AMBIZIONE E REPUTAZIONE

Richard von Mises fu uno dei matematici austriaci che riparò all’estero (in Turchia, e poi negli Stati Uniti) dopo l’affermazione del nazismo: mi permetto di scomodarlo  perché fu von Mises a formulare quello che viene chiamato paradosso del compleanno (o problema del compleanno). Riferito da una profana quale io sono, significa che la possibilità che in un gruppo di persone ce ne siano due che compiono gli anni lo stesso giorno è piuttosto alta: oltre il 50% se gli individui sono 23, e il 97% se sono 50. Questo per dire che le coincidenze, a quanto sembra, sono una costante della nostra esistenza, e che non sempre stanno a indicare, come nel caso che sto per sottoporvi, l’esistenza di un fenomeno.
Qualche giorno fa, a distanza di pochi minuti, ho letto un post e ricevuto due telefonate. Il post riguardava la politica, le telefonate riguardavano la letteratura. Da due ambiti apparentemente non vicinissimi (con tutti i distinguo del caso), ho ricavato la stessa sensazione, e da quella sensazione ho tratto una considerazione, peraltro non nuovissima: la reputazione viene ritenuta più importante dell’azione. O, quanto meno, il giudizio sulla nostra immagine  sembra condizionarci maggiormente rispetto a quello che riguarda i nostri effettivi progetti e le nostre opere: so che tutto questo è stato già detto, scritto e analizzato in relazione alle vicende italiane degli ultimi venti-venticinque anni. Ma adesso l’ossessione della “reputazione” sembra riportarci molto, molto indietro nel tempo.
Dunque, il post. Lo ha scritto Cristina Sivieri Tagliabue per Donne di Fatto. Riguarda Matteo Renzi e sostiene, in sintesi, che Renzi è un bravo oratore, che è “uno degli uomini più lucidi della comunicazione italiana”, che si è circondato delle persone giuste, che si dimostra ferrato nei dibattiti. Però non ha un programma sul gender gap, mentre Bersani sì: o meglio, Bersani ne parla e  “fa un sacco di fumo con bei paroloni”.  L’invito a Renzi è quello a “non stare zitto”. Non a impegnarsi in uno straccio di programma (o almeno così sembra): ma di parlarne, benedetto ragazzo. Apparentemente,  un capovolgimento totale: non è quello che il candidato intende fare  a contare ma il modo in cui comunica, e quel che gli si chiede  è  di comunicare  sulle donne.
Ora, non mi interessa parlare di Renzi, di Bersani, di Vendola, di Puppato: non in questa sede, almeno, e non oggi. Mi interessa il ragionamento, così come mi interessa l’analogia in ambito letterario.
Le due telefonate venivano infatti da altrettanti scrittori che stimo, e che mi hanno chiesto un parere.  Quel che ho immaginato all’inizio è che il consiglio avrebbe riguardato i romanzi che stavano scrivendo. Invece il dubbio – analogo, anche se gli ambiti erano leggermente diversi –  riguardava le reazioni che quegli stessi romanzi avrebbero  eventualmente suscitato nella cerchia letteraria.
Una questione, dunque, di reputazione. Intendiamoci: i due scrittori non erano affatto tenuti a chiedere il mio parere sul loro lavoro. Potrebbero esserne stati  gelosi, oppure estremamente convinti, oppure ancora mi ritenevano  più adeguata a esprimere un giudizio sull’impatto che sul contenuto. La sensazione che ne ho ricevuto, però, è che la preoccupazione per l’eventuale incrinatura della loro immagine fosse più forte rispetto a quella che riguardava il testo.
Alla fine delle due  telefonate la mia perplessità è aumentata. Abbiamo già discusso non poche volte dell’idea corrente secondo la quale  chi scrive debba essere estremamente attento nell’intrattenere ottimi rapporti con i colleghi (almeno in apparenza), perennemente disponibile con i lettori (tutti, anche quelli che lo contattano solo per essere presentati al suo editore o al suo agente e se ne infischiano di quel che il nostro ipotetico  scrittore ha prodotto), attivissimo sui social media.  In rete esistono migliaia di siti che istruiscono esordienti e non a costruirsi una perfetta reputazione on line, riservando il loro impegno a pararsi le spalle dai blogger concorrenti, pronti a darti – leggo su uno di questi siti –  “in pasto agli squali”, e nei confronti dei quali occorre, riassumo, utilizzare la vecchia logica che oppone al brigante un brigante più mezzo.
Bene, alla fine della serata sono andata a ricercarmi un intervento che Giuseppe Genna aveva scritto per Carmilla nove anni fa. E dove diceva:
“E’, anzitutto, un problema di ambizione. Che cosa ci si attende dall’opera letteraria, oggi ? L’incredibile depauperamento della capacità di impatto cognitivo e ontologico dell’opera letteraria si spiega con l’indebolimento dell’attrazione tra due poli : è venuta meno, da parte dei lettori, l’attesa dell’incisività (ontologica, appunto, poi etica, infine perfino estetica) dell’opera letteraria ; allo stesso tempo si constata un affievolimento del credito che lo stesso letterato concede all’idea di opera letteraria. Un’atmosfera lassista, accompagnata dalla carenza di studio (non di nozioni e nemmeno di capacità autocritica) pervade ciò che un tempo si definiva “ambiente letterario” ; tanto che, e non ci si vergogna a dirlo, non esiste più alcun ambiente letterario”.
La questione dell’ambizione è importante, e andrebbe riproposta  in letteratura (ma anche in politica). Che cosa ci si attende da un romanzo, non solo da parte di chi scrive, ma da quella di chi legge? Cosa vogliamo dallo scrittore e dal politico? Che sappiano ben parlare, ben porsi, che sappiano sorridere, dare pacche sulle spalle, promettere – un pacco di pasta o una recensione benevola, poco importa- ? Qual è, infine, l’ambizione, quali i sogni? Reputazione o ambizione?
Nel suo famoso intervento  su Walter Benjamin e  la fama postuma, Hannah Arendt scrive: “Non possiamo sapere se esista davvero una cosa come il genio incompreso, o se sia il sogno consolatorio di coloro che geniali non sono”. Il punto è che ormai parole come genialità o semplicemente talento o ancor più semplicemente lavoro sembrano concetti non prioritari. Quel che conta è comunicarli e comunicarsi. Nel 1936, Margaret Mitchell scrisse una frase folgorante come : “Chi ha coraggio fa anche a meno della reputazione”. Nel 2012, temo che le riderebbero in faccia.

10 pensieri su “AMBIZIONE E REPUTAZIONE

  1. Io non rido di Margaret Mitchell. Forse sono troppo giovane, troppo sconosciuta per dare importanza alla mia reputazione. Vedo un abisso tra i politici attuali e quelli di una volta, gli autori attuali invece non sono così distanti da quelli di una volta. E’ cambiato il pubblico, come dici tu. E perchè sia cambiato è storia lunga e complessa. Però è così. Oggi abbiamo tutti venti secondi e un colpo solo per colpire o mancare il bersaglio. Un tempo autori e politici avevano ore, settimane, mesi e interi caricatori di proiettili perchè la loro voce svettava isolata tra il nient’altro. Ora le voci si affollano, emerge il genio, il talento di chi si distingue perchè la gente si accontenta del “diverso dal solito” perchè non ne può più di messaggi. E non riesce più a distinguere ciò che davvero è bello, giusto, saggio, geniale da ciò che è sbagliato, brutto, idiota, dozzinale… sia in letteratura che in politica, s’intende.

  2. Credo che il vento stia mutando. Un tempo ricevevo mail in cui mi chiedevano consigli su libri appartenenti al genere fantasy, in tutte le sue declinazioni, e notizie su eventuali incontri con gli scrittori. Ora invece leggo richieste di “qualcosa di diverso” dai soliti vampiri, elfi e quant’altro. Ho anche la sensazione, sono appena tornato da Lucca, che ci sia meno interesse per gli autori, per le loro persone. Credo che ci sia fame di contenuto e di qualità. Però, purtroppo, molte volte mi accorgo che i giovani lettori hanno pochi strumenti, non è raro che abbiano difficoltà a comprendere un testo appena appena un po’ più complesso e strutturato. 🙁

  3. Anche io credo che ci sia una mutazione in arrivo: necessariamente, perché sarebbe poco praticabile continuare sulla via attuale, nè credo possibile la semplificazione “tutti scriveranno per gli smartphone” o cose del genere. Quanto ai giovani lettori: forse bisognerebbe cominciare a ragionare su quella che sta diventando molta parte della narrativa per l’infanzia 🙂

