ADDICTION

Ho trovato interessantissima l’intervista a Laura Donnini, a capo della narrativa Mondadori, fatta da Simonetta Fiori per Repubblica. Da almeno tre punti di vista.
Primo, l’accentuarsi di una modalità di rapporto editore-autore basata, da quando si intuisce, sulla commissione. Verso l’inizio dell’intervista, infatti, Donnini dice che ci sono molte autrici “al lavoro” sul versante erotico post-Cinquanta sfumature: può darsi che siano al lavoro autonomamente, può darsi che sia stato loro chiesto di scrivere un testo con determinate caratteristiche. Sia come sia, è in crescita l’adesione dell’autore a un filone dominante. E’ un bene, è un male? E’ un fatto, intanto, e ognuno lo interpreti come desidera.
Secondo, il concetto di pop. Sulla popular culture vista “in antitesi” a quella “elitaria” si discute da una vita. Per quanto riguarda i lit-blog, se ne discute quasi da quando sono nati (se qualcuno ha voglia, può andarsi a ripescare negli archivi una lunghissima ed elaborata – nonché amabile – polemica che rimbalzò da Lipperatura a Nazione Indiana fino al Corriere della Sera). Però per popolare, solo otto anni fa, si intendeva una forma di narrativa non necessariamente rinchiusa negli aurei recinti della letterarietà. Ora, il livello di antagonismo si è abbassato da una parte (altro che Faletti, di cui si parlava allora) e alzato dall’altra (altro che recinti: siamo alle fortezze). Quindi, in questo caso, rendere “pop” la narrativa Mondadori suona in modo molto diverso da quello che, allora, sarebbe stato auspicabile.
Terzo. La figura della lettrice “addicted”: ovvero, la trasposizione della lettrice di romance a bersaglio ideale del marketing, quasi una variante delle oneste galline di gramsciana memoria. E qui ritorniamo a quanto detto qualche giorno fa: la scrittura sentimentale femminile è comunque interpretata come ottimo veicolo per vendere. Ed è vero, verissimo. Ma credo che le stesse lettrici viste come blocco unico potrebbero riservare non poche sorprese a chi proporrà loro altre decine di titoli “mom-porn”. Perché non sono stupide. Neanche un po’. Comunque, ecco l’intervista.
LA BIBLIOMANAGER
«Sì, dobbiamo aspettarci una stagione ad alta temperatura erotica. Sono già al lavoro diverse autrici, italiane e americane. E tutte scrivono trilogie, nel solco tracciato dalla James». Dietro il successo nazionale delle Cinquanta sfumature, il bestseller bollente che ha travolto le classifiche (forse anche la demografia) di tutto il mondo, c’è Laura Donnini, responsabile della direzione generale di Mondadori. Quarantanove anni, toscana di Follonica, una brillante laurea in Economia e Commercio, vasta esperienza internazionale, Donnini sembra esemplarmente incarnare l’ultima leva della grande editoria libraria, da domani raccolta nella Buchmesse di Francoforte. È la terza generazione dei publisher italiani, quella dei manager puri, venuta dopo la stirpe dei padri fondatori e i loro eredi ancora sospesi tra cultura e mercato. «No, non ho mai letto Thomas Mann, ma non credo sia un problema. Io mi metto all’ascolto di chi Mann l’ha letto, e cerco di trarre il meglio dalla squadra di editori che dirigo».
Passione, pragmatismo, anche umiltà. No, I Buddenbrook non li ha mai letti, ammette timidamente confermando la voce messa in circolo da un editor non più alla Mondadori, ma sembra anche chiedersi: ce n’è davvero bisogno?
Il mondo è cambiato, la rottura culturale degli ultimi anni ha modificato profondamente gerarchie del sapere, mercato dei libri e ancora molto altro. Laura Donnini ha imparato le strategia di marketing dall’industria di largo consumo – borotalco, saponette, dadi e perfino risotti di cui parla con piglio brioso e autoironico – rivendica di saper tutto del pubblico femminile grazie ai molti anni trascorsi alla guida di Harlequin Mondadori (regina delle storie d’amore con il marchio Harmony), ha rivitalizzato una sigla un po’ appannata come Piemme, e oggi occupa la poltrona più ambita della Mondadori, quella di responsabile dell’intera produzione libraria. Il suo sogno? Avvicinare il più possibile i libri ai lettori. E rendere più pop la cultura d’élite. In che modo? Ascoltiamola.
Lei arriva dall’industria di largo consumo, prima Manetti & Roberts, poi Johnson Wax e infine Star. In che modo questa esperienza le è servita con i libri?
«Tutta la mia esperienza è fondata sulla conoscenza del consumatore. Mi sono sempre sforzata di intercettarne bisogni e tendenze, progettando nuovi prodotti e adoperandomi il più possibile per comunicarli al potenziale acquirente. È la strategia del marketing, che poi ho messo al servizio del lavoro editoriale».
Si riferisce ai sette anni da Harlequin Mondadori?
«Là ho potuto conoscere a fondo l’universo delle lettrici, che è poi quello che più incide sul mercato. Una macchina internazionale molto complessa, che mi ha fatto capire cosa si pubblicava in Giappone o negli Stati Uniti. La produzione era tagliata sui gusti delle lettrici, dopo averne sondato gli orientamenti. Un laboratorio interessante, in cui ho potuto osservare in anticipo importanti fenomeni editoriali».
Quali?
«L’esplosione di Twilight è stata largamente anticipata dagli Harlequin americani. Lo stesso è accaduto con la moda del romance erotico, che oggi trionfa nella trilogia di E. L. James. Era già tutto in quei romanzi rosa».
Ne saremo travolti?
«Sicuro. È già all’opera un’intera squadra di scrittrici che però non rinunceranno ai topoi classici della storia d’amore, il principe azzurro e il lieto fine. In Italia la trilogia delle “sfumature” ha riscosso un successo che non ha avuto altrove, esclusi gli Stati Uniti e il Regno Unito: due milioni di copie venduti in soli tre mesi».
Come lo spiega? Un popolo molto depresso?
«No, più una questione di strategia editoriale. Ad Harmony ho imparato che le lettrici di questo genere di racconti sono afflitte da una forma di addiction, di dipendenza. Così abbiamo deciso di mandare in libreria i tre volumi a distanza di poche settimane l’uno dall’altro».
Nell’editoria libraria, lei rappresenta la terza generazione, quella dei manager puri. Vi accusano di non avere gli strumenti per occuparvi di libri.
«Un’accusa insensata. Il manager trasferisce in numeri la qualità delle scelte fatte dagli editori, che sono i responsabili delle singole collane. Il mio compito è organizzare una squadra di talenti, che hanno totale autonomia nella scelta di autori e testi. Quel che mi propongo è valorizzare al massimo il loro lavoro. E farlo arrivare ai lettori: un dialogo che in passato non sempre ha funzionato».
Primum vendere. Ma con questo criterio non rischia di scoraggiare scelte editoriali meno popolari?
«No. Noi abbiamo un duplice obiettivo: da un lato intercettare i bisogni dei lettori sul piano dell’intrattenimento, dall’altro però dobbiamo continuare a investire nel dibattito intellettuale. La difficoltà è quella di far emergere i libri più complicati, ma la nostra missione è continuare a pubblicarli».
Però nel profilo di Mondadori questa “missione culturale” è oggi meno caratterizzante, specie sul piano della saggistica.
«È meno visibile, ma le assicuro che esiste. Il problema è più generale, e va oltre la Mondadori. Quest’anno abbiamo assistito a un fenomeno nuovo che è la “varizzazione” della saggistica: oggi hanno fortuna testimonianze di attori, protagonisti dello sport o della televisione, che si sono messi a nudo raccontando vicende dolorose. Un genere che un tempo apparteneva alla “varia”. Mentre ha sofferto molto la saggistica impegnata. Forse abbiamo bisogno di evadere, anche – e paradossalmente – con i dolori degli altri».
Marketing e lavoro editoriale, giovani e seniores: tutti seduti intorno allo stesso tavolo. Lei ha introdotto un modo diverso di organizzare il lavoro.
«Sì, più orizzontale. In un mondo che cambia così rapidamente dobbiamo tutti metterci in ascolto. Il mio stile di lavoro è fondato sulla condivisione delle idee di tutti – dall’editoriale al marketing, dal cartaceo al web – sempre con l’obiettivo di valorizzare il più possibile i libri. Certo aver messo in discussione posizioni e modalità del lavoro editoriale può aver generato fastidio, e in un caso una buona dose di veleno».
Come reagisce ai rimproveri che le sono stati mossi?
«Vado avanti, senza farmi condizionare. Non sono tenuta a essere un’esperta di letteratura, e penso che il mio compito sia un altro. Un anno fa qualcuno disse: vedremo i risultati. A un anno e mezzo dall’incarico al vertice di Mondadori posso già fare un bilancio: nell’annus terribilis della crisi, noi siano l’unico editore che cresce, in termini di quote di mercato e di classifiche. Abbiamo vinto Strega e Campiello, lanciato nuove collane, acquisito nuovi autori, sperimentato sul digitale. Il risultato è più che soddisfacente».
Avete perso Saviano.
«Io non ho avuto la fortuna di lavorare con lui, e dunque non posso dire di averlo perso. Lo considero un pilastro della cultura italiana: quello che ha da dire merita il massimo rispetto. La sua è una scelta personale che naturalmente rispetto, ma non mi crea problemi».
Quanto al premio Strega, rilevo un’anomalia. Ogni anno arrivano tra i cinque finalisti sia la Mondadori che l’Einaudi, marchio nobile che fa parte del gruppo. Quest’anno è toccato a Marcello Fois, finalista dell’Einaudi, fare da portatore di voti per Piperno, vincitore con Mondadori. Quattro anni fa fu ancora più eclatante il caso di Diego De Silva, candidato einaudiano che in finale di partita perse quasi tutti i voti. Non ritiene che questa compresenza in gara di due marchi dello stesso gruppo sia un fattore inquinante?
«No, le cose non stanno così. La verità è che siamo davvero concorrenti: ciascuno gioca le proprie carte, ed entrambi siamo messi nelle condizioni di concorrere ad armi pari».
Però, con qualche rara eccezione, vincete sempre voi.
«Ripeto: non si fanno strategie di alcun tipo. E – a dirla tutta – in prossimità della gara, tra le due case editrici sale la tensione. Forse per evitare questo tipo di polemiche si potrebbe decidere di competere un anno con Mondadori e un altro con Einaudi. Ma entrambi i marchi hanno una produzione narrativa di altissima qualità».
Come vorrebbe che fosse ricordata la sua Mondadori?
«Vorrei rendere un po’ più pop la cultura alta. Abbiamo appena promosso via facebook la vita di Dante di Marco Santagata: un successo insperato. Bisogna raggiungere i lettori, a qualsiasi costo. Senza snobismi o sopracciglia inarcate».

47 pensieri su “ADDICTION

  1. Quando si parla di women fiction e di romance si parla di categorie contigue che hanno in comune la provenienza. Non sempre il target. E’ questo l’errore – a mio avviso – in cui si cade spesso in Italia.
    Il romance da edicola è, nella stragrande maggioranza dei casi, appannaggio di lettrici fortemente conservatrici, che richiedono determinate storie con alcune caratteristiche ben codificate. Diverso è il caso della women fiction , in cui il target è molto più vasto e, per forza di cose, variegato.
    Fatta questa necessaria premessa, si deve introdurre un secondo distinguo, che non si evince adeguatamente dall’intervista. Ossia che la Harlequin del Canada è un colosso (anglofono) che ha un bacino d’uetnza vastissimo e che, sopratutto, non soffre di quel complesso di infeirorità che invece affligge il romance italiano. La ragione è semplice. Il testo romance viene venduto il libreria e nella grande distribuzione,. e sopratutto, le collane canadesi spaziano in ambiti estremamente più ampi rispetto a quelli italiani: l’erotico è presente e ha fatto da apripista perchè è stato affiancato a DECINE di altre collane. Dai topo Historical al romantic suspense, dall’urban fantasy al chick lit. Basta scorrere il catalogo della Harlequin per rendersi conto che ciò che arriva in Italia è una minima parte di quello che viene pubblicato. Perché la Harlequin Canadese è un editore generalista indirizzato a un pubblico femminile.
    Fare paragoni con la nostra realtà editoriale è, a mio avviso, discutibile. C’è un altro fattore che non viene citato nell’intervista. Ossia che i romance da edicola sono classificati come periodici e dunque non entrano nelle classifiche per questo motivo.
    Infine, da autrice Harlequin, aggiungo che provo (più di )un pizzico di fastidio nel sentir dire che le nostre lettrici sono addicted, quasi delle drogate cui si può passare qualunque tipo di prodotto.Non è così e non è vero. Pensare che le lettrici siano gallinelle di bocca buona significa non rendersi conto delle capacità di critica dei lettori. Un esempio: la collana Chrisalyde della Mondadori dedicata allo Y.A. A parte un paio di romanzi, è stata una delusione. La crisalide non si trasformerà mai in farfalla.
    I forum specializzati, i blog romance ( non tutti di buon livello, è vero, ma alcuni sono davvero notevoli) rappresentano una piattaforma di confronto in cui i gusti delle lettrici filtrano e operano attivamente nella promozione di un romanzo. Non *tutto* vien assorbito supinamente, e basta dare un’occhiata per capire che la narrativa erotica è non avrà un impatto epocale sul mercato, così come accadde per Twilight. Le ragioni sono semplici da capire: la ripetitività del cliché, i romanzi cloni che stanno affollando gli scaffali delle librerie e sopratutto, le mutate condizioni economiche che impongono al lettore/acquirente una scelta qualitativa. L’aria è cambiata ed è cambiato il target. Le adolescenti comprano libri, le madri di famiglia con i conti da pagare, no. Cinquanta sfumature è stato indubbiamente un successo ma è altrettanto vero che le critiche sono tutt’altro che positive. Basta farsi un giro sul web per rendersi conto di quante copie usate sono poste in vendita dalle lettrici. E basti ricordare lo scarto dei numeri di vendita tra il primo volume, il secondo e il terzo di questa trilogia (erotica? mah.).
    Dunque, sarebbe bene che le C.e. avessero maggior cura delle proprie lettrici. Meno marketing e un giretto in più nella vita reale, forse, sarebbe opportuno. Perchè rendere pop la cultura alta è un intento nobilissimo, purché non si considerino i lettori alla stregua di capre prive di spirito critico. Altrimenti, l’effetto ultimo sarà quello di rendere ancora più forte lo iato tra lettori e case editrici.
    Infine vorrei sapere come ci si può vantare di un fatturato in crescita a fronte dei licenziamenti e delle chiusure dei periodici che sono state programmate per fine anno. Focus e altre riviste sono state cancellate, o rischiano una drastica ristrutturazione di personale.
    Di questo ne vogliamo parlare?

