APOCALITTICI, INTEGRATI E DILETTANTI

Sto leggendo, molto in ritardo rispetto alla discussione che si è sviluppata in rete, Dilettanti. com di Andrew Keen. Dico subito che non mi convince: non perchè sul concetto di “amatoriale” non occorra riflettere: ma perchè il pamphlet è stato scritto con chiarissimi intenti provocatori, nonchè semplificatori. E l’attacco a Wikipedia sembra davvero molto, ma molto di parte. Chi vuole, gli dia un’occhiata: per l’antidoto, ricorrere immediatamente a Henry Jenkins.
Detto questo, esistono situazioni che rischiano di dare ragione a Keen, e la cosa non mi fa affatto piacere. Esempio personale-politico, freschissimo: ieri pomeriggio, ad un festival di animazione romano, si presentava fra l’altro un piccolo corto, risultato di un workshop di quattro giorni cui ha preso parte la primogenita con altre compagne di classe, su indicazione della scuola.
Ma quando, alla fine di una difesa del software free tenuta dal curatore del seminario – così ideologica da farmi quasi dimenticare che sono d’accordo con lui – ho sentito tessere le lodi della velocità con cui le ragazze avevano fatto un corto che a un animatore Pixar sarebbe costato mesi di lavoro, ho capito quale sia il varco dentro cui i neocon della rete come Keen tentano di infilarsi.
Pericoloso.

9 pensieri su “APOCALITTICI, INTEGRATI E DILETTANTI

  1. Polemica vecchia, libro vecchio: profezie non avverate, scenario digitale totalmente diverso. Peché stare a sentire Andrew Keen?

  2. Perchè purtroppo il discorso, con la pubblicazione del suo saggio in lingua italiana, rischia di riaprirsi. E il dramma è che, appunto, ci sono dei comportamenti e delle convinzioni che rischiano di portare acqua al suo mulino, Paolo.

  3. Certo, infatti la mia domanda era per il singor DeAgostini, non per te!
    Il punto è che, mi pare, il web 2.0 ha smentito buona perte delle previsioni catastrofiche di questo Keen. Quindi, da sedicente futurologo lo si può declassare a vecchio trombone.
    Ma non riesco ad allarmarmi per la continuità tra alcune sue osservazioni generiche da vecchio trombone e alcuni usi della tecnologia che sono inevitabili e inarrestabili. Spero che nessuno, in sede seria di discussione possa dire cose tipo “come dimostrato da Keen”, non sarebbe credibile!
    Tutti i “problemi” che Keen ravvisa si curano con una medicina sola: educazione. Non sono generati dalla tecnologia. E, per finire, tra la presentazione inglese del 2007 e quella italiana del 2009 il tiro è diverso. Vuol ben dire quelcosa…
    Una curiosità: il corto era fatto con il linguaggio Alice?

  4. Era fatto con Blender. Intendiamoci, il discorso fatto sul software libero è sacrosanto. D’accordissimo sul fatto che imparare a usare, e a scrivere, un software non proprietario è fondamentale. Ma confondere – per la milionesima volta – mezzo e messaggio è terrificante: non è che Blender renda automaticamente in grado di realizzare corti impeccabili. Invece, sembrava si mettesse proprio così: e qui scatta il Keen di turno. Purtroppo.

  5. Il libro di Keen è una roba tristissima, siamo al livello di quei saggi “scientifici” che difendono il creazionismo. Una (piccola) parte dei vari problemi presenti sono stati raccolti da Lessig, qui.
    Già che ci sono, consiglio, a chi fosse interessato a questi argomenti:
    Free Culture dello stesso Lessig.
    The Public Domain di James Boyle.
    Content di Cory Doctorow.
    Electronic Potlatch di Alf Rehn.
    Sono tutti disponibili con licenza CC o analoga, il primo è stato anche tradotto in italiano con il titolo Cultura Libera.
    Per quanto riguarda il software free c’è gente fanatica, ma non credo che l’idea fosse sostenere che lavorando con software free si è più “intelligenti”; l’idea è che i software free sono migliori delle soluzioni commerciali e dunque, a parità di creatività, permettono di ottenere gli stessi risultati in minor tempo/con meno fatica (che poi sia vero o no è un altro discorso).

  6. Grazie mille, Gamberetta. Infatti, l’idea era quella del minor tempo: ma non sono sicura che il minor tempo sia, sempre e comunque, un valore.
    Mi procuro i testi elencati.

  7. Scusate se mi intrometto, ma mi è incidentalmente capitato di fare il programmatore per dieci anni e mi permetto di dire la mia.
    Quando si dice “open source” – soprattutto in un paese del terzo mondo, informaticamente parlando, come il nostro – spesso si dimentica il motivo “politico” per cui l’os è nato: contrastare il predominio di un marchio che produceva sistemi operativi (uno, in realtà) e sw per ufficio scadenti, e li faceva pagare anche cari in virtù di fortissime relazioni industrial/politiche.
    Detto questo, credo che sia ingiusto dire genericamente che i free sw sono migliori degli omologhi commerciali perché spesso non è vero. Un esempio su tutti: photoshop. In altri casi invece (i sw audio di sintesi granulare, per esempio) ci sono applicazioni gratuite straordinarie.
    Il caso del 3D è poi estremamente scomodo da utilizzare per perorare la causa “os è bello”: i pacchetti 3D non sono altro che degli immensi telecomandi per marionette (script invece di fili, ma fa lo stesso), e sono ormai quasi tutti allo stesso livello. Dire che usare un telecomando invece di un altro velocizza il lavoro, significa non aver mai provato sul serio a fare il burattinaio.
    Tutto queste righe per dire che ogni volta che sento pontificare sul software gente che non ha mai scritto una riga di codice, rido. E’ come se in letteratura qualcuno si permettesse di dare lezioni di estetica senza aver mai scritto una frase in vita sua, nemmeno come giornalista o critico.

  8. Intromettiti, ti prego! Infatti l’esempio portato era ESATTAMENTE Gimp versus Photoshop. E io che non ne capisco nulla, ma occhieggio spesso, ho avuto non uno, ma diecimila dubbi. Grazie dell’intervento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto