E l’ho verificato perché per due volte hanno realizzato lunghi servizi su Bologna e il Comune, ambiente che conosco bene perché ci lavoro. Arrivano con una tesi già scritta. Cioè la notizia, per così dire, è già stata confezionata. Le interviste, i commenti sono organizzati in modo tale da essere funzionali alla notizia/tesi. Quello che è scomodo, o che potrebbe in parte contraddire o indebolire la notizia/tesi, viene eliminato. Alcuni personaggi che conosco bene e che stimo hanno fatto delle figure tristi, perché le loro interviste sono state tagliate senza pietà, lasciando solo tronconi di frasi a effetto.

  16. @ Barbara F. Grazie per la tua interpretazione, sono contenta di confrontarmi con te anche se abbiamo idee diverse a riguardo.
    Comunque nella versione americana Ken dice “That f***kin’ B**ch”, che è un po’ più pesante di “str…”. All’estero il problema è stato sollevato anche qui:
    http://www.businessgreen.com/bg/opinion/2077399/ken-drivi
    https://www.facebook.com/help.greenpeace.respect.women
    La ragazza polacca che ha creato la pagina ha elencato diversi commenti sessisti e omofobi che sono comparsi sul profilo di Greenpeace. E un altro utente nota come lo spot, specie per la chiusa “That f***kin’ B**ch” sia in contrasto con la mission di Greenpeace che recita: “Greenpeace does not permit the use of language or images in its fundraising or marketing materials that in any way promotes racial, gender, sexual, religious or cultural intolerance”. Queste sono cose che non possono “scappare” di mano secondo me, non in una campagna pubblicitaria studiata nei dettagli, anche se non rientra nelle intenzioni originali dell’organizzazione.

  17. Baldrati, pardon, prova a spiegarmi una cosa. Nel caso specifico, quali sarebbero le tesi precostituite? L’indecenza di progetti inutili, nocivi e mangiasoldi come Civis e People Mover? Oppure gli anni di Nientismo (guazzaloca cofferati del bono e commissaria) in cui da oltre una decade la città versa con il Comune primo promotore?
    Perchè queste non sono tesi, ma dati di fatto di un’evidenza sconcertante.
    Ti rendi conto o no che da dieci anni al centro del dibattito cittadino, alimentato dalle amministrazioni, ci sono il degrado al pratello e in piazza verdi e lo scempio delle scritte sui muri? Mentre la città perde senso, vocazioni storiche, e declina a piccolo centro provinciale?
    Ma di che stai parlando?
    Il fatto che in Comune ci lavorino anche tante brave persone c’entra davvero poco con la sostanza delle questioni.
    Se vuoi difendere l’indifendibile provaci pure, ma non ti attaccare a un servizio della tv.
    L.

  18. Mi ha interessato la lettura di barbaraf. e quoto amedeo. Credo anche che il sessismo abbia cambiato immaginario collettivo – le streghe per il momento dormono, non c’è quel senso di minaccia che da il femminile autonomo. In Italia poi:) non credo che la discriminazione di genere qui vada in questa direzione. La femmina non è cattiva da noantri caso mai è stupida. Certo – c’è da chiedersi come la gente recepisca questo spot. Ma perchè non una chiave antisessista? (Invece sull’omofobia la vedo più pesante da difendere)

  19. Intervengo sulla questione bronzi. Si , va bene, è la solita brutta figura che fa la Calabria per un’operazione che si voleva pubblicitaria ma che ha sortito l’effetto opposto a quello desiderato.
    Mi chiedo, però, ma è possibile che sia questo il tenore del dibattito pubblico (e nazionale) quando si parla di Calabria.
    Possibile che la logica è sempre la stessa, che si ricada sempre nello stesso circolo vizioso, se non ci sono sangue, morti e ‘ndrangheta c’è, l’ancor sempre più diffuso clichè dell’ arretratezza culturale?
    Ma si può uscire fuori da questa insopportabile e asfissiante cappa mediatica/culturale?
    Si puà ragionare della Calabria con una taglio e una prospettiva diversa?Naturalmente non è il caso specifico dei bronzi ma è, come dire, il paradigma culturale che nutre e caratterizza da sempre ogni discussione pubblica sulla Calabria.
    A questo proposito invito tutti a leggere “Qui ho conosciuto l’inferno, il purgatorio e il paradiso”(Einaudi, marzo 2011) di don Giacomo Panizza e Gofferdo Fofi:ci sono spunti interessanti, e “istruttivi”, anche su questo specifico argomento.
    ciao domenico(calabrese emigrato e/o emigrato calabrese)

  20. piccola rettifica, mi scuso, il titolo del libro di don Giacomo Panizza e G. fofi è “Qui ho conosciuto purgatorio inferno e paradiso” edito da Feltrinelli serie bianca.
    domenico

  21. @luca. Non ho certo negato i problemi, né il degrado ecc. Non è di questo che parlo, ma di come vengono trattate le notizie. Il primo dei due servizi di Report parlava delle lentezze e della burocrazia del settore urbanistica, dove tra l’altro lavoro. Sono arrivati con una tesi già scritta: dobbiamo dimostrare che è tutto strangolato dalla burocrazia e la gente aspetta i capricci dei tecnici ecc. Il che non è vero. O almeno non lo è in gran parte. Hanno intervistato un paio di personaggi che sono noti per essere dei polemici a senso unico, senza che mai, dico mai sia stato neanche citato il malcostume di certi professionisti che intasavano le agende elettroniche con 5-6 appuntamenti poi non si presentavano ecc. Guarda, sono spiegazioni oziose e forse incomprensibili dette così, ma ti assicuro che visto dall’interno quel servizio era a dir poco scorretto. Non era giornalismo, ma una forma di scandalismo propagandistico. Il secondo era un po’ meno peggio, e sono d’accordo sui soldi buttati nel civis ecc. però l’approccio era simile.
    Se si vuole parlare dei problemi di Bologna o di qualche altra città è un conto (e io non difendo nulla e nessuno, anzi, se mi metto a criticare non si salva nessuno), ma qui il tema è il cattivo giornalismo.

  22. Baldrati,
    ho citato la quaestio degrado al pratello e la ridicola vicenda scritte murali come esempio di non-problemi, o comunque vicende molto marginali, di continuo evocati dalle amministrazioni per non occuparsi di tutto il resto, mentre la città va a ramengo in un vuoto progettuale assoluto.
    poi, sul cattivo giornalismo, io non ho alcun problema a fidarmi delle tue valutazioni ‘interne’ al settore specifico dove lavori. solo ti chiedo, senza alcuna polemica, hai provato, da addetto, a proporre un’analisi diversa del problema? sei stato tagliato, cassato? perchè se è così hai senz’altro ragione.
    il fatto è che lo sguardo complessivo sulla città che emergeva dai servizi, almeno ai miei occhi, era in sostanza affine al suo stato reale di oggi e alla pochezza di una classe dirigente, non solo politica, che da molti anni la amministra.
    L.

  23. @ Renata. Grazie mille a te per gli spunti: penso che sentire una campana diversa sia interessante in ogni caso. Sono andata a vedere i link che hai postato e mi sono letta un po’ di commenti su youtube degli utenti al video virale in inglese e a quello in italiano (oltre a, lo ammetto, farmi un breve esame di coscienza).
    Rilevo questo:
    1) I commenti al video italiano sono molto piu’ critici e molti si concentrano su Ken e la sua (omo)sessualita’, talvolta in modo sgradevole. I commenti che ho visto al video in inglese, al contrario, sono generalmente positivi, salvo davvero poche eccezioni. La cosa che mi ha colpita e’ che i commenti in inglese sono quasi sempre concentrati sulla campagna e sulla sua validita’ (e, hai commenti negativi, gli utenti rispondo con argomentazioni ponderate e, in genere, senza insulti e senza andare sul personale). Nei commenti in inglese, sono assenti (per quel che ho letto) affermazioni omofobiche o dispregiative nei confronti di Ken IN QUANTO effemminato, osservazioni che abbondano, al contrario, nella versione italiana del video. Non so se questo sia dovuto al doppiaggio italiano (in cui Ken, di fatto, sembra uscito dal film “Il vizietto”) o alla prontezza dell’admin. inglese/americano che si premura di cancellare i commenti troll. Ho pero’ il sospetto che si tratti anche di una differenza culturale (ma preferisco non argomentare oltre perche’ non mi occupo di studi di questo tipo e non voglio fare della sociologia d’accatto).
    2) Nonostante il gruppo FB della ragazza polacca da te segnalato, continuo a pensare che lo spot di Greenpeace NON sia sessista, neanche nella versione inglese. Se mi mettessi a fare un’esegesi approfondita delle imprecazioni inglesi, finirei Off Topic e forse la padrona di casa non gradirebbe. Ti posso dire che pero’, in inglese, l’offesa “bitch” e’ stata ampiamente sdoganata e che, di fatto, non e’ piu’ pesante di uno “stronza”. Trovo, invece, che questo insulto italiano sia una traduzione abbastanza accurata (ho vissuto qualche anno in Irlanda e, tanto per intenderci, una mia cara amica del posto soleva dire, fra il serio e il faceto, “Men are never happy with you. If you sleep with many of them you are a slut, if you don’t you are a BITCH”).
    3) Anche se spesso c’e’ una correlazione, non necessariamente un video che genera commenti razzisti/sessisti/omofobici, e’ un video razzista/sessista/omofobico. Ad esempio, mi e’ capitato di vedere su youtube documentari storici o vecchie interviste ad attivisti politici: ne ho in mente uno particolare, dove si intervistano delle femministe a Parco Lambro negli anni ’70 (lo ricordo bene perche’ viene utilizzato nel documentario “Vogliamo anche le rose), ed e’ incredibile l’ammontare di commenti misogini e pieni d’odio che questo bellissimo documento storico e’ riuscito ad attirare. Sicuramente, si tratta di un video molto diverso dallo spot virale di Greenpeace, ma mi verrebbe da dire che l’intenzione di chi produce materiali audio-visivi non sempre collima con quella di chi commenta. E che determinate tematiche sembrano attirare piu’ troll nel commentarium dei video in italiano che in quelli in inglese
    Concludo: continuo a pensare che Greenpeace non sia tacciabile di sessismo ma inizio a capire perche’ la comunita’ gay (o una parte di essa) possa sentirsi infastidita dallo spot virale anti-Mattel. Il punto e’: se si rappresenta negativamente un omosessuale in uno spot o altro, quante sono le possibilita’ che lo spettatore medio critichi questo personaggio per le sue azioni e non IN QUANTO omosessuale? E, inoltre, si puo’ trattare serenamente questo argomento in un paese dove una coppia gay rischia un’aggressione se si tiene per mano in strada e dove pero’ alcuni giornalisti cattolici hanno il coraggio di sostenere che l’omofobia e’ una bufala (http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-lomofobia-una-grande-bufalaparola-di-ex-gay-militante–2112.htm)? Non sono domande retoriche, me lo chiedo sul serio.
    @ Francesca Violi e Zauberei, grazie dell’attenzione – anche i vostri commenti, assieme a quelli di Amedeo, mi hanno aiutata a riflettere meglio su alcuni aspetti della questione che inizialmente avevo ignorato

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