  2. Scrive Sergio Di Cori Modigliani:
    “Il libro “50 sfumature di grigio” che ha già venduto 30 milioni di copie in occidente è il sogno di Milton Friedman: è il suo Mein Kampf.
    Ne parlo perché è bestseller anche in Italia. E lo trovo preoccupante
    Per i seguenti motivi: il libro viene presentato come “romanzo erotico”. Il prodotto viene presentato come il frutto liberatorio di una “normale” casalinga inglese, la signora E.L. James, sposata, tranquilla (la quale, what a surprise!, non fa mistero di aver votato e voler votare per David Cameron) e nel romanzo si racconta la storia di una certa Anastasia (il nome per antonomasia nell’immaginario collettivo anglo-sassone delle principesse) che è una poveretta repressa e semi vergine, la quale, per un caso del destino fa la giornalista (??) e incontra “l’eroe erotico per eccellenza” un certo Christian, di cognome Grey (in inglese “gray” vuol dire grigio ed è il colore d’ordinanza dei massoni conservatori britannici; quando In Inghilterra dite “quello è grigio” a differenza che in Italia vuol dire “quello è uno dell’oligarchia che conta”) il quale si presenta come personalità dominante, forte, che –toh! guarda caso- di professione fa lo speculatore finanziario, ma è un individuo nobile d’animo, molto intelligente, comprensivo, compassionevole dal punto di vista emotivo, che ha una passione erotica molto particolare: la pratica della riduzione in schiavitù della donna, nel libro presentata come l’anticamera della libertà sessuale femminile.
    Il libro, osannato dalla cupola mediatica internazionale, identifica –come si legge nel risvolto della copertina- “l’eterno desiderio femminile” intendendo dire l’eccitazione che la donna prova quando si trova davanti a un finanziere; non solo, a questo viene aggiunta la dizione “e lui la trascina nel vortice delle fantasie erotiche non espresse che ogni donna vorrebbe tradurre in realtà” ovverossia, essere schiavizzata. In Italia, la Mondadori l’ha lanciato facendo girare per i giornali l’immagine di Nicole Minetti che lo leggeva sotto l’ombrellone, perché questo è il modello di riferimento socio-psicologico che si è inteso voler comunicare. Per fortuna, al di là del successo economico, questo messaggio piattamente subliminare non è passato né in Sudamerica né tra gli intellettuali più accorti e rigorosi in Usa, dove le femministe intelligenti e libere esistono ancora, a differenza di questa nazione di narcolettici perenni. Donne comprese”.
    Tutto l’articolo qui:
    http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2012/09/ecco-il-mein-kampf-delle-casalinghe.html

  3. Non so, io trovo questa intervista molto inquietante. E sarei molto più “cattivo” nelle critiche. Per esempio, fuori dai temi strettamente economici Donnini propone psicologia d’accatto o il classico “non è un mio problema”. Non mi sembra tranquillizzante da parte del “responsabile della direzione generale di Mondadori”. Qui non si tratta di avallare “snobismi o sopracciglia inarcate”, si tratta proprio di marketing non specifico per il settore. Se vuoi “rendere un po’ più pop la cultura alta”, allora non puoi liquidare certi settori con “ha sofferto molto la saggistica impegnata. Forse abbiamo bisogno di evadere, anche – e paradossalmente – con i dolori degli altri”. Forse? E tutto il “lavoro […] fondato sulla condivisione delle idee di tutti” dove sta? “Non sono tenuta a essere un’esperta di letteratura, e penso che il mio compito sia un altro”, siamo d’accordo. Per esempio occuparti della “saggistica impegnata”. Ed è solo un esempio.

  4. Poi scommetto che la signora Laura Donnini vota il PD e quando va a casa racconta ai suoi figli che il suo mestiere è la cultura.

  5. ot. Per citare una mia amica, “L’unica cosa che Coso Grey può dominare è un comodino.” Giusto per dire.
    Non tutte le donne hanno quest’immaginario erotico, eh?

  6. Che desolazione: a leggere questa intervista mi sono cadute le braccia a terra. E poi mi sono detta: “ecco come perdere la fiducia dei lettori forti, quelli che si leggono sessanta libri l’anno e sono disposti a rinunciare a tutto il resto pur di comprarsi un buon libro”.

  7. Confermo, ho prenotato proprio qualche settimana fa i libri in uscita per i prossimi mesi e buona parte della letteratura era “erotica”. Ho discusso con uno degli agenti perché secondo lui stavo prendendo poche copie dei titoli “di punta” e alcuni non li ho nemmeno voluti (un altro agente era in imbarazzo, mi ha detto: “Sono contrario a questo titolo ma devo fartelo vedere lo stesso”. La trama prevedeva violenza sessuale spacciata per erotismo. Quando gli ho detto che non lo prendevo mi ha ringraziato.) la sua conclusione è stata: “Se i numeri sono bassi poi li centralizzano”.
    Trovare idee intelligenti è davvero troppo difficile.

  8. Buongiorno,
    Ancora complimenti per la trasmissione di ieri. Numerosi Spunti di riflessione seria con un giornalista che ha compiuto una operazione difficile, con il consueto rigore e passione di quelli che vengono dalla scuola di Santoro.
    Mi ha colpito per la concretezza della proposta l’idea di inserire una attività specifica nell’ambito del percorso formativo. Sembra banale, invece come è stato segnalato ieri, si arriva impreparati ad una fase importante della propria esperienza di vita, di crescita. Per guidare un auto, corso ed esami, per affrontare un cosa così importante, oppure per il matrimonio, o convivenza, o addirittura per mettere al mondo dei figli, con le responsabilità del caso, no???
    Un altro passaggio che mi ha colpito è stato anche questo: E’ vero che le donne non uccidono gli uomini, ma le donne uccidono la ns. anima ha rilevato un messaggio da voi letto. Sto riflettendo su questa frase da ieri..penso che mediterò ancora su questo rilievo.E forse andrebbe approfondito questo aspetto dell’argomento, che risulta esser davvero complesso. D’altronde in un momento di grandi cambiamenti, se si deve affrontare con serietà una materia così importante come i rapporti tra uomini e donne, penso che sia opportuno effettuare più di una riflessione.
    Ancora complimenti e buon lavoro.

  9. Intervista interessantissima anche per me. “Addiction”, la parola chiave dei nostri tempi. Le parole: ..” la scrittura sentimentale femminile è comunque interpretata come ottimo veicolo per vendere” mi hanno suggerito che forse oltre alla vendita di libri i testi presentati come erotici cerchino di influenzare-plasmare anche lo stile di vita di chi legge, facendo anche da traino all’acquisto e al consumo di sex toys, ornamenti fetish, pratiche sado-maso molto diluite.. non ci si può vedere anche una sorta di strategia di product placement all’interno di queste trame? Chissà, magari si arriveranno a proporre uno sconto al sex shop se ti presenti con una copia di 50 sfumature.. Spero di non doverli leggere per scoprirlo! 🙂

  10. La bibliomanager annuncia frotte di femmine scriventi messe sotto a sfornare trilogie hard come cinesi nei capannoni di Prato. Si vanta di non aver letto Mann ma un botto di Harmony sì. Che dire? Siamo in un ventre di vacca. Sì, quella griffata, viola e bianca della Milka. Una vacca finta, che non spande letame, non nel senso più fisiologico del termine.

  11. Cara Loredana, già da anni non compro Mondadori, figurati adesso con la pop Donnini, lei fa il suo mestiere, e io il mio di lettrice accanita, ma con la passione delle piccole case editrici, delle “scoperte”, degli “introvabili”..ecc.. Ma a proposito di letteratura erotica, con o senza sfumature, ti segnalo un piccolo fenomeno, nato in Spagna (come si chiamava, quella tipa, Almudena?) beh, vai a vedere: http://www.lamaletaroja.com..che ora si diffonde in Europa, e massimamente in Italia. Sono le ragazze con la valigia rossa (sessuologhe, psicoanaliste, ecc) che presentano solo per donne oggetti di erotismo e di autoerotismo…troppo divertente! Parteciperò ad un incontro la prossima settimana…poi ti racconto! Altro che romanzetti rosaspinto…Ciao! Ci sentiamo oggi sul 3…andreina

  12. se uno scrittore aderisce, in autonomia o perchè glielo chiede un editore, a un dato genere, sotto-genere, filone o quel che sia, mi piace pensare che sia perchè si ritiene adatto/a a quel tipo di storie e desidera raccontarle anche perchè se mi metto a scrivere pensando soltanto ai soldi che potrei ricavarne (e non dico che non ci si deve pensare per niente, i soldi servono) faccio un pessimo servizio a me come scrittore e un libro scritto senza passione per ciò che si racconta difficilmente avrà successo.
    e del resto se un editore non è stupido, commissionerà romanzi o racconti di un certo genere o filone ad autori che conoscono il filone e lo apprezzano..o no?

  13. Non so a me di tutta l’intervista la cosa che colpisce di più è che non abbia letto Thomas Mann, ma si metta “all’ascolto di chi l’ha letto”. Come dire: io devo solo vendere dei prodotti, mica mi chiedevano se sapevo cucinare quando vendevo risotti in busta!

  14. @ paolo 1984
    ma scusa, perdonami la franchezza, lasciando stare i commenti scandalizzati perché la manager non ha letto Mann ( e ‘sti cazzi no? però serve come notizia in un’intervista inutile per trarne le solite conclusioni circa l’abbrutimento dei tempi ), l’editore è libero di fare quel che vuole, è libero di godere nello spennare i polli e di commissionare a chi più in grado di farlo il libro per spennare i polli; e fa benissimo se ce la fa. qua la passione non c’entra e non deve entrarci, oltretutto la manager è appassionata più di tutti e ha le idee chiarissime, sennò a quei livelli non ci arrivi ( poi magari tra un anno fallirà ). ma perché devi trovare il lato buono della cosa? senza polemica eh!

  15. Mah, Paolo, in ogni caso, già l’idea che un editore “commissioni” un’opera di narrativa mi sembra inquietante… Proprio per quel che dici tu, che un romanzo scritto senza passione difficilmente può essere un gran libro… Se uno scrittore ha già a cuore un certo argomento, al punto da scriverci un romanzo, sarà lui a proporre un lavoro o un progetto a un editore no?
    Comunque l’intervista conferma quanto Mondadori punti sull’andare dietro ai casi e generi di successo; invece di scavare loro qualche solco, Donnini vanta di avere questa batteria di scrittrici che lavorano “nel solco di”. Che poi, io non mi intendo di marketing, eh, parlo da profana, ma andare “nel solco di” non mi colpisce come visione particolarmente ambiziosa o orientata all’eccellenza… Ma anche come strategia di sopravvivenza, qualcosa mi confonde: in sostanza dici, diamo alle letttrici la roba che vogliono senza sbatterci troppo per inventare altro, come fanno da Harlequin. Un Harmony (=Harlequin) però costa 3,10 euro… Un Mondadori invece? Quindi, perchè poi una se le piace quel genere non dovrebbe comprare gli Harmony (che sono peraltro di Mondadori?)? grat grat.

  16. Oh, che risate. Mi pare un’intervista alla Minetti, della serie “in politica non c’è bisogno di essere preparati”…

  17. Forse mi sbaglio ma mi risulta che per quanto riguarda i racconti (lo so, i racconti non sono romanzi), scrivere su commissione non sia insolito: mettiamo che sono un editore o un curatore di antologie e voglio fare una raccolta di racconti romance (dico romance ma potrei dire qualsiasi genere o sotto-genere), è ovvio che mi rivolgerò ad autori o autrici che so essere appassionate/i del genere, che ne conoscono i meccanismi e li padroneggiano e che ci si cimenteranno con entusiasmo. Poi sta allo scrittore/scrittrice valutare se chi ha commissionato i racconti impone dei limiti pesanti e insopportabili alla sua creatività o meno.

  18. Sul breve termine il discorso della bibliomanager non fa una grinza. Resta da vedere per quanto tempo le nuove addictet continueranno a comprare libri dello stesso genere, che poi sempre quello è, mettici i vampiri o i manager galattici. Secondo me la bassa qualità ha il potere di annoiare in fretta, e credo che accadrebbe anche con i più nazional popolari circenses. Per dire, se le partite di calcio fossero via via più noiose, ripetitive e giocate da brocchi, ecco, credo che alla fine gli stadi sarebbero vuoti. E già ora la qualità di certi libri è molto più bassa di quelli scritti da Liala o da Sveva Casati Modignani.
    E poi c’è il discorso dei lettori forti, che fanno da traino e da esempio, e danno anche una discreta quota dei profitti. Un lettore forte vuole un minimo di qualità e di varietà, altrimenti inizia a trovare soddisfazione in altri settori dell’ intrattenimento e dell’ arte. Se non fosse per i libri del passato, che non ho ancora letto, vi assicuro che parte del mio tempo dedicato alla lettura sarebbe passato alla visione delle serie tv e ai videogiochi.

  19. Mi piacerebbe sapere la sede in cui sono state effettuate le maggiori vendite della trilogia delle 50 sfumature…
    Quest’estate anche ogni autogrill era letteralmente tappezzato di colonne di questi volumi, coloratissimi, anche abbastanza grossi da rappresentare un libro da regalare, tentatori insomma, dato pure l’argomento. Ma soprattutto erano ovunque – dico ovunque.
    Se aggiungiamo il fatto che nei posti dove non ci sono librerie ma solo carto-librerie e giornalai, questi non scelgono quasi mai i libri da esporre ma gli vengono imposti dalla distribuzione, si chiude il cerchio di un marketing che, letteralmente inondando le rivendite di quel che vogliono, spinge un prodotto confidando sull’invasione, stile hello kitty. Cioè, cosa si intende per ‘successo’ di un libro, se è frutto di una pubblicità a tappeto, martellante, invadente e pure escludente?

  20. D’istinto, “l’intera squadra di scrittrici” già al lavoro (“che però non rinunceranno ai topoi classici della storia d’amore, il principe azzurro e il lieto fine”) mi hanno fatto venire in mente le protagoniste di “Galline in fuga”, con la produzione giornaliera di uova e il conseguente spauracchio di venire sgozzate dalla signora Tweedy-Donnini in caso di calo della produzione.
    Beh, spero che anche il finale abbia le stesse somiglianze.

  21. Peraltro, il discorso dell’addiction vale anche per la narrativa per bambini, se ricordate il post di un paio di giorni fa. Si crea una squadra e la si mette al lavoro, dando al giovane lettore quel che si suppone desideri. E’ un metodo, e dal punto di vista economico a quanto pare dà i suoi frutti. Poi, però…

  22. @ Anna Luisa
    però ecco, un po’ sono polemico, ma cerchiamo di essere sinceri e ragionevoli. se un lettore perde la fiducia nella mondadori o nell’editoria bisogna che qualcuno gli dica che è ora di crescere. oggi c’è un’offerta sterminata e tutta la possibilità mai avuta prima di informarsi.

  23. Non sei polemico, faccina, sei quanto mai abile, anzi. Esiste un’offerta volta appunto a creare “addiction”. Ne stavo parlando poco fa con Seia Montanelli: nel momento in cui si fa più ampia la forbice tra intrattenimento e letteratura, e il primo va al ribasso mentre il gruppo di iper-letterati va ad un rialzo fine a se stesso, quel che doveva essere – ed era – “in mezzo”, non trova più credito. Presso gli editori, visto che l’effetto domino è questo. Come notava Seia con intelligenza, la narrazione si sta spostando altrove: fiction televisive, e film. Mi permetto di citarla, perché condivido in pieno il suo pensiero: “Abdicare alla funzione dello story-telling , sia in un senso che nell’altro, sia andanvo verso libri beceri che verso opere “alte” che respingono il lettore, è il de profundis dell’editoria e della lettura”. Ecco.

  24. ma io posso anche essere d’accordo, sulla forbice tra “intrattenimento” e “letteratura”, per quanto onestamente che nel 2012 ancora si creda all’essenza delle letteratura, o alla letterarietà dei testi mi fa un po’ ridere. però ci sono un sacco di cose che non so, quindi vado per fiducia.
    è sull’implicazione di fondo che contesto. sul pessimismo. sul parlare dei lettori sempre per impressioni. sull’idea che l’editoria stia andando da qualche parte e ci sia un futuro dei libri. non sta succedendo niente.

  25. commenti sopra di alice e valberici, per cui i “lettori forti” poi si sfiduciano eccetera. la casa editrice è quasi costretta a supporre i gusti dei lettori, a trattarli come target, ma noi che commentiamo? anche l’altro giorno si parlava di come è cambiata la lettura; vi riferivate a come è cambiata per voi? è cambiata? abbiamo meno voglia di leggere, preferiamo testi più brevi, più semplici? mi pare sempre di assistere al racconto di un gioco di ruolo; gli editori da una parte, gli scrittori dall’altra e i lettori in mezzo. non voglio essere irrispettoso, so che dietro c’è impegno e ricerca, però leggo questo. magari leggo male eh?
    anche l’intervista, la giornalista che dice avete perso Saviano e l’altra che risponde parlando di pilastro della cultura. ma non è più ridicolo questo teatrino?
    e poi: ma se qua grossomodo leggiamo tutti molti libri, siamo anche noi “addicted”. che siano harmony o “letteratura” non vedo la differenza.

  26. se puoi, lascia perdere le stronzate che dico e prendi le domande che pongo, anche senza rispondermi. le domande su come è cambiata la lettura, che secondo quanto detto da te, wm4 e ekerot è stata modificata ( almeno così mi è parso di capire ) dagli e-book, oppure è cambiata e basta. si dice che sia cambiata ma poi in concreto come facciamo a dirlo?
    @ Seia
    non si può credere all’essenza della letteratura, non alla letteratura. non si può credere che esista l’intrattenimento e la letteratura. si possono usare queste categorie alla buona per intendersi, ma non ci si può credere veramente. non dal 2012, certo, da quanto abbiamo smesso di credere al sovrannaturale. + o –

  27. Salve, oltre a ringraziare per gli spunti forniti ripubblicando l’intervista, vorrei solo dire occhio alle parole, questo blog ha un grande impatto su chi lo segue e c’è il rischio che “biblio” davanti qualcosa sia percepito come dispregiativo e non sia mai 😉 (lo dico perché è stato l’effetto che addirittura ha fatto a me :S)

  28. @ faccina:“se un lettore perde la fiducia nella mondadori o nell’editoria bisogna che qualcuno gli dica che è ora di crescere. oggi c’è un’offerta sterminata e tutta la possibilità mai avuta prima di informarsi.”
    1) Faccina, ti rispondo in modo sintetico e senza intenti polemici, davvero. Non sono un lettore sprovveduto, al contrario, quando entro in una libreria per acquistare un libro ho sempre le idee molto chiare su ciò che sto comprando. Perdona la franchezza, ma visto che mi hai dipinto a metà tra un’ingenua e una sprovveduta…
    2) Quello che mi irrita è da un lato leggere dichiarazioni stomachevoli da parte di certi addetti ai lavori (sì stomachevoli, questa intervista mi ha davvero disgustata. Laura Donnini parla delle sue potenziali lettrici nello stesso modo in cui potrebbe esprimersi un cinico pusher che cerca di fidelizzare clienti tossici rifilandogli roba tagliata male) e dall’altro dover leggere le lamentele degli stessi addetti ai lavori (è il mantra del momento) perché in un anno si sono persi 700000 mila lettori forti. Ecco, per me questo è il punto. I motivi di questo calo sono di sicuro variegati, ma la forza del lettore sta anche nel rifiutare certe sciatte e dozzinali dinamiche di marketing sottese a prodotti editoriali di scarsa qualità.
    P.S.
    Ora, in barba alla Donnini (e a tutte le sue sicurezze sui gusti delle lettrici) esco e vado a comprarmi *Niente di nuovo sul fronte occidentale*: un grande classico della letteratura di guerra. Mi dispiace per questi manager puri di terza generazione ma io – e come me altre lettrici – sono fuori target.

  29. Gian Arturo Ferrari, che è stato dg (non ricordo con esattezza esatta la carica, ma era comunque al vertice) di Mondadori per secoli, una volta ci fece una lezione all’università. Ricordo come fosse ieri anche se sono passati più di 10 anni. Disse che in altri paesi stavano molto più avanti di noi perché lì trattavano i libri come fossero scatole di fagioli e con gli stessi criteri cercavano di venderli. Come quasi sempre avviene, la questione è di valori. Per tante persone la “vendibilità” è un valore e tutto viene considerato in ragione della sua vendibilità, le persone in primo luogo. Mi sembra che questa stessa logica sia presente in colei che oggi raccoglie l’antica eredità di Ferrari. Per altri non è così, sono diversi i valori che contano, e in un libro si offre e si cerca altro dalle emozioni preconfezionate in salsa rosa, nera, gialla o grigia che sia. Però che molte persone amino le emozioni in scatola non lo si può negare. Uno dei motivi (ma non certo l’unico) è forse nei cortocircuiti tipici su cui fanno leva le comunicazioni di massa, in quelle profezie che si autoavverano per cui se bombardi la gente di un bisogno, poi quel bisogno per tante persone diventa reale, e ci si potrà più facilmente coprire dietro un “così vuole la gente”.

  30. io ho trovato l’intervista piuttosto deprimente, se non altro per il tono un tantino sprezzante che Laura Donnini sembrava avere. Aldilà del fatto che non abbia letto I Buddenbrook (libro che peraltro le consiglierei di sfogliare, così en passant) mi ha colpito molto che considerasse buona parte del pubblico femminile come una massa di casalinghe/madri/piccole borghesi alla ricerca di romanzi rosa alla Harmony o nella nuova versione porno-soft di “50 sfumature di grigio”. Chiaramente Mondadori cerca di vendere il più possibile, ma a questo punto da lettore se devo scegliere tra Faletti e E.L. James, forse è meglio dedicarsi a qualche altra attività – fosse anche accendere la tv e guardarsi una buona fiction come “Mad Men” o “Downton Abbey”. Con buona pace di Donnini , va bene vendere ma un romanzo degno di questo nome non può essere trattato alla stregua di una scatola di fagioli o di una confezione di dadi Star…

  31. @ Anna Luisa
    un po’ ho equivocato, ma non ti volevo dare dell’ingenua. dicevo che dai commenti generali si conclude che se le case editrici puntano al profitto e basta poi per forza i lettori si disaffezionano. noi stiamo qua a parlare dei “lettori” come fossero dei personaggi, delle cavie eccetera. ma a te davvero importa di cosa pensa Donnini? lei vende libri, non gli cambia nulla se leggi remarque o pinco pallo, basta che paghi. poi citi un dato ( onestamente non sembra credibile, persi che significa, che sono morti, che hanno smesso di botto di comprare libri, che non leggeranno mai più? ), il presunto calo dei lettori forti. se esiste qualcuno che legge tanto e un giorno scopre che le case editrici vogliono solo i suoi soldi e si indigna, beh, meglio tardi che mai ( cmq non è vero, e la mondadori stessa vende ottimi libri ). questo intendevo dire. io sono sorpreso per le tue reazioni di fronte a questa intervista, come sono sorpeso dalla reazione generale dei commenti, si parla di inquietudine addirittura. mi pare di cogliere uno sguardo etico su un fatto in cui l’etica non c’entra nulla.

  32. Faccina. A Francoforte è stato appena presentato il rapporto annuale AIE (associazione italiana editori, ma penso che tu lo sappia molto bene). I dati sono durissimi, sono nudi e crudi e l’intervento del presidente AIE è molto più che inquieto. Se la cosa non ti tange, non è detto che non debba interessare a noi. C’è un limite anche alla fintatontaggine, eh.

  33. Questa cosa del manager che applica i principi del marketing a prescindere dal prodotto fa tanto Wall Street, magari paga da un punto di vista commerciale, nell’immediato, ma non aiuta l’editoria in generale. A me delle 50 sfumature interessa meno di niente. Mi fa piacere che ci siano lettrici che si sono divertite nella lettura, non mi scandalizza né mi deprime. Considero normale che sia offerta anche una letteratura diciamo di serie B, e che questa sfrutti i canali più accessibili a quei “consumatori”. Questo genere di libri è in commercio da sempre, e ha un suo pubblico. Non priva me del diritto di comprare libri migliori: le librerie straripano di titoli molto più interessanti. Ma le cifre dell’Aie dicono che i lettori sono pochi, e sono sempre di meno. Non credo che si tratti dei lettori forti, che posso immaginare siano una minoranza tenace. Penso piuttosto che ci sia una voragine tra questi lettori (che comprano magari decine di libri all’anno) e quelli che sì e no ne comprano uno, magari le 50 sfumature. Come si fa a incentivare la lettura di questa fascia “mediana”, quella che magari comprerebbe 10-12 titoli in un anno? Applicando la logica per cui do al consumatore esattamente quello che vuole, come dice Donnini? Non mi convince. Perché se guardo al lettore come a un consumatore, devo rassegnarmi al fatto che “consumerà” prima altri prodotti e, a parità di prezzo, tra un libro e una borsetta comprerà la borsetta.
    C’è poi un altro aspetto: i consumatori medio-forti di libri sono in genere persone che lavorano più o meno nella cultura. Insegnanti, redattori, lavoratori dello spettacolo, archeologhi eccetera. Categorie, che, guardacaso, sono anche quelle più sottoposte alla precarietà, con compensi spesso al limite della decenza. E allora l’acquisto di un libro può diventare davvero una questione di soldi: posso permettermi di spendere 600 euro all’anno in libri? Forse no. È un bel paradosso. Forse il dado star si vende anche se il lavoratore del supermercato è precario e sottopagato. Se il lavoratore dell’editoria (o di altri settori della cultura) è precario e sottopagato, il libro non si vende…

  34. Me li immagino Céline, Bukowski, Melville, Nietzsche, e altri disperati, che si siedono a tavolino con la penna in mano e cercano di scoprire come “intercettare i bisogni dei lettori sul piano dell’intrattenimento”

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