ANNAMARIA TESTA E LA CREATIVITA'

Qualche giorno fa, su Repubblica, è uscita una mia intervista ad Annamaria Testa, riferita al suo splendido libro, La trama lucente. Vi posto qui la versione lunga dell’intervista medesima.

Il libro è una sistematizzazione, davvero fondativa, di tutto quel che fin qui è stato scritto e pensato sulla creatività. Come nasce il progetto?

È più di trent’anni che lavorando, scrivendo, dialogando con le imprese, insegnando, traffico con gli aspetti pratici e teorici della creatività. Avevo una certa voglia di mettere ordine e condividere, credo. Ma l’argomento è ingarbugliato e si rischia di scivolare da tutte le parti: nell’aneddoto, nel tecnicismo, nel racconto esoterico, nell’affermazione velleitaria. Mi hanno persuasa a provarci davvero il bisogno di restituire rispetto e stupore a una parola, “creatività”, spesso impiegata per definire tutt’altro. E una dose di temerarietà. E l’interesse suscitato dal sito nuovoeutile. E un sabato mattina immagonito. Insomma, mi sono detta metti insieme i pezzi, vai a cercare quelli che mancano, scrivi. Ne sono riemersa dopo ventisei mesi.

Dopo incursioni nella storia, nel mito, nella psicanalisi, nelle neuroscienze, nella sociologia e quasi in ogni campo del sapere, è possibile davvero dare una definizione univoca di creatività?

Ciascuna disciplina dà una definizione legittima ma parziale. Per la psicoanalisi è la cura di una ferita, la trasformazione di qualcosa che non è in sé positivo. Freud parla di sublimazione, Arieti addirittura di “sintesi magica”. Anche i ricercatori contemporanei dicono che la creatività nasce spesso da un malessere o un lutto. Sono sorprendenti le ricerche di Simonton: una percentuale sopra la media di persone eminenti per creatività (circa una su cinque) resta orfana nell’infanzia o nella prima giovinezza. Un terzo circa dei premi Nobel affronta difficoltà nella prima parte della vita.

Le neuroscienze invece cercano, per esempio, di capire come una condizione neurale si trasforma in uno stato mentale. E poi in un’idea. E quale stato di eccitazione neurale è indice di pensiero creativo. Ci dicono che le connessioni tra neuroni si rafforzano se esercitate. È una conferma indiretta della legge di Simon: servono almeno dieci anni di esercizio costante per combinare qualcosa di buono in qualsiasi campo.

La creatività, fatto psichico e individuale, si traduce poi nel fenomeno economico e sociale dell’innovazione. Determina, a partire dalle scelte degli imprenditori o del management, lo sviluppo delle aziende. Ed è strettamente connessa con l’educazione, la scuola. Insomma: non si finisce più.

Esiste un solo tipo di creatività?

Pensiamo piuttosto a un cocktail variabile di qualità caratteriali ed emotive, storia personale, formazione, competenze e talenti, ambiente, caso e fortuna. Esistono però dei tratti ricorrenti: senza tenacia e competenza non si va da nessuna parte.

Anche il processo creativo ha uno schema ricorrente: un lavoro cosciente di raccolta e organizzazione di dati, un periodo breve o lunghissimo di elaborazione inconscia e l’emergere, spesso in forma visiva e globale, di una soluzione inaspettata. E poi verifiche e formalizzazione. In certe attività – per esempio, quelle che portano a una scoperta scientifica – questo processo si estende nel tempo. In altre (per esempio, la stesura di un romanzo) si ripete molte volte. E ci sono la genialità creativa e la creatività quotidiana. La prima ci meraviglia, la seconda ci aiuta a vivere meglio.

Ed è solo umana?

La parola –insight- che descrive l’illuminazione creativa è stata per la prima volta impiegata da uno psicologo della Gestalt, Wolfgang Kohler, a proposito di uno scimpanzè che inventa un modo brillante per raggiungere una banana fuori dalla sua portata. Le specie animali che sono creative –lo ricorda Oliverio- hanno un’infanzia lunga, sono predatrici e non predate (quindi non passano la vita a scappare) e, quando dormono, sognano. Una eccezione è costituita dai polpi: svitano barattoli, si destreggiano nei labirinti… difficile mangiarseli con le patate dopo averli visti al lavoro: i video si trovano anche su YouTube.