  4. In questi giorni mi costringo a un lavoro molto diplomatico – perchè io geniale non sono, in compenso sono coraggiosa per pigrizia. Ed è una cosa che mi fotte professionalmente. A me cioè – fa una gran fatica essere attenta all’ulilità di immagine, all’attenzione dei rapporti di convenienza. Ora sono in formazione per un lavoro a cui tengo e sto imparando l’esercizio di mordere il freno – che è sempre meglio che azzannare alla giugulare, oppure rivendicare con orgoglio il proprio sguardo sulle cose.
    Nella mia idea di scrittura, probabilmente velleitaria quanto amatoriale, c’è il mito di un tribunale interno sulla qualità del testo, sul cosa dire che dovrebbe vincere su tutto, perchè il bisogno psicologico di usare una parola anzichè un’altra e la fedeltà di quella traduzione, sono un imperativo categorico che nasce da un bisogno egoista ma ha una ricaduta etica quasi suo malgrado. Il pensiero che questa priorità sia asservita a delle logiche di convenienza, mi suscita una gran pena, una pena per una sorta di psicopatologia sociale – di cui gli scrittori raccolgono il sintomo portandolo a psicopatologia individuale, è un sacrificio di se ecco, molto triste. Per cui il problema non è neanche nel genio o nel talento, il problema è in un ricatto avvertito come mortale. Ma è molto difficile, starsene fuori.

  5. Mi piace continuare a pensare che chi scrive non metta le logiche della convenienza davanti al proprio lavoro – anche se viviamo in un mondo (un universo, se pensiamo nello specifico a internet) dominato dalla sovrapproduzione di oggetti e sovraesposizione di soggetti: un guazzabuglio di roba in cui ognuno cerca di emergere (ma poi non sarà sempre stato così, anche se con proporzioni e in modi differenti?).
    Ad esempio, rispetto a quanto riportato nella citazione di 9 anni fa, mi pare che un minimo di ambiente letterario sia riaffiorato, in qua e in là, e molta parte l’ha avuta proprio il web, che oggi rischia in effetti di veder esaurita la propria spinta, proprio laddove dovesse ridursi all’esposizione (leggasi reputazione/promozione) senza dar corpo alle pratiche prodotte (leggasi mettersi in gioco).

  6. eh sì, purtroppo di questi tempi la reputazione è tutto, e quella di una persona è il suo rating professionale, indica quanto vale per il mondo. io, se sono certi critici a quantificarlo, mi sa che sto messo come la grecia (cioè come carofiglio ma senza le sue tirature).

  7. Sergio: la critica, però, non è più titolare di rating. Non so se sia bene o male, ma è un fatto. Perchè dentro il generico “passaparola dei lettori” si va a intrufolare la stessa problematica che si può riferire alla politica e ai casi di Renzi o di Grillo. La reputazione, appunto: la reputazione intesa non come comportamento etico, bensì come popolarità e come presunta empatia fra chi scrive (o chi si candida) e lettori (o elettori).
    Simone: piace, naturalmente, pensarlo anche a me. Ma credo sia importante insistere sulla potenzialità di approfondimento del web, perchè quel che io temo fortemente è che l’esposizione-promozione sia decisamente prevalente, ai nostri giorni.
    Zauberei. E’ difficilissimo.

  8. A proposito del caso e della prevedibilità, colgo l’occasione per consigliare sia “Fooled by randomness” (Giocati dal caso) che “The black swan” di Taleb.

  9. “Conosco poca gente al mondo che si accetta per c om’è la maggior parte si nasconde si mette delle masche-re”, cantava il grande gatto panceri così anch’io quando leggo lipperarutura adotto sempre uno sguardo un po’ lefebriano ed ho apprezzato molto il ricordo di chiara palazzolo presentato, (niente è per caso), nella cattolica ricorrenza. l’amore nella festa dei morti.
    Ora leggo poi una frase come “chi ha coraggio fa anche a meno della reputazione” che forse nemmeno i ciellini avrebbero adesso il coraggio di pronunciare; mi rincuoro sinceramente nella virtù teologale della speranza. Penso che dalla scrittura e dalla politica tutti ci attendiamo all’incirca le stesse cose; riposo, custodimento e svago, attese condivise da tutti, scrittori e lettori, politici ed elettori. Comuqnue questo era un post serio mi è piaciuto, che in effetti il valore di un azione, come anche quella di scrivere, è davvero incomparabile a quello della reputazione, come il valore della nostro esistere, nel bene e nel male, va molto al di là delle nostre rimuginate opinioni, ..,.,..
    ciao,k.

  10. ”. Il punto è che ormai parole come genialità o semplicemente talento o ancor più semplicemente lavoro sembrano concetti non prioritari. Quel che conta è comunicarli e comunicarsi”. Un fenomeno che risalta concentrandosi sull’arte pittorica è che la nostra è una democrazia governata dagli uffici stampa,affogata nelle pubbliche relazioni.IL senso critico è un fantasma ormai sbiadito,come il sesso per il bukowski di pulp(la verità è nella resistenza)
    http://www.youtube.com/watch?v=Xj_hyGSdPuc

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