Quando si comincia a pensare alla creatività come a un attributo umano e non divino?

E’ una consapevolezza assente in tutto il mondo antico e nel Medio Evo. Poi, piano piano, si accende, più o meno con l’affermarsi della visione copernicana. Ma l’idea che la creatività (a cominciare dalla creatività propria del linguaggio) è il tratto distintivo del genere umano si consolida solo con il Novecento.

Quali sono le definizioni costanti di creatività? O gli elementi che nelle medesime ricorrono di più, nei secoli?

Negli anni Sessanta Mel Rhodes, un ricercatore americano, cerca di mettere ordine tra le decine di definizioni accreditate dalla letteratura scientifica. Scopre che tutte si focalizzano sulle qualità della persona, o sullo sviluppo del processo, o sui requisiti che rendono creativi i prodotti, o sul posto: le caratteristiche ambientali, sociali, economiche e storiche. Così, Rhodes identifica le quattro P’s della creatività: le coordinate entro cui il fenomeno si sviluppa. Ma la definizione secondo me più fertile appartiene a un grande matematico, Henri Poincaré: dice che la creatività consiste nello stabilire, tra elementi esistenti, connessioni nuove e utili. È semplice e universale. Vale per arti, scienze, tecnologia, impresa.

L’ambiente familiare conta?

Conta sì, in termini di trasmissione di conoscenza, di opportunità, di sicurezza di sé e di valori. E nella misura in cui incoraggia l’indipendenza e la curiosità: i figli troppo protetti e accuditi difficilmente saranno creativi. Conta perfino – ce lo dicono ricerche affidabili- la quantità di libri che c’è in casa.

E l’antica associazione fra creatività e disturbo mentale è uno stereotipo o contiene qualche verità?

Tra i creativi certe forme di disagio psichico sono superiori alla media. Però, come dice Aldo Carotenuto, la creatività non è una conseguenza, ma una cura del malessere. Un modo per tenerlo sotto controllo e restituirgli un senso. Studi recenti dicono che mutazioni genetiche associate con la propensione a sviluppare disturbi mentali, presenti anche in persone del tutto sane, sono correlate con una spiccata attitudine creativa. In generale, poi, e questo si sa da decenni, le persone creative sono più permeabili agli stimoli esterni: quindi tendono a proteggersene e sono più introverse. È un tratto di personalità definito “nevroticismo”.

Quali sono stati gli studi scientifici che hanno maggiormente contribuito a definire la creatività?

A fine anni Cinquanta, il fatto che i russi per primi riescano a inviare un satellite nello spazio sconvolge l’America: è lo Sputnik shock, in conseguenza del quale il governo attiva e finanzia generosamente tantissimi progetti di ricerca sulla creatività. Le basi di molte teorie contemporanee vengono poste allora.

Quanto influiscono negativamente gli stereotipi sulla definizione di creatività? Per esempio di genere o di età?

Si crede che la vecchiaia non possa essere creativa: non è vero, e non solo in singoli casi (Matisse, Verdi, la scultrice Louise Bourgeois) ma in assoluto, con la parziale eccezione di alcune scienze dure come la matematica o la fisica teorica. La longevità creativa dipende dallo stile di lavoro e dall’attitudine a cambiare radicalmente attività e interessi nel corso della vita: chi lo fa, ricomincia con la freschezza dell’esordiente.

Si crede che le donne siano meno creative. Lo sono state in passato, ma perché escluse dall’educazione e intrappolate in sistemi di attese familiari contrari a qualsiasi espressione di indipendenza o originalità. Oggi, almeno nei paesi sviluppati, non è più così, e i recenti cinque Nobel femminili ce lo dimostrano. Si crede che le culture orientali siano poco portate alla creatività. Non ne sarei così sicura.

Un processo creativo è osservabile, misurabile, monitorabile nel suo farsi?

Se lo fosse sarebbe tutto più semplice. È qualcosa che succede “dentro” le persone e coinvolge sistema cognitivo ed emozioni. Però le persone creative si accorgono di avere avuto una buona idea perché l’insight è spesso accompagnato da un cortocircuito emozionale violento e istantaneo: un brivido, la pelle d’oca, il fiato che manca.

Creatività e utilità sono legate in ogni caso?

Certo, se se intendiamo il termine “utilità” in senso esteso, e riferito a qualcosa che ha valore economico, estetico o etico. Gli anglosassoni parlano di “appropriateness”. Questo ci aiuta a distinguere bene tra creatività e trasgressione. E a ricordare che la creatività, poiché mette in discussione regole consolidate, ha una componente trasgressiva, ma la trasgressione fine a se stessa non è per forza creativa. Ci aiuta anche a distinguere tra creatività e fantasticheria. La prima è orientata in termini produttivi, la seconda no.

Perché l’Italia costituisce un caso a sé, nell’analisi della creatività?

Nel Global Innovation Index, con buona pace di quelli che credono l’Italia prima nel mondo per creatività, siamo al 31° posto, tra Kuwait e Arabia Saudita. Balziamo al 18° posto per competitività. Precipitiamo al 46° per fattori che incoraggiano l’innovazione, e al 53° per capitale umano (cioè istruzione superiore e centri di ricerca e sviluppo). Vuol dire che pochi ricercatori e imprenditori coraggiosi lavorano in un contesto sfavorevolissimo. Bisogna ripeterlo e ripeterlo, fino a superare il baccano assordante di milioni di televisori accesi sull’ennesimo programma trash: senza formazione non c’è creatività. Senza creatività non c’è innovazione. Senza innovazione non c’è sviluppo. Bisogna finanziare e sviluppare l’istruzione e la ricerca. Ma anche fare cose più semplici, come ricominciare a leggere. E a ragionare, tutti insieme.


14 pensieri su “ANNAMARIA TESTA E LA CREATIVITA'

  1. Il libro lo sto leggendo adesso, e pensavo cosa che farò di mandarle un messaggio privato per quanto mi sta piacendo.
    Ho trovato il primo caso di divulgazione, anche se il libro è ben altro, che si accordasse con le mie speranze in tema – una bibliografia molto ampia, spiegazioni estese senza tradire i concetti. L’umiltà di non appropriarsi di campi estranei pur utilizzandoli: quel continuo citare ciccio formaggio perchè è studioso di questo, pino lillo di quest’altro. Questa è democrazia intellettuale, non so se mi spiego: condivisione del sapere rimandando alle fonti giuste. Si cita molta psicologia per esempio – la maggior parte delle cose sono note agli psicologi – ma fa piacere constatare tanta pulizia nell’esporle, e trovare la scelta delle teorie più pertinenti.

  2. Zaub, ho postato questa intervista oggi non casualmente: volevo farlo da un po’, e questa mi sembra la giornata giusta. Ovviamente e in primo luogo per i contenuti. Ma anche per quella umiltà e quella democrazia intellettuale che sono doti rarissime, in tempi in cui gli intellettuali presumono di parlare a nome di una categoria, di interloquire con una categoria e non con un singolo o una singola, e soprattutto di porre il proprio ego davanti ai contenuti.
    Grazie al cielo, non è ovunque così, non è per tutti così. Gran libro.

  3. Sembra un libro interessante, anche se muove da un presupposto naturalistico che rende la creatività qualcosa di misterioso, da spiegare, piuttosto che qualcosa di spontaneamente prodotto dalla vita. Cioè: se la vita è un meccanismo omeostatico, che tende all’equilibrio, allora la creatività nasce dallo sforzo di superare il trauma indotto dal cambiamento.
    Se invece la vita fosse concepita come slancio creativo (l'”elan vital” di Bergson, per esempio), la creatività sarebbe la norma e non l’eccezione. In quel caso si tratterebbe più che altro di distinguere la creatività dalla sedimentazione dei suoi prodotti in termini di abitudini e di norme.

  4. Ho trovato questa intervista davvero interessante. Mia moglie è psicoterapeuta e certe domande ricorrono nelle nostre discussioni. E devo dire che le risposte che ho letto qui risuonano con quelle che ci siamo dati negli anni… Il dilemma del legame tra malessere o bisogno di guarire e creatività, la valenza terapeutica della scrittura, la visione magica della creatività, la sua definizione. Insegno matematica e fisica, ma non sapevo che Poincaré avesse definito in maniera così brillante, semplice e geniale, la creatività. Di recente mi è stato chiesto da dove nascessero le mie storie, da dove traessi ispirazione. Ho risposto “Da un po’ di tempo a questa parte ho sempre con me un quadernetto dove appuntare idee, frasi e riflessioni. L’ispirazione spesso mi coglie quando metto insieme due o più di queste note e creo un possibile legame, vincolato da bisogni logici, verosimiglianza e credibilità.”
    Comprerò il libro della Testa. Grazie per la segnalazione e per quest’intervista.

  5. Leggere Anna Maria Testa è un vero piacere, mette allegria, fa respirare meglio, riconcilia con il mondo.
    Mi piace molto la sua rivalutazione dell’aggettivo ‘utile’ che appare pure nel titolo del suo blog e la ridefinizione del termine ‘trasgressione’. Andava detto che trasgressione e creatività non sono sinonimi. Meno male.
    Nel panorama italiano, per le poche cose che conosco ovviamente, ad Anna Maria Testa riesco ad avvicinare solo Munari, non solo per qualità intellettuali, ma anche per umiltà e mancanza di spocchia. Immagino che sia per questo che riescono a coniugare accessibilità per tutti alle cose che scrivono e rigore.

  6. Ci si trova la pacatezza di chi ha l’umiltà di ascoltare gli altri senza nessun tipo di frustrazione invece che attanaglia altri, consci della loro mediocrità ma incapaci di arrendersi all’evidenza. Soprattutto sul tema della trasgressione, parola che ha fatto molti danni e ne ha rovinati parecchi, mette un punto. Essere trasgressivi, come ben dice, non è sempre segno segno di creatività, anzi. Si entra in fantasticherie che hanno qualcosa di pernicioso e di deviante, figlie di un egocentrismo stolido e avvitato inutilmente a se stesso. Questo e altro in modo, ripeto, senza la bulimia di sapere tutto lo scibile da parte di Anna Maria Testa. Fa da contraltare alle parole di Sgarbi di ieri e alle offese gratuite di commentatori di professione che in questo contesto invece si mostrano garbati ed assennati e preparati.

  7. Mi associo al coro di apprezzamenti (mi limito al tema, all’approccio e insomma a quello che è rivelato nell’intervista: il libro è ancora nella listadegli acquisti).
    In particolare, ho trovato nell’intervista una considerazione che è oggetto di miei dubbi da tempo: si dice che in genere sono più creative le persone che hanno sofferto molto. Il dubbio “filosofico” è: allora crescere in un ambiente sereno, o in generale serenamente, pregiudica il potenziale creativo? In effetti, spesso mi sono trovata a pensare che persone che abbiano avuto una vita “eccessivamente” lineare in termini emotivi, siano incapaci di cogliere certe sfumature, di andare oltre certe apparenze, di fare insomma valutazioni e rielaorazioni creative. Benché ogni sillogismo adattato ai caratteri delle persone sia sempre rischioso in termini di preguidizio, generalizzazione, ecc, forse c’è qualcosa di vero.

  8. Ma anche questo è opinabile, Denise, che chi proviene da un ambiente sereno si sia acquietato e abbia pregiudicato il suo grado di creatività. La Testa risponde ad una domanda e non ha le soluzioni. Quelle definitive e dunque pretestuose.

  9. No, certo. Vedo chiaramente che, con intelligenza, Testa lascia la questione aperta. SOno io a forzarla, perché mi ha dato uno spunto, e vorrei sapere cosa potrebbe averne da dire qualcuno che ne sa più di me. C’est tout!
    (PS: sarò petulante, ma è preferibile omettere l’articolo determinativo di fronte al cognome di una donna:) )

  10. ho assistito piena di pregiudizi (odio la pubblicità e il marketing) a una lezione di Testa alla LUISS, l’anno scorso. E’ stata spettacolare. Non solo per i contenuti, ma per com’era lei. Molto pragmatica, diretta, senza tante smancerie ma ‘calda’. In particolare, ha spiegato come ‘sfrondare’ un paragrafo di testo dalle cose inutili. Si partiva con 10 righe, e si finiva con una. Dove ci stava dentro tutto.
    comprerò e leggerò il libro. Lei e Luisa Carrada, se a uno gli importa qualcosa di come si scrive per farsi capire, sono due maghe.
    d

  11. La creatività sta in ognuno di noi, dobbiamo forse crederci e voler creare, la routine ci uccide, dobbiamo dedicarle tempo e i risultati arriveranno e in qualsiasi campo la si sfrutti darà sempre grandi soddisfazioni perchè i suoi frutti saranno qualcosa di veramente nostro e che non si potrà comprare con nessun mezzo